Nave Pd divisa verso il referendum. Renzi tira dritto ma le correnti immaginano scialuppe: Franceschini, Grasso e Padoan [di Alessandro De Angelis]
l’huffingtonpost.it 1/07/2016. Il Comandante in cabina, chiede di dare più macchina al motore: “La legge elettorale – twitta Renzi, riprendendo del Delrio – non si tocca”. Attorno, i passeggeri vedono i sinistro l’iceberg del referendum di ottobre. E cercano scialuppe. Qualche sera fa attovagliati in un ristorante del centro c’erano, assieme a Franceschini, i big della sua corrente, da Fassino a Marina Sereni, dal capogruppo Ettore Rosato a Francesco Saverio Garofani, in assoluto il parlamentare più vicino a Mattarella. Oggetto della cena, l’identificazione della scialuppa. Ovvero il “nuovo governo”, se salta Renzi. Cambio della legge elettorale, riassetto del partito: tutto ruota attorno all’iceberg referendario nel Pd, che pare avvolto dalla sindrome del Titanic. L’attivismo di Franceschini è visto, nel Palazzo, come una candidatura a guidare la transizione, offrendo a Forza Italia la modifica della legge elettorale, in modo da consentire la risurrezione, a destra, di una coalizione. In verità, al netto delle ambizioni dei singoli, l’eventualità accende i riflettori sul Quirinale, chiamato alla prima vera prova del settennato. Nei silenziosi e discreti ambienti giuridici vicini al Colle più alto è già iniziata una ricerca dei precedenti, in modo che – casomai l’iceberg non venisse evitato – il capo dello Stato avrebbe già una documentazione giuridica da studiare. In particolare, sono stati rispolverati tre precedenti. Il primo riguarda l’aprile 1987, quando l’incarico di formare un governo fu dato ad Amintore Fanfani, allora presidente del Senato. Il secondo, nel giugno 1989, quando fu dato allora presidente Giovanni Spadolini. Il terzo, nel gennaio 2008, quando Giorgio Napolitano diede a Marini un mandato esplorativo per vedere se c’erano le condizioni di un “governo per la legge elettorale”. Nessuno dei tre ebbe una gran fortuna, ma le scartoffie attestano che ci sarebbero precedenti e dunque una prassi consolidata per indicare la scialuppa di Pietro Grasso, per un governo istituzionale che faccia la legge elettorale. Perché ormai è chiaro che, al netto del gioco tattico, non c’è tempo per mettere mano all’Italicum prima della legge di stabilità. E non c’è neanche la volontà politica. Il premier ha usato il chiacchiericcio dei suoi spin, costruiti ad arte, per tranquillizzare Alfano che ha il partito al collasso e per ammorbidire la campagna del no sul referendum, ma è chiaroche non ha nessuna volontà politica di metterci le mani perché, spiega uno dei suoi, “se vince il referendum a quel punto torna forte e non serve cambiarlo, se perde sa che va a casa”. Macchina al motore, velocità, intransigenza sulle riforme che “hanno cambiato l’Italia”. Nella tolda di comando, raccontano i ben informati, è stata la Boschi, prima ancora ancora di Lotti, a schierarsi sulla linea dura. Linea che, per altri, porta dritti verso l’iceberg. Il fautore dell’apertura di un “pertugio” sulla legge elettorale (discutere il premio di coalizione, senza toccare il resto) per dialogare col centrodestra è Lorenzo Guerini, colomba e democristiano doc. Proprio ieri spiegava a Delrio (non convinto della tesi) che le modifiche vanno fatte non per assecondare la minoranza, ma per risuscitare la destra e fregare i 5Stelle. Un modo per salvare Renzi ma anche, secondo i maliziosi, per preparare il dopo. Una fonte della maggioranza del Pd, dice: “C’è un pezzo del Pd che lavora a sbarazzarsi della sinistra e a fare il vero partito della Nazione con Confalonieri, dopo il referendum. Leggete l’intervista di Rughetti, uno che sente Guerini tutti i giorni, al Foglio. Dice che bisogna aprire a Forza Italia e fare una sorta di ‘connubio’. Significa che, se salta tutto, vogliono fare il partito della Nazione contro i 5Stelle. Sistema contro anti-sistema”. Nelle cabine e sul ponte, i passeggeri democratici si muovono in massa su schemi alternativi a quelli del capitano. Anche i “turchi”, la cui insofferenza è crescente dopo che si è indebolita la leadership di Orfini con la sconfitta a Roma. Alla riunione di due giorni fa parecchi parlamentari hanno avvicinato Andrea Orlando: “Candidati al congresso contro Renzi, su una piattaforma più sociale e portando avanti un’altra idea di partito”. Per ora il guardasigilli, grande attendista, riflette consapevole, come gli hanno insegnato nel Pci che la scelta dei tempi è tutto, perché una cosa giusta fatta al momento sbagliato è una cosa sbagliata. La certezza, che accomuna tutti, è che l’unica cosa da evitare, a ottobre, sono le elezioni. L’alibi per evitarle è la legge di stabilità che sarà presentata entro il 20 ottobre. Il che significa che il referendum si terrà a legge di stabilità “aperta”. Una caduta rappresenterebbe una situazione di emergenza massima, che porterebbe alla scialuppa identificata da quella vecchia volpe di Massimo D’Alema: Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia del governo in carica. Insomma, la soluzione più rassicurante per i mercati e per l’Europa. Nell’affollata nave del Pd è impresa ardua trovare un passeggero impegnato con tutte le forze a vincere il referendum. L’icerberg, per tutti, è troppo vicino.
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