L’Huffington Post 23/07/2016. Dunque, sappiamo a questo punto che i complici dell’attentatore di Nizza Mohamed Bouhlel sono passati da Ventimiglia, e sappiamo anche che questi complici compongono un gruppo più numeroso del previsto.
Notizie filtrate dalla procura di Roma che, secondo il Messaggero, è convinta che alcuni di questi complici abbiano vissuto nel nostro paese, in Puglia in particolare. La figura più interessante del gruppo é Chokri Chafroud, il 37enne tunisino definito l’altra mente del massacro di Nizza. Ha passato parecchi anni in Italia, a un certo punto ha lavorato come general manager di una masseria tarantina. “Chafroud sarebbe stato visto a Gravina in Puglia solo poche settimane fa“, scrive ancora il Messaggero. Il legame di questo uomo con l’attentato Nizza pare oggi chiarito del tutto: il suo Dna è stato trovato sul tir di cui si è servito Bouhlel per uccidere 84 persone.
C’è qualcosa che dobbiamo dirci in merito a questa nuova pista? Qualche giorno fa, subito dopo Nizza, ho scritto in un blog che ci sono cinque domande sulla nostra sicurezza. Cinque domande le cui risposte non ci fanno sentire affatto al sicuro. La più importante delle cinque ha a che fare con un dubbio: siamo certi che in Italia non stiamo guardando dall’altra parte mentre il nostro paese sta diventando una base operativa per l’Isis? Non credo di essere la sola a farsi questa domanda. Le tracce che il terrorismo Europeo lascia nel nostro territorio continuano infatti a farsi sempre più consistenti. Mi limito a ricordare qui le più rilevanti.
Tornando all’attentato di Nizza, I controlli su colui che guidava il camion, Bouhlel, avviati a Roma dal procuratore aggiunto Francesco Caporale e dal pm Francesco Scavo hanno permesso di ricostruire un ulteriore dettaglio: “ad agosto quando per l’ultima volta Bouhlel è stato controllato a Ventimiglia, mentre lasciava il paese, era accompagnato non da una, ma da ben quattro persone. Due franco tunisini come lui, con doppio passaporto, e due marocchini che avevano un permesso di soggiorno francese“. Oltre al tunisino, gli investigatori italiani e francesi cercano anche una donna albanese Enkeledja Z. che con il compagno Artane H. avrebbe fornito la pistola a Bouhlel.
Nell’autunno del 2015 è passata da Ventimiglia cercando di trasportare su un tir nove persone senza permesso, tra cui tre siriani e tre eritrei. Venne denunciata per favoreggiamento dell’immigrazione illegale. E se si fosse trattato invece di un passaggio illegale a potenziali terroristi? Ma le tracce di una attività logistica che passa per l’Italia ci sono in altri attentati recenti. Vediamo altri casi importanti, quelli di Khalid el-Bakraoui e Abdeslam Salah, due dei membri della cellula che ha pianificato e realizzato gli attentati di Parigi e Bruxelles.
Khalid el-Bakraoui è il terrorista che alle 9.11 del 22 marzo di quest’anno si fece esplodere in una carrozza della metropolitana appena fuori dalla stazione di Maelbeek a Bruxelles. Suo fratello, Ibrahim, si era fatto esplodere alle 7.58 del mattino dello stesso giorno all’aeroporto Zaventen di Bruxelles. Insieme i due hanno ammazzato 31 persone. Khalid El Brakraoui il 23 luglio del 2015 era atterrato all’aeroporto di Treviso con un volo Ryanair proveniente da Bruxelles. Al momento del check-in El Bakraoui si è registrato con un documento d’identità belga. Il giorno dopo Khalid prende un volo Volotea in partenza dall’aeroporto di Venezia alle 6 con destinazione Atene e nelle 22 ore che resta in Italia pernotta presso l’hotel Courtyard by Marriott Venice Airport di Venezia.
Una settimana dopo Khalid, è la volta di Abdeslam Salah: il 1 agosto è a Bari, in auto con un amico, per imbarcarsi per la Grecia. Nei quattro giorni successivi sparisce – gli investigatori ipotizzino possa essere arrivato anche in Siria – e si ripresenta a Bari con il traghetto proveniente dalla Grecia il 6 mattina. Nel suo viaggio di ritorno verso Bruxelles utilizza 3 volte la carta di credito, per fare rifornimento, e poi lascia l’Italia. Abdeslam Salah è’ accusato di aver partecipato all’attentato del Bataclan a Parigi il 13 Novembre del 2015 (130 vittime ); era il guidatore che ha portato i vari terroristi sui luoghi dell’attacco e di aver praparato per loro gli esplosivi. Catturato, dopo una lunga caccia all’uomo, nel quartiere di Molenbeek è oggi uno dei due solo terroristi vivi degli attentati di Parigi.
C’è poi la filiera dei documenti falsi. Uno dei protagonisti è Djamal Eddine Ouali, l’algerino che secondo i belgi faceva parte di una rete che avrebbe fornito documenti a Salah, Laachroui (uno dei due kamikaze di Zaventen) e a Mohammed Belkaid, l’uomo rimasto ucciso nel blitz che ha portato alla cattura di Salah. Ouali ha passato tre mesi in Italia, passando per il Brennero: chi ha visto? Chi ha incontrato? E ancora, c’è il marocchino Mohammed Lahlaoui arrestato in Germania qualche giorno dopo l’attentato di Bruxelles.
Sul suo telefonino, ha scritto il settimanale Der Spiegel, gli investigatori hanno trovato contatti e sms proprio con Bakraoui. Lahlaoui ha vissuto a Vestone, nel Bresciano, tra il 2007 e il 2014 da cui due anni fa fu espulso ma anziché tornare in Marocco è andato in Germania. C’è infine un episodio molto interessante: l’arresto del 38enne iracheno Ridha Shwan Jalal fermato mentre tentava di imbarcarsi per la Grecia proprio il giorno in cui Salah rientrava in Italia. L’iracheno è l’uomo che mesi prima, in un’agenzia a Matera, aveva chiesto un preventivo per 20 biglietti aerei dall’Iraq a Parigi. Gli iracheni sarebbero dovuti partire a gruppi di 5 dall’aeroporto di Sulayrmaniyah, nel Kurdistan, e arrivare a Parigi dopo uno scalo ad Istanbul.
Tutti i dati qui riportati sono ufficiali. Le autorità stesse li hanno comunicati. Di casi ce ne sono altri, sia pur non chiariti. Ma non basta questa lista a farci concludere che l’Italia è a serio rischio di diventare base di supporto logistico per il traffico di terroristi da e per Siria e Iraq? Gli esperti rispondono che per ora in Italia ancora non c’è una filiera stabile. Ma è sufficiente? Stiamo facendo il possibile?
Scrivevo nel blog di pochi giorni fa, siamo certi che non alberghi da qualche parte del nostro sistema la vecchia tentazione magari di non andare fino in fondo, magari anche con la buona intenzione, di tener l’Italia in una zona di relativa sicurezza rispetto al pericolo attentati. Una strada malamente percorsa e catastroficamente finita negli anni settanta/ottanta dal nostro paese nei confronti del terrorismo palestinese.
E anche se rispettiamo la discrezione del nostro sistema di sicurezza e anche se non facciamo di ogni erba un fascio, perché capiamo la differenza fra i diversi settori dell’apparato statale, una risposta a questo punto sarebbe necessaria averla.
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