Brexit e indipendenze delle nazioni senza stato [di Nicolò Migheli]

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Grande confusione sotto i cieli d’Europa. Il Brexit inaspettato, rimescola strategie, rapporti di potenza. Inutile sottolinearlo, l’Europa che conoscevamo, quella uscita dai due eventi traumatici: la II Guerra Mondiale e il crollo dell’Urss non sarà più la stessa. Il percorso di abbandono britannico non si annuncia facile, Nicola Sturgeon la premier scozzese, annuncia una opposizione dura contro il Brexit; in caso di uscita dalla Ue, un secondo referendum sull’indipendenza della Scozia.

Oliver Perra dall’Ulster, scrive nel suo blog che il percorso stavolta non si prospetta né facile né tranquillo. Se la GB dovesse lasciare la Ue e la Scozia indipendente, il Vallo di Adriano diventerebbe una frontiera comunitaria esterna, con  tutti i controlli usuali, con l’Inghilterra oggi primo partner commerciale della Scozia e il Brent a 50 dollari. Condizioni economiche non facili e gli scozzesi- mi si passi il pregiudizio- sono noti per la loro attenzione al danaro.  Allo stesso modo la pace del Venerdì Santo, che ha disarmato l’irridentismo nord irlandese è avvenuta perché il confine tra Ulster e Eire era comunitario, quasi insesistente.

Cosa potrebbe avvenire in futuro? Nessuno lo sa. L’Inghilterra è disposta a perdere l’unica base dei suoi sommergibili atomici, del suo deterrente nucleare, che si trova in Scozia? Chi pagherebbe i costi stratosferici di trasferimento? Lo stessa adesione di una Scozia indipendente alla Ue è in dubbio, verrebbe tenuta nel medesimo limbo in cui oggi versano Serbia, Montenegro, Macedonia e Kosovo? Chi lo sa.

Sergio Romano su LinKinchiesta.it: Mi piacerebbe che se ne andassero [gli scozzesi, n.d.r] dal Regno Unito. Sarebbe una lezione della Storia, un altro modo per fare capire all’Inghilterra che ha sbagliato tutto. L’Unione Europea però non è nata per spaccare gli Stati. Il giorno in cui se ne va la Scozia, come fa un leader catalano ad accontentarsi di meno?

Per le regole che governano i consessi internazionali non basta dichiarare la propria indipendenza, bisogna che gli altri stati la riconoscano, che lo stato nascituro sia all’interno dei loro disegni geopolitici. Se guardiamo ai nuovi stati nati in Europa negli ultimi settant’anni troveremo che le ragioni internazionali o la volontaria cessione di sovranità da parte della potenza dominante sono la costante. Cipro e Malta divennero indipendenti per scelta della Gran Bretagna, la prima dopo una lotta di liberazione, la seconda perché il ruolo della Royal Navy in Mediterraneo si era contratto.

Indipendenze che rientrano nel più vasto panorama di fine dell’Impero britannico e nella seguente decolonizzazione. Gli stati baltici riacquistarono l’indipendenza perduta al principio della II Guerra Mondiale per la scomparsa dell’Urss, così come Bielorussia ed Ucraina, la Moldavia, Georgia, Armenia, per rimanere in Europa. Stati che vennero immediatamente riconosciuti dall’Occidente perché considerati una sorta di bottino della Guerra Fredda. La Jugoslavia scomparve dopo guerre sanguinose, non solo per i conflitti insanabili tra le nazionalità e gli interessi contrastanti, ma anche perché le indipendenze rispondevano al disegno di allargamento di influenza della Germania unificata nei Balcani.

Non dimentichiamoci che il primo stato che riconobbe la Croazia fu il Vaticano del papa polacco. Stato piccolo, ma con un grande peso nel mondo. Come si può vedere il desiderio di autodeterminazione deve incontrare un contesto internazionale che lo consenta, in caso contrario o stati che non esistono per gli altri, come il Donbass, o solo annessioni – peraltro riconosciuta da pochi – come la Crimea o l’Ossezia del Sud. L’unico caso di divorzio consensuale, la separazione pacifica di Cechia e Slovacchia. Oggi è tempo di indipendenze in Europa? Sembrerebbe di no.

La Brexit ha sancito il ritorno di Wesfalia, la rinascita degli stati nazionali ottocenteschi. Muri e frontiere che risorgono, minacce di abbandono della Ue. La guerra permanente ad oriente in Ucraina, e a sud nel Mediterraneo allargato; il terrorismo jihadista, lo spostamento epocale di migliaia di persone per fame, guerra e siccità. Un quadro di instabilità che determina nelle persone paure continue. Non è tempo di referendum per le indipendenze delle nazioni senza stato, anche se venissero concessi dagli stati-nazione classici, probabilmente verrebbero persi.

In periodi come questi l’indipendenza viene vissuta come un ulteriore rischio personale. Non si lascia la casa conosciuta, anche se scomoda, per un’avventura quando il resto del mondo è sconvolto dalla tormenta. Rinunciare a qualsiasi prospettiva di autodeterminazione per luoghi come la Sardegna? No di certo. Paradossalmente l’unica possibilità è una Unione Europea che si configuri come confederazione, o se si vuole federazione, di stati indipendenti, dove anche le nazioni senza stato stiano in un piano di parità giuridica con le altre.

Non solo un sogno, ma l’unica prospettiva realistica, sempre che la parola abbia ancora un senso. Se dovesse crollare l’impianto europeo, il sogno verrebbe rimandato per chissà quanto tempo. La Storia però non procede per cammini razionali, anzi quella condizione gli appartiene raramente. Tutto può succedere, bisogna essere pronti a qualsiasi evenienza, dovremmo avere una classe dirigente, non solo politica, consapevole delle scelte migliori per noi. Una classe dirigente che abbia contatti internazionali con chi poi decide negli scacchieri.

Potrebbe succedere come nel 1713, quando il diplomatico Bacallar Sanna cercava un re bavarese per la Sardegna e ritrovarsi con un Savoia. Perché allora perdemmo la possibilità di sceglierci un sovrano? Le condizioni internazionali, gli accordi tra le potenze europee avevano deciso altrimenti. È successo allora potrebbe capitare domani.

 

2 Comments

  1. Pingback: Grande confusione sotto i cieli d’Europa | Aladin Pensiero

  2. Articolo interessante Nicolò. Il paragrafo finale mi tocca da vicino perché anche io ho partecipato (da traduttore) alla pubblicazione della Enders sulla poco nota vicenda della cessione della Sardegna al duca e principe elettore bavarese Massimiliano II Emanuele della Casa dei Wittelsbach. Alla tua domanda “perché allora perdemmo la possibilità di sceglierci un sovrano?” ti rispondo così: quella volta non per colpa dei sardi che in quel frangente erano tutti pressoché d’accordo. E neanche perché gli accordi tra le potenze europee avevano deciso altrimenti, ma la vera causa fu la fretta di sottoscrivere la pace che fu infatti sancita nel marzo del 1714 a Rastatt. Ma nell’altra pace, quella di Utrecht del 1713 di cui sempre si parla, la Sardegna fu effettivamente ceduta al duca di Baviera, la storiografia spagnola se n’è accorta, quella italiana ancora no: http://revistas.ucm.es/index.php/CHMO/article/view/43287/41004

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