Arte & patrimonio- Beni culturali, si apre la grande partita: soprintendenze uniche, la voce dei tecnici [di Paolo Fantauzzi e Francesca Sironi]

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L’Espresso.it 01 luglio 2016. Le competenze a rischio. Più burocrazia. E politica. Ma anche il bisogno di risorse. E le opinioni contrarie di chi incalza piuttosto i colleghi a non sabotare la riforma. Entra nel vivo il disegno Franceschini sulla tutela. Fra dubbi e incertezze.

Ad ognuno la sua T. Di Tutela. O di Turismo. Stando alla quantità, fra comunicati e social network, al ministro Dario Franceschini sta più a cuore la seconda della prima, per i Beni culturali. I suoi tweet con la parola “tutela” sono solo 23, quelli con “turismo” più di 60. Idem sulle agenzie di stampa: “turismo” in 2.244 dichiarazioni, “tutela” in meno della metà. Si tratta di dettagli, certo, piccolezze. Eppure un certo minor entusiasmo nell’occuparsi di conservazione – quella per cui l’Italia ha un articolo nella Costituzione , il nove – si nota proprio adesso. È di queste settimane infatti la messa in moto della parte di riforma forse più radicale del mandato Franceschini: dopo i tanto declamati direttori dei super-musei, i poli regionali, l’artbonus per i privati e i “grandi progetti” alla Pompei, ora tocca alle soprintendenze. Ovvero agli affannati snodi locali della tutela e della ricerca, di quel “paesaggio diffuso” che è patrimonio tanto amato da rientrare fra le tracce per la maturità.

Ma questa parte di riforma sta passando molto più in sordina delle prime. Avrà forse meno smalto mediatico, ma di certo conseguenze importanti per tutto il territorio. Le soprintendenze verranno infatti unificate: non ci saranno più specialisti in archeologia, storia dell’arte o architettura, separati, ma un unico ufficio per tutte le discipline. Alle 39 soprintendenze così accorpate verranno assegnati a breve i nuovi responsabili, così come da poco si è insediata la nuova direttrice generale, Caterina Bon Valsassina, nonostante profondi dissidi al vertice, finiti anche in un’interrogazione parlamentare.

Queste strutture uniche, ha detto il ministro, serviranno a «rafforzare i presidi di tutela e semplificare il rapporto tra cittadini e amministrazione», perché «parleranno con voce unica a cittadini e imprese riducendo tempi e costi burocratici». Le imprese al centro: a loro si rivolge anche la legge Madia che prevede il silenzio-assenso delle amministrazioni pubbliche (comprese quelle culturali) se non risponderanno entro 90 giorni per le autorizzazioni paesaggistiche. l’Espresso è andato a chiedere ai diretti interessati cosa cambierà con i nuovi accorpamenti.

COMPETENZE ADDIO? Agostino Bureca è soprintendente per le belle arti e il paesaggio nel Lazio. Fra le sue ultime firme c’è la protezione dei luoghi della battaglia di Montecassino perché «meritevoli della più rigorosa tutela e conservazione», fermando le concessioni già date dall’Abate a consorzi privati per “usi turistici e commerciali” nel parco dell’Albaneta: mercatini di Natale sopra i sacrari della Seconda guerra mondiale. Anche no. «Le soprintendenze non si occupano solo di vincoli, ma fanno anche molta ricerca, anche se i media ne parlano poco», dice. E proprio su questo si muovono le sue principali preoccupazioni sul nuovo corso della riforma: «Certo, abbrevierà le attese. Ma il mio timore è che le competenze scientifiche saranno sacrificate».
Nessun rischio per la tutela. Semmai quello di non far funzionare la riforma per “risentimento ideologico”. L’opinione (controcorrente) del soprintendente di Roma

«È evidente infatti», spiega: «Che nella nuova struttura prevarranno le capacità organizzative su quelle culturali. E sì che i nostri uffici ancora attraggono, nonostante gli stipendi bassi, giovani preparati ed entusiasti. Per questo ad esempio il nuovo bando per 500 assunzioni è un’ottima iniziativa». Ma la burocrazia non pare andare sempre in quel senso: «Si parla addirittura, per effetto della riforma Madia, di concorsi unici per la dirigenza oltre a una maggiore integrazione sotto le prefetture», spiega: «Ma noi non vogliamo diventare uffici comunali. Non dobbiamo. Vogliamo mantenere indipendenza».

Dalle Marche, la soprintendente Anna Imponente conferma: «Diminuisce lo spazio per le competenze specialistiche». Allo stesso tempo però, «la prospettiva culturale è positiva: una maggiore integrazione fra le discipline». Ma bisogna crederci, e non sarà facile: «Fra risorse bloccate e pochi fondi: non è cosa da poco che i nostri uffici neanche dispongano più dell’auto di servizio per i sopralluoghi urgenti».

SENZA UOMINI, NIENTE GUERRA. Di risorse asfittiche rispetto ai grandi progetti parlano in molti. «Il problema non sono gli accorpamenti ma il ricambio generazionale, perché il personale in servizio nell’arco di 2-3 anni andrà in gran parte in pensione», spiega Lucia Arbace, fino all’anno scorso soprintendente ai Beni storici-artistici dell’Aquila (si è occupata dei beni danneggiati dal sisma), poi soppressa dalla riforma e adesso direttrice del polo museale dell’Abruzzo: «Per questo spero molto in questo nuovo concorso “dei 500”. La qualità del lavoro infatti la fanno le persone, a prescindere dall’organizzazione: qualsiasi riforma può andar bene, anche questa. Se ci sono le gambe per camminare, però».

«Un giudizio si potrà dare solo quando diventerà operativo il nuovo sistema», aggiunge Benedetta Adembri, Direttrice dell’area archeologica di Villa Adriana fino a pochi mesi fa, ora funzionaria archeologo della soprintendenza del Lazio ed Etruria Meridionale: «Quello che è sicuro è che da qualche anno siamo in una fase di cambiamento continuo e quindi le persone sono disorientate. Anche i privati non sanno a chi rivolgersi per le autorizzazioni perché hanno difficoltà a sapere chi sono i referenti, visto che sono state separate intere aree archeologiche». Una fase di transizione, insomma. Nella quale però c’è anche chi vede un futuro roseo.

UN FUTURO POSSIBILE. «Semplificare l’organizzazione ed eliminare i conflitti fra i diversi uffici – archeologia, paesaggio, architettura – con un unico coordinamento è un’ottima spinta in avanti: dalle pale eoliche alle strade, imprese e cittadini avranno un riferimento chiaro, responsabile di un’area più logica, e compatta, anche dal punto di vista del territorio», scomette Salvatore Patamia, segretario regionale dei Beni culturali in Calabria. Che manifesta su altro però i suoi dubbi: «Sinceramente, sono molto preoccupato per il silenzio-assenso previsto dalla riforma Madia, anche se non sono ancora arrivate le direttive».

Tema che non preoccupa invece Francesco Prosperetti, Soprintendente speciale per il Colosseo, il Museo nazionale romano e l’area archeologica di Roma, convinto che – come già accaduto in passato – il problema sarà risolto con accorgimenti pensati unicamente a prendere tempo: «Questa norma è un’arma spuntata in mano a chi crede di velocizzare la Pubblica amministrazione, non sarà un rimedio ai ritardi, succederà esattamente il contrario».

ORA LE NOMINE. A breve dovranno arrivare le 39 nomine alla guida delle altrettante soprintendenze uniche sul territorio. Intanto, è stata ratificata quella principale: la storica dell’arte Caterina Bon Valsassina alla direzione generale che le coordinerà. Sulla sua scelta il 13 giugno il Movimento 5 stelle ha depositato un’interrogazione parlamentare. Chiedendo se è giusto assegnare un ruolo tanto nuovo e cruciale a un funzionario che entro soli due anni dovrà andare in pensione, e se è effettivamente il suo il curriculum più adatto rispetto a quello di colleghi – anche loro direttori generali, anche loro del 1952 – come Gino Famiglietti e Francesco Scoppola.

Scoppola si rese celebre una decina di anni fa per i vincoli imposti quando era direttore regionale nelle Marche: fra i tanti, il centro storico di Urbino, l’“ermo colle” di Recanati cantato da Giacomo Leopardi ma anche l’intero promontorio del Conero, col blocco di tutte le relative lottizzazioni nella zona. Decisioni, soprattutto nell’ultimo caso, ritenute eccessivamente rigide (il vincolo sul Conero fu poi annullato dal Tar) che valsero a Scoppola antipatie soprattutto da parte del partito del mattone e del governo Berlusconi. E che in seguito gli costarono la rimozione dall’incarico.

Famiglietti, artefice nei mesi scorsi dell’accordo per la collezione Torlonia è divenuto famoso in anni recenti per la battaglia combattuta in Molise contro la realizzazione di un parco eolico su alcuni tratturi storici, a poca distanza dall’area archeologica di Saepinum, un insediamento risalente ai sanniti: in poco più di un anno emanò 32 decreti per tutelare il paesaggio. E prima di allora, anche lui si era distinto per aver apposto altri vincoli che avevano toccato interessi sensibili. Fra i vari, il Palazzo di giustizia di Milano quale “capolavoro dell’architetto Piacentini e simbolo di Mani pulite” quando l’allora Guardasigilli Alfano voleva farne studi di avvocato e i Laghi di Mantova come esempio di ingegneria medioevale, interessati da una lottizzazione di villette a schiera.

Con un passato così, osservano al ministero, fra i motivi per i quali la scelta è caduta sulla Bon Valsassina, passata dall’Umbria alla guida dell’Istituto centrale di restauro quindi alla Direzione generale per l’Educazione e la Ricerca, ci sarebbe il fatto di essere ritenuta meno “problematica”, più “dialogante” oltre che “assertrice convinta della ragion di ministero” (alla richiesta di un’intervista, la dirigente non ha risposto).

Come quando, da componente del comitato tecnico-scientifico per il patrimonio storico-artistico, insieme ad altri colleghi avallò l’autenticità e l’acquisto per oltre 3 milioni di un crocefisso ligneo attribuito a Michelangelo, poi rivelatosi di una bottega di legnaioli di fine ‘400 dalla mano controversa. Una vicenda per la quale tutti i funzionari coinvolti sono stati assolti dalla Corte dei conti dall’accusa di danno erariale, anche se nella sentenza non sono mancate pesanti critiche perché sull’acquisto dell’opera «è mancata del tutto una congrua attività istruttoria».

 

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