Consumo dei suoli e modifica del paesaggio [di Sergio Vacca]
Di seguito un esempio su come il solare termodinamico modifica il paesaggio e consuma i suoli migliori della Sardegna. Il rapporto tra produzione energetica e fabbisogni in Sardegna è rappresentabile con pochi numeri. Da circa dieci anni l’isola vanta un surplus di produzione di energia elettrica, che nel 2011 (dati Terna: L’elettricità nelle regioni, 2011) ha raggiunto i 1225,2 GWh, al netto delle perdite di rete. In quell’anno la produzione totale netta è stata di 13.230,2 GWh, mentre il totale dei consumi, per lo stesso periodo, si è assestato in 11.265,4 GWh. La produzione da fonti rinnovabili eolico e fotovoltaico è stata di 1037,6 e di 340,4 GWh. Il numero di impianti e le potenze installate sono n. 39 impianti di eolico e 962,2 MW la potenza efficiente lorda; 14637 impianti di fotovoltaico (gran parte di dimensione familiare, dell’ordine dei KW), 403,2 MW la potenza efficiente lorda. I numeri mostrano che non c’è in Sardegna un’emergenza produttiva. La richiesta è soddisfatta dal parco impianti pubblici e privati, composto da: idroelettrico, termico, eolico, fotovoltaico. Il problema è l’assenza di programmazione energetica che determina il costo alto nelle diverse categorie di utenze. Rispetto a quelle produttive, è mediamente superiore del 30/40% rispetto ai paesi CE. Ma più preoccupante, conseguenza della liberalizzazione della produzione energetica, è la miriade di iniziative relative le fonti rinnovabili, che sono presentate agli organi cui compete il processo autorizzativo. Ognuna è scollegata dal contesto pianificatorio energetico.Da un’analisi dei progetti è preoccupante per l’ambiente l’occupazione dei suoli per l’estensione indiscriminata degli impianti fotovoltaici e di solare termodinamico. Riguardo ai progetti Solare Termodinamico della potenza di 30MWe, da realizzare a Campu Giavesu e di 50 MWe, nella piana di Santa Lucia di Bonorva, lo Studio Preliminare Ambientale, della Società Energogreen Renewables SrL, ò la copia conforme di analoghi progetti presentati in contemporanea per i siti di Gonnosfanadiga e Villasor. Nel definire il “quadro ambientale” il documento ritiene di fornire risposte esaustive rispetto “alla sensibilità ambientale delle aree geografiche che possono risentire dell’impatto dei progetti”. Nella realtà si rivela inadeguato a gestire una problematica complessa, per territori con forte sensibilità ambientale. In primo luogo, non si può pensare esaustivo il richiamo alla“utilizzazione attuale del territorio” per definirne la “sensibilità ambientale delle aree geografiche che possono risentire dell’impatto dei progetti”. L’utilizzazione attuale del territorio – lo insegnano gli economisti agrari – risente della concomitanza di numerosi fattori, tra i quali il mercato. E’ perciò inaudito che la “sensibilità ambientale” possa essere riferita ad un indicatore – caratterizzato da grande variabilità – quale il mercato. Per quanto attiene al Quadro programmatico – in specie al PPR- il riferimento è incongruente. Lega l’impatto ad “ambiti cartografati come Aree ad utilizzazione agro-forestale dell’assetto ambientale interessati dalla presenza di colture erbacee specializzate, aree agroforestali, aree incolte”. Sempre nel documento citato, l’intervento proposto “essendo esterno alla fascia costiera” definita “bene paesaggistico d’insieme” attenuerebbe o annullerebbe l’attenzione verso le risorse che caratterizzano quel territorio. Il quadro progettuale, poi, nel definire i criteri di scelta dell’area, oltre al sufficiente livello di irraggiamento solare diretto al suolo, al basso livello di antropizzazione, alla assenza di vincoli paesaggistico-naturali, alla prossimità a importanti nodi della Rete elettrica di Trasmissione Nazionale e alla prossimità a importanti infrastrutture viarie, ritiene valida l’individuazione dell’area in base al criterio della disponibilità di terreni aventi sufficiente estensione e modesta pendenza. Criteri che ad una verifica, appaiono molto deboli. Infine – e qui il documento raggiunge livelli inauditi di superficialità – viene affermato che: “La realizzazione del progetto e delle opere connesse comporta l’occupazione di una rilevante (ca. 160 ha) superficie di suolo a destinazione agricolo forestale priva di elementisignificativi di naturalità”. E’ interessante osservare come viene trattata la parte relativa alla preparazione dell’area.“La prima fase di preparazione dell’area, propedeutica all’avvio dei lavori di costruzione dell’impianto vero e proprio, consisterà nell’attuazione del livellamento del terreno, richiesta per un corretto posizionamento delle stringhe di specchi parabolici”. Inoltre, “Si anticipa che il terreno di risulta, non riutilizzato all’interno dell’impianto, sarà smaltito esternamente dopo adeguata caratterizzazione”. Ancora più singolare il capitolo relativo agli “ Aspetti mitigativi”. L’area viene definita nel documento come “destinata ad uso agricolo-forestale dai vigenti Piani Urbanistici Comunali (PUC), la situazione attuale vede la zona utilizzata per il pascolo di bestiame (ovini) e per la coltivazione di specie per lo più erbacee. Parte del progetto sarà la messa in opera di siepi arboree ed alberate al fine di mitigare l’impatto visivo dell’intero impianto. Si propone di utilizzare alberi da frutto in modo da non ignorare la vocazione agricola dell’area, creare posti di lavoro in questo settore e conciliare l’aspetto energetico-ambientale con quello agricolo. In più, sempre per valorizzare la destinazione della zona, alcune aree saranno adibite al pascolo del bestiame tipico della regione, gli ovini.” Uno specifico capitolo sul paesaggio è teso a minimizzare gli impatti visivi, banalizzandone la descrizione degli elementi costitutivi: “L’altura risulta praticamente disabitata e non rientra in nessuna categoria naturalistica salvaguardata, se non classificato come area a gestione speciale ente foreste……”. Quei territori, invece, presentano peculiarità ambientali inimmaginabili per gli estensori del progetto. Il riferimento è ai suoli, che rappresentano un unicum di valore ambientale, ma anche strategico, per la loro qualità e potenzialità, e che caratterizza “pedopaesaggi” peculiari diffusi solo in piccole aree del centro-nord e del centro-sud della Sardegna. Si tratta dei cosiddetti “vertisuoli“, che per le caratteristiche chimico-fisico-mineralogiche della componente argillosa e la capacità di contrarsi nel periodo siccitoso ed espandersi in presenza d’acqua, presentano, accanto a qualche difetto di drenaggio, una straordinaria fertilità per le colture ortive, sia in asciutto che in irriguo. Sotto quest’ultimo profilo, questi suoli presentano un’idoneità all’irrigazione definita, nello studio sui suoli irrigabili della Sardegna del Piano delle risorse idriche, da media ad elevata. Sono perciò inseriti nella I^ classe di irrigabilità e, solo dove i difetti di drenaggio richiedano interventi migliorativi, nella II^ classe. La perdita di questo tipo di suoli, per il livellamento delle superfici per la realizzazione degli impianti, costituirebbe una forte diminuzione della “pedodiversità“, ossia di un patrimonio genetico raro, di uno straordinario ecosistema e irriproducibile alla scala della vita umana. Il documento proposto dalla Società Energogreen Renewables SrL, è per gli aspetti relativi alla definizione del “quadro ambientale di riferimento” e per la “valutazione degli impatti e la proposta di interventi di mitigazione”, superficiale nell’impostazione e nella ricerca di soluzioni di mitigazione. Ignora il comparto ambientale su cui si produrranno i danni più rilevanti, il Suolo, trattandolo alla stessa stregua di un qualsiasi materiale da movimentare. Non avendone, colpevolmente, compreso il valore e le potenzialità, il documento arriva ad affermare “che il terreno di risulta, non riutilizzato all’interno dell’impianto, sarà smaltito esternamente dopo adeguata caratterizzazione”. Con un minimo di conoscenza e accortezza quei suoli – paradossalmente – posti in un circuito mercantile per la realizzazione di giardini e come terra da fiori produrrebbe un reddito enormemente superiore al costo dello smaltimento in discarica. Ma l’acme del pressapochismo è raggiunta nella fase delle proposte mitigative e/o compensative. Proposta identicamente utilizzata nei progetti di Villasor e Gonnosfanadiga. Si parla di “alberi da frutto in modo da non ignorare la vocazione agricola dell’area”. L’estensore del documento dimostra di ignorare invece quella che – con termine desueto – definisce “vocazione agricola dell’area”. I Vertisuoli, con il loro potenziale rigonfiamento non presentano attitudine per le coltivazioni arboree, mentre manifestano alta suscettività per colture erbacee, ortive ed industriali. Inoltre ha del folkloristico e tardo-bucolico la proposta di “valorizzare la destinazione della zona, adibendo alcune aree al pascolo del bestiame tipico della regione, gli ovini.” Occorre perciò riflettere su una pianificazione delle aree da destinare a questi impianti. Occorre sapere quale sia l’impatto effettivo, in termini di perdita della fertilità che si creerà con la realizzazione di tali impianti in relazione alla pedodiversità, ossia alle diverse caratteristiche e qualità dei suoli. In altri termini, il danno che si creerà a Campu Giavesu e nell’area di Santa Lucia di Bonorva è enormemente maggiore di quello che potrebbe crearsi in aree caratterizzate da suoli marginali. Se si fa riferimento alla Carta dei Suoli della Sardegna, alla scala 1:250.000, o alla Carta dei Suoli delle Aree Irrigabili (che riguarda una superficie di circa 420.000 ettari) alla scala 1:100.000, si possono già avere alcune indicazioni basilari sulle destinazioni d’uso potenziale e reale di tutte le superfici che, per caratteristiche morfologiche, possono essere eventualmente utilizzate per il fotovoltaico e solare termodinamico, distinguendo tra quelle ad alta fertilità, da escludere assolutamente, e a più bassa fertilità, su cui si può più convenientemente operare.
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