Caro Pigliaru, non è questo Patto che cambierà la storia della Sardegna ma un nuovo Statuto di sovranità e una nuova legge elettorale [di Vito Biolchini]

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Il Patto per la Sardegna firmato a Sassari da Matteo Renzi e Francesco Pigliaru non è né quell’atto “storico” evocato dal rettore dell’Università di Sassari Massimo Carpinelli né quell’”imbroglio” di cui parla l’ex presidente della Regione Ugo Cappellacci. Probabilmente è un buon risultato per l’isola, perché un miliardo e mezzo di risorse aggiuntive (il resto sono fondi ordinari che sarebbero arrivati comunque, a prescindere dai due presidenti) di questi tempi non sono da buttare via.

Dato atto a Pigliaru il merito di questo successo (uno dei pochi di questi suoi primi due anni e mezzo di governo) e preso e portato a casa questo miliardo e mezzo, si tratta di capire come verrà investito: per fare cosa e in quali tempi. E qui la strada che abbiamo davanti ci appare in salita. Al momento infatti sappiamo solo che accanto ad ogni voce è stata messa una cifra, ma non sappiamo quali progetti concreti verranno attivati né in quali tempi troveranno realizzazione. Abbiamo i soldi: ma qual è il piano? Non si sa. E così, complice anche la totale assenza di trasparenza (perché il documento sottoscritto oggi a Sassari, frutto di ben sedici mesi di trattative, non è stato reso pubblico e messo on line in tempo reale?) il Patto è poco più di un atto di fede.

Inoltre, va rimarcato che è semplicemente puerile ritenere che il Patto e le risorse ad esso collegate possano colmare il gap di sviluppo tra la Sardegna e il resto dell’Italia: i tre miliardi generosamente sbandierati corrispondono infatti a meno di quanto ogni anno la Sardegna spende di tasca sua per il proprio servizio sanitario, e nel dossier consegnato da Pigliaru a Renzi lo scorso anno c’era scritto che i costi aggiuntivi dell’insularità ammontavano a ben 600 milioni di euro l’anno. Quindi, di cosa stiamo parlando?

Certo, era importante tracciare la strada. In questo caso non sarà quindi l’entità delle risorse a fare la differenza ma il modo in cui verranno allocate. E qui veniamo alle note dolenti: perché le parole pronunciate a Sassari da Pigliaru ma soprattutto da Renzi non fanno presagire nulla di buono. Nessuno dei due infatti ha parlato di nuovo modello di sviluppo per l’isola ma entrambi hanno invece collocato queste nuove risorse all’interno di una visione vecchia ed eterodiretta.

Renzi ha parlato ancora del polo dell’alluminio di Portovesme, di servitù militari, di chimica verde e di Qatar come delle vere opportunità per la nostra isola. Ebbene, se le risorse del patto verranno utilizzate per favorire le politiche di sviluppo dell’Eni, di Finmeccanica, della Glencore, di Alitalia e del Qatar, quelle risorse solo nominalmente saranno dei sardi; di fatto continueranno ad alimentare un modello fallimentare per noi e grandiosamente vantaggioso per tutti gli altri.

Sotto questo aspetto, la vigilanza di quel poco che resta dell’opinione pubblica sarda dovrà essere massima: perché già una volta nella nostra storia isolana delle risorse che arrivavano dall’Italia per colmare il gap col resto del paese hanno invece beneficiato soprattutto le grandi imprese e poco i sardi.

Purtroppo l’assenza di dibattito pubblico schietto e partecipato ci penalizza. Ad esempio, visto che nessuno ha uno straccio di idea sul futuro industriale dell’isola, ha ancora senso puntare sulla metanizzazione? Di sicuro le grandi opere ad essa connesse sicuramente farebbero felice l’Eni. Ma servirebbero ai sardi?

E per quanto riguarda i trasporti, ha senso dare soldi ad Alitalia quando la prima compagnia che è stata capace di togliere dall’isolamento i sardi è stata Ryanair? Il rischio è dunque che Pigliaru deleghi allo Stato italiano e alle multinazionali vicine a Renzi il modello di sviluppo per la Sardegna, senza offrire all’isola la possibilità di essere protagonista e di immaginare un futuro diverso.

(Lo avevo scritto due anni fa (era il 30 agosto 2014) e ora lo ribadisco: “Fedeltà a Renzi e tappeti rossi per le multinazionali: è questa l’idea di Pigliaru per la Sardegna?”). Poi però c’è anche l’altro corno del problema, quello che attiene alla capacità della Regione Sardegna di spendere efficacemente queste risorse. Ebbene, dopo due anni e mezzo di governo, possiamo serenamente affermare che questa giunta regionale non è adeguata alla grande sfida che ha davanti, semplicemente perché ne ha perduto altre ben più abbordabili.

La responsabilità di questo fallimento è tutta in capo al presidente Pigliaru: che ha sbagliato non tanto ad avere scelto le persone sbagliate (ma anche quello è stato un errore) quanto a tenerle ancora lì dopo due anni e mezzo di evidenti inadeguatezze. Il rimpasto poteva e doveva essere fatto subito, dopo i primi sei mesi di governo, ma Pigliaru non ha avuto il coraggio di farlo; e ora c’è il rischio che per effetto di un perverso gioco politico, quelle forze che con i loro assessori hanno fatto peggio corrono il rischio beffardo di essere premiate. Di sicuro questa giunta non è all’altezza della situazione.

E Pigliaru? Con la firma del sedicente “Patto per la Sardegna”, il presidente ha ottenuto il massimo possibile dalla sua azione politica: nei prossimi due anni e mezzo di governo dovrà solo dimostrare con i fatti che la riforma degli enti locali, la riforma sanitaria e questo accordo sono in grado di portare benefici reali e misurabili ai sardi. Se ciò non avverrà, il suo fallimento sarà certificato.

Io penso però che la sfida da affrontare sia un’altra e sia se vogliamo ancora più ambiziosa. Perché non sono i Patti come quello firmato oggi ad assicurare un futuro migliore alla nostra isola, ciò che serve sono nuovi poteri, più responsabilità e più partecipazione alle scelte: quindi una nuova legge elettorale e di un nuovo statuto di sovranità per la Sardegna.

La legge elettorale che ha premiato Pigliaru ha lasciato fuori dal nostro parlamento schieramenti premiati dal voto di decine e decine di migliaia di sardi. E il vecchio statuto di autonomia oggi rischia di essere uno strumento di conservazione e non di progresso. Quindi se Pigliaru vuol fare veramente la storia ha queste due sfide davanti. Il tempo ci dirà se ha la statura politica per affrontarle e vincerle.

 

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