La poesia orale in sardo, i paesi e il valore della memoria individuale [di Vittorio Sella]
La memoria individuale, che rievoca le esperienze di vita, spesso nella cultura della oralità ha assunto nei paesi sardi la forma della poesia in rima. Un’abilità che ha consentito il racconto di eventi drammatici che hanno segnato il vivere quotidiano, come quelli provocati dalla prima guerra mondiale, che ha mandato come carne da cannone migliaia di giovani. Questo mondo della manifestazione della cultura popolare, spesso è dimenticato e messo da parte dalle accademie universitarie che si sono occupate prevalentemente di schedare e mettere insieme fonti scritte, documenti e quanto attiene a quella definita la scientificità del metodo di ricerca per tramandare gli eventi reali. Tuttavia è ancora presente e sottotraccia il tramandare orale, nonostante il rifiuto della storia ufficiale, che si legge nei manuali e nei saggi con argomenti specifici. Ma di tanto in tanto il raccontare orale in rima, spesso con la tecnica dell’ottavo verso, riappare con tutta la sua ricchezza di particolari che rievocano all’interno della memoria individuale eventi di portata collettiva, vissuti dagli strati più indifesi della popolazione, spesso orientati verso traguardi di tragedie. Una ricerca in questa direzione coglierebbe la quotidianità del vivere dei ceti popolari un tempo definiti “classe subalterna” in contrapposizione con quella egemone, che guidava le sorti delle collettività. Per queste ragioni ho trovato di notevole interesse un libro di poesie in lingua sarda, edito da LogoSardigna col titolo “Sedilo cantata in poesia”, a cura della Pro Loco del paese. Viene recuperato in questo modo un patrimonio di composizioni che viene alla luce in seguito ad una lungimirante attività di ricerca di quanti hanno composto in rima i sentimenti, i sogni, le attività, insomma l’ esperienze umana tema del loro poetare. Da questo lavoro di ricerca viene fuori un lungo poemetto composto dal sedilese Giovanni Carta, nato nel 1894 e morto nel 1962, che rievoca il suo agire nell’ infanzia, nell’addestramento militare, negli scontri affrontati nella prima guerra mondiale, le ferite, i ricoveri negli ospedali di campo. Si tratta di 103 ottave con al centro chi è stato, e coloro che hanno subito quella esperienza drammatica, spinto a difendere quella che allora era definita dalla propaganda “La Patria in pericolo” e “Liberare Trieste dae s’austriacu prepotente”. Insomma c’è la totalità del vissuto di Giovanni Carta, che diventa specchio di una condizione più vasta, collettiva: il rapporto educativo con il padre, il mondo pastorale, la scuola militare intrisa di disciplina e calata nel corpo vivo di un giovane chiamato a combattere una guerra lontana dal mondo degli affetti familiari. Si tratta di un poemetto che richiama altre composizioni in lingua sarda, come quelle raccolte a Torpè qualche decennio addietro da due appassionati di cultura popolare, Bastianino Pilosu e Efiseddu Pau, con il titolo “Cantadores de Torpè“. Questo mondo dell’oralità in lingua sarda si arricchisce da vari decenni a questa parte con il poemetto “Bitti Eroica” di Amico Cimino, custodito nel patrimonio di libri rari del senatore sardista Luigi Oggiano. Credo che questi aspetti di una ricerca storica in questa direzione non debba essere sottovalutata da chi per mestiere fa lo storico. Riguarderebbe le testimonianze del come è stato tramandato dentro i paesi sardi un evento tanto sconvolgente quanto drammatico come la prima guerra mondiale. La poesia e l’oralità sono in grado di dirci come i grandi fatti storici abbiano permeato la società sarda, come ci appaiono nelle piazze dei paesi con i nomi e i cognomi di coloro che sono stati uccisi nelle trincee, negli altopiani e in mezzo ai reticolati di filo spinato. |