Quella strana insofferenza del sindaco di Cagliari per i migranti accampati sotto il suo ufficio [di Vito Biolchini]

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Il sindaco di Cagliari Massimo Zedda è evidentemente un recidivo: già un anno fa in piazza Matteotti, proprio davanti al suo ufficio in municipio, si era verificata un’emergenza legata alla presenza di migranti (ecco il mio post dell’11 agosto 2015: “Ma il comune di Cagliari non può fare proprio niente per i migranti che dormono in piazza Matteotti?”).

In quell’occasione, con grande riluttanza e dopo l’intervento dell’opinione pubblica e di un politico di centrodestra (Piergiorgio Massidda), per i migranti era stata trovata una più decorosa sistemazione alla Fiera (ed ecco il post con i relativi commenti: “A Cagliari una iniziativa di accoglienza straordinaria per i profughi eritrei”).

Ora la storia si ripete. Da settimane la centralissima piazza Matteotti è un bivacco di ragazze e ragazzi africani che, nella speranza di lasciare presto l’isola, hanno abbandonato i centri di accoglienza cui erano stati assegnati per stare vicino al porto. La situazione è evidentemente precaria, e c’erano due modi per affrontarla: come ha fatto il deputato Mauro Pili (cioè da destra), avanzando ragioni di ordine sanitario e di decoro (che pure esistono) per sbaraccare l’accampamento; oppure da sinistra, impedendo che la dignità dei migranti venisse calpestata in questo modo e trovando per loro in tempi rapidi una sistemazione alternativa.

Ebbene, Zedda (astro nascente della sinistra italiana) non ha fatto né una cosa né l’altra: semplicemente, ha fatto finta di niente, sperando che nessuno si accorgesse dell’accampamento proprio sotto il suo ufficio e sbandierando scuse da scuola media (“Nessuno dei migranti è stato assegnato a centri cagliaritani, vengono da altre parti dell’isola”) pur di non fare nulla, di non proporre nulla, di non risolvere nulla.

A questo osceno scaricabarile hanno poi partecipato la Regione e la Prefettura, in un balletto di competenze che al momento non ha risolto niente: i migranti sono ancora in piazza Matteotti, in una situazione poco dignitosa e decorosa sia per loro che per l’intera città.

Nel frattempo ovviamente è arrivata la destra, con il suo carico di slogan carichi di odio e di irresponsabilità. Domani in piazza Matteotti manifesterà quella sparuta frangia di neofascisti cagliaritani passati a “Noi con Salvini” e la vicenda di piazza Matteotti sarà un ottimo combustibile per alimentare anche nella nostra opinione pubblica quello strisciante clima di intolleranza che è il vero cancro di questi tempi terribili che viviamo e che dovremmo combattere ancor più del razzismo stesso, quello dichiarato e conclamato.

Ai migranti accampati in piazza Matteotti bisognava dare subito delle risposte, in nome dei valori di accoglienza che diciamo di voler incarnare, per rispettare veramente la loro dignità e impedire che una questione tutto sommato gestibile sfuggisse di mano, creasse un oggettivo e comprensibile malumore nell’opinione pubblica per poi venire strumentalizzata dalla destra.

Invece così non è stato: anche stavolta il sindaco di Cagliari (astro nascente della sinistra italiana) ha mostrato una strana insofferenza per i migranti accampati sotto il suo ufficio, dando il via ad un imbarazzante scaricabarile tra istituzioni. E domani noi ci abbiamo i neofascisti in piazza. A questo punto però una domanda sorge spontanea: perché prendersela con la destra che fa la destra, quando poi a Cagliari è la sinistra che non fa la sinistra?

One Comment

  1. Gino Melchiorre

    I post di Vito Biolchini sono sempre informati, argomentati e intelligenti. Qualità che, oggi, vengono guardate con grande sospetto. Perché a un giornalismo del genere uno non c’è più abituato. Forse è per questo che è oggetto di campagne denigratorie che non entrano nel merito di quanto descrive. Si limitano all’invettiva.

    Vorrei aggiungere solo una nota (non di dissenso, ma di commento) a ciò che dice.
    Biolchini parla di sinistra e destra come fossero entità distinte e legate a principi fondativi, noti e condivisi dagli associati. Non è così. Ormai destra e sinistra esistono solo come indicazioni stradali. Perché come partiti politici hanno “esaurito la loro funzione propulsiva”, come diceva quel tale.

    Sono stati chiusi i luoghi associativi (vedi la sezione Lenin a Cagliari) in religioso silenzio, sono stati abiurati statuti, princìpi, scopi, vincoli ideali e simboli di appartenenza.

    Alcuni pensano che siamo tornati agli anni ’50. Magari fosse. In realtà – come scrive Biolchini – siamo un po’ più indietro. Siamo alle famiglie. E nemmeno quelle tipo Guelfi/Ghibellini o Montecchi/Capuleti. che, nel bene e nel male, esprimevano una cultura civica fatta di conflitti, ma anche di capacità politica e amministrativa.

    Oggi il conflitto funziona solo a (Uno) Mattina. Perché, a sera, Guelfi e Ghibellini, bianchi e neri, rossini e verdini, si ritrovano tutti in pizzeria, alla Loggia, ad Arcore o al Nazareno. Per mettere a punto democratiche spartizioni di potere tramite alleanze variabili e tradimenti trasversali.

    Niente di nuovo, certo: Dante era Guelfo di parte Bianca e si aspettava coltellate dalla fazione avversa. Invece è dai suoi colleghi di partito che gli arriva la condanna a morte. Ma lui, seppure dall’estero, ha avuto la possibilità di criticare quanto era accaduto e accadeva. Quei giudizi, redatti in forma di Cantiche (poveraccio, in mancanza di meglio era iscritto alla Corporazione degli Speziali) hanno prodotto un flusso ininterrotto di chiose e commenti.
    A volte non benevoli, ma sempre articolati e pertinenti.
    Non dei tweet del tipo: “Bello mio, sei un trombato invidioso. E pure ricchione. Lo sanno tutti che tutti sanno delle scappatelle in barca con Lapo e Guido. Lo ha detto anche Striscia la Notizia”.

    Noi siamo andati molto avanti con l’estetica tecnologica. Ma per poterlo fare con maggiore celerità, siamo tornati indietro con l’etica e l’ecologia politica. È la società dello spettacolo. Il quale non è un granché, ma è quello che passa il convento.
    E ora è con Tweet e Like che si forma la nuova “pubblica opinione”. È la Società dello Spettacolo e la DPT (Democrazia Partecipativa Taroccata).
    Taroccata perché, dagli incunaboli ai social, non è aumentata, come molti credono, la quantità di Informazione (intesa come evento talmente inedito e improbabile, da costringere l’utente a resettare il suo intero sistema di attese, di valori e di idee).
    È solo aumentato il numero degli strumenti di Comunicazione (intesi come formidabili diffusori di stronzate che, nella ripetizione, trovano autorevolezza, senso e consenso).
    È la stessa democrazia taroccata che chiede al pensionato-elettore di dire se è favorevole alla scissione o alla fusione dell’atomo.

    La cosa più curiosa è che “la situazione è drammatica ma non seria”. Perché il taroccamento è evidente e rozzo. E anche i post di Biolchini e di altri, sono un buon contributo per il loro disvelamento e sputtanamento.
    Naturalmente c’è anche chi non condivide. E chi lancia solo anatemi e invettive forse perché non è in grado di dissentire in modo più civile e articolato.
    Ci sono ancora cospicue sacche di imbecillità? Ma certo: tra idraulici e intellettuali, tra giornalisti e palombari, tra conservatori di sinistra e progressisti di destra. Del resto, decenni di pensiero debole, di riduzione di ogni complessità a semplicità, e di Masanielli e Ciceruacchi, perché avrebbero dovuto colpire solo la casalinga di Voghera e risparmiare tutti gli altri? Decenni di Drive-in e di Amici di Maria, di “Capitali coraggiosi” e di “Abbiamo una banca”, di “Siamo tutti americani” e di “hanno pagato la mia casa, ma a mia insaputa”, è normale che abbiano lasciato il segno.

    Noi siamo quelli che hanno fatto l’Italia a colpi di referendum “popolari” in cui, su cento cittadini, cinquanta non avevano diritto di voto, trenta non sapevano leggere e scrivere, e quindici erano pagati dagli agenti di Cavour. Gli altri cinque se ne fottevano beatamente.

    Malgrado ciò abbiamo scritto una Carta costituzionale ottima e efficace. Perciò va cambiata. In modo che il 20% del 40% che va a votare, abbia il 100% del potere decisionale.

    Abbiamo eletto liquidatori di aziende e corruttori di giudici a presidenti del Consiglio. E i commentatori più saggi e lungimiranti, invece di considerare la possibilità di spararsi una revolverata, spiegavano a Porta a Porta e a Ballarò che “non c’erano alternative”.

    Allora siamo tutti vittime e insieme carnefici? Tutti innocenti perché ugualmente colpevoli? Siamo tutti nella stessa barca? Non proprio. Perché alcuni si sono rifiutati di andare a Porta a Porta a sparare cazzate: non sono stati sbarcati, ma solo messi a pane e acqua. Altri invece sono scesi a Saint Tropez e, aperitivo in mano, sollecitano a gran voce i galeotti in attesa di capire se la barca affonda o no.

    Che fare? Non lo so. Credo che per il momento sia necessario resistere. E continuare a parlare e ascoltare chi è interessato a fare altrettanto. Ma credo che sia anche il momento di mandare educatamente affanculo chi pronuncia sintetici ostracismi e anatemi contro ogni critica o dissenso.
    Perché – com’è noto – la Resistenza ha un limite.

    Gino Melchiorre

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