Benvenuti al “Viaggio di ritorno” qui riciclare rifiuti è un’opera d’arte [di Tomaso Montanari]

viaggio di ritorno

La Repubblica, 16 luglio 2016. «Se non tornerete come bambini, non entrerete nel paradiso», cioè nel giardino di Dio. È questa frase del Vangelo di Matteo a martellare la fantasia camminando, in stato di grazia, nel “Viaggio di ritorno”: che è uno spettacolare parco di sculture contemporanee nel sud della Toscana. Il ritorno annunciato dal titolo, infatti, è un ritorno alla comunione infantile con la natura e con l’umanità: e il giardino è capace di infondere una serenità da oasi, appunto, paradisiaca.

Tutto comincia nel 2002, quando Rodolfo Laquaniti — bioarchitetto nato in Calabria, e laureatosi a Firenze, dove si manteneva facendo il modello per le sfilate di Pitti — lascia la città per ristrutturare un casale, nella Maremma di Castiglion della Pescaia. Qui, guardando alla tradizione tosco-romana che porta dal cinquecentesco Parco dei Mostri di Bomarzo al Giardino dei Tarocchi di Niki de Saint Phalle a Capalbio, Laquaniti decide di far nascere un giardino di statue.

Ma non lo fa acquistando i materiali nobili della tradizione italiana, ma andando in cerca degli scarti industriali, raccogliendo i rifiuti che ingombrano e lordano il nostro paesaggio: dalle lamiere alle bottiglie di vetro, dai vestiti ai tubi futuribili piovuti dai caccia militari che decollano dalla vicina base di Grosseto.

Seguendo le regole della bio-architettura — e dunque disposti secondo i punti cardinali, in comunione con la luce e con i venti — , i rifiuti si sono trasformati in grandi e piccole installazioni: la monumentale Balena che incanta i bambini, e che promette di restituirci migliori (come Giona, o Pinocchio) al mare della vita; la Sfera luminosa, alta otto metri, i cui vetri di fonderia si illuminano magicamente al tramonto; l’Arca dei migranti, che fa capire che questo paradiso non è una fuga dalla realtà, ma un luogo dove attingere la forza per cambiare il mondo.

E poi una vera rivelazione: dentro un capannone sfilano in silenzio cento figure umanoidi, un esercito di mutanti costruiti di immondizia e guidati da un cavaliere solenne e inquietante. Una schiera imprevedibilmente bella: che ricorda quella degli armati medievali del Museo Stibbert a Firenze, se solo si potesse ibridarla con la fauna intergalattica del bar di Guerre Stellari.

Laquaniti non è l’unico artista che trasforma i rifiuti in arte. Il più famoso è forse Vik Muniz, il cui straordinario lavoro nelle discariche brasiliane è stato raccontato al mondo dallo struggente Waste Land (2010). E fa una certa impressione ricordare che al centro di quel film c’è l’enorme, infernale immondezzaio di Jardim Gramacho, nello stato di Rio de Janeiro, poi chiuso nel 2012. Lì un sobborgo che si chiamava Jardim, cioè giardino, e che era dotato di una preziosa zona umida, era stato trasformato in una delle discariche più grandi del mondo: simmetricamente, nel “Viaggio di ritorno” italiano i rifiuti si trasformano in un giardino incantato.

Tuttavia, quando Laquaniti parla delle sue opere non parla mai di rifiuti, ma di «scarti»: e guarda questi materiali con lo sguardo amoroso di chi ha raccolto un trovatello, di chi ha saputo scoprire il genio negli occhi di un incompreso. È lo stesso linguaggio di colui che potrebbe essere il più appassionato visitatore del giardino maremmano: papa Francesco, che ha fatto della riflessione sugli «scarti» e sugli «scartati» dalla società un perno della sua predicazione.

Tanto da volere, negli aulici Giardini Vaticani, le sculture di Alejandro Marmo, un artista di Buenos Aires che è stato scartato lui stesso (finendo tra quelli che il papa chiama i giovani «né né», quelli che né studiano né lavorano), e che si è riscattato trasformando in opere d’arte gli scarti industriali che raccoglieva nelle baraccopoli argentine dove incontrò l’allora arcivescovo Jorge Maria Bergoglio, il quale aveva già bene in mente che «la pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra angolare» (secondo la profezia cristologica del Salmo 117).

Per realizzare il suo giardino, Laquaniti ha lasciato Firenze, che è ormai la capitale mondiale di un’arte ridotta a lusso. Un’arte in vendita, che celebra l’onnipotenza del mercato e il culto del denaro. Remotissima da tutto questo è la frase che Bergoglio disse a Marmo: «Tu hai un dono di Dio, abbine cura e non venderti». Perché — e ora è il papa che scrive — «il ruolo dell’artista è contrastare la cultura dello scarto», e denunciare «la sporcizia più brutta: il dio denaro».

Conoscere il giardino del “Viaggio di ritorno” significa comprendere tutto questo: perché esiste anche un’altra arte, un’arte che serve a tornare. A tornare umani.

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