Lingua sarda e semafori [di Giagu Ledda]
Noi sardi possiamo star contenti di avere, con le regole della Limba Sarda Comuna, che è anche la lingua scritta in uscita dell’amministrazione della Sardegna adottata con D.G.R. n. 16/14 del 18 de aprile 2006, l’unanimità ortografica per la semplicità e razionalità ortografica scelta, quasi fonologica, e con un sistema di accenti che vorrebbe una lingua come l’italiana. Ci manca però un organismo per la difesa e il miglioramento della nostra lingua, un organismo che fissi i termini e vocaboli della lingua sarda con eleganza e purezza e vigili perché i cambi nella lingua e gli adattamenti alle necessità del XXIº secolo si mantengano all’interno dell’unità della lingua, nella sua così ricca varietà. A questo organismo importante, anzi più che necessario, gli si potrebbe dare il nome di Istitutu de sa Limba Sarda, ILS. Il suo compito principale dovrà essere quello di cercare un consenso per delle norme comuni in ortografia, grammatica e lessico che armonizzi la ricchezza della nostra lingua. La funzione che dovrà avere l’ILS dovrà essere quella di fissare la lingua con eleganza e purezza, anche se il suo compito può e deve andare oltre l’ambito linguistico per costituire un invigorimento di quelle che sono le fondamenta più forti e salde dell’unione delle genti di Sardegna: la lingua. L’ILS dovrà considerare del tutto legittimi gli usi diversi che si fanno della lingua in tutte le regioni della Sardegna, non può obbligare ad un uso orale unico, sempre che non venga messo in pericolo il sistema, l’unità della lingua. Della stessa maniera che il codice di circolazione stradale, eccetto in alcuni paesi, prevede che i veicoli circolino a destra e non a sinistra, o che una luce rossa obblighi a fermarsi e una verde permetta di proseguire, l’ILS decide la corretta scrittura delle parole, senza che i parlanti ne debbano conoscere l’etimologia; per esempio: “binu” e “bentu” si scrivono con la lettera “b” e non con la “v”; il verbo “àere” si scrive senza la lettera “h”, per esempio: “deo apo” e non “deo hapo“; il primo mese dell’anno in sardo è “ghennàrgiu” e non “bennarzu” o “ennarzu“. Queste sono regole che in ogni lingua vengon dette regole convenzionali, cioè stabilite per accordo da specialisti. Potrebbero anche essere altre regole, e col trascorrere del tempo potrebbero anche variare, così come altri potrebbero essere i colori dei semafori che regolano la circolazione. Si potrebbe anche dare, per esempio, che la parola “chelu” con la “e” palatale possa essere scritta “kelu“, ma per ora è accettata per convenzione la scrittura unica “chelu“. Alcuni anni orsono lo scrittore Gabriel García Márquez propose in un congresso di “mandare in pensione l’ortografia” castigliana. Nessuno ha seguito la sua proposta. E se nessuno gli ha prestato ascolto dovremo forse noi prestare ascolto a tutte le proposte fantasiose di persone senza alcuna qualifica sull’ortografia sarda? Prima di esigere dei cambi in questa ortografia che finalmente abbiamo e che è usata in giornali e riviste, digitali e cartacei, in libri originali e tradotti, bisogna richiedere calma; anzi a parer mio, per adesso non bisogna toccar nulla. In materia di ortografia i cambi non sono mai graditi dai parlanti la lingua e da chi la scrive. Si può affermare che questi odiano ogni novità al riguardo. Si pensi un po’ alle proteste sorte in Francia in queste ultime settimane per i suggerimenti di cambio proposti nell’ortografia dall’Académie Française. È certo però che per opporsi a cambi ortografici nella propria lingua, la gente deve eseere stata educata e istruita in quella lingua. E ciò finora in Sardegna non si è dato. Ed è quello che si pretende: la scuola in sardo. Articolo 6 del Manifesto di Girona sui Diritti linguistici sottoscritto dal PEN International che riunisce gli scrittori di tutto il mondo: L’istruzione scolastica deve contribuire al prestigio della lingua parlata da una comunità linguistica del rispettivo territorio. * L’articolo è stato scritto originariamente in lingua sarda per la rivista digitale Limba Sarda 2.0.
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Il discorso che qui ho letto va bene, ma solo come canovaccio di un’impresa molto elaborata e… più semplificata. Esempio, se Garcia Marquez e l’Academie de France propongono semplificazioni grafiche, non vedo perché non li si debba seguire. Invece no, si insiste a tenere CHELU al posto del più semplice e intuitivo KELU. Per contro, ci si imbestialisce a considerare sacre le etimologie del Wagner mentre sono tutte sbagliate; ed essendolo, è ovvio che si sbaglia clamorosamente nell’impresa di ricavare la parola sarda originaria. Chi dice che GHENNARGIU sia la parola originaria? E chi dice che bennarzu sia meglio di ennarzu? Caro Giagu Ledda, in te vedo un cattivo maestro. Avresti bisogno di ripassarti la storia della lingua sarda, e di leggere qualche libro di linguistica del quale nemmeno subodori l’esistenza.
Io non parlo da linguista, caro Dedola, non lo sono. La mia specializzazione è ben diversa. Parlo da sardo che desidera che la lingua nata in questa terra sia insegnata a scuola per contribuire al suo prestigio. Vedi, l’allergia è una risposta esagerata del sistema immunitario di un paziente a una sostanza normalmente inoffensiva. Chi la ha sviluppata, nel tuo caso traspare una allergia sotterranea alla normalizzazione del sardo, quando entra in contatto con l’allergene, libera una serie di sostanze responsabili dei sintomi e segni della malattia. Nel tuo caso sono: disordine espositivo, supponenza e sdegnosa superiorità (le etimologie del Wagner sono tutte sbagliate, assicuri) fino ad insulti con tono di sussiego. Per ultimo: non chiedere a me perché sono state respinte le proposte di García Márquez di pensionare l’ortografia castigliana, chiedilo alle decine e decine di scrittori universali in questa lingua.
ghennrazu, bennarzu, ennarzu. In Goceano, a Bultei, diciamo: zannarzu. Cari Tola e Giagu Ledda, qual è la dizione o la scrittura esatta? Cordialmente, Andrea Fenu
In nessuna lingua del mondo uno sceglie arbitrariamente come scrivere un vocabolo. Tutti i vocaboli che costituiscono una lingua devono essere codificati da regole precise di scrittura. Non significa però che tutte le parole debbano essere pronunciate alla stessa maniera. Diciamo: kurpa; kulpa; krupa; kuipa; kupa ma scriviamo curpa. Esattamente come succede nelle altre lingue di prestigio.