“La mia Barcellona più giusta, accogliente e indipendente” [di Elena Marisol Brandolini]
Il Fatto Quotidiano, 31 luglio 2016. Ada Colau, un anno da alcaldessa : come sta trasformando la città? Barcellona è una città che genera molta ricchezza, ma dove è cresciuta la diseguaglianza. Abbiamo messo in moto un piano di interventi per i quartieri con indicatori di povertà più alti: non vogliamo una città divisa in due. Poi siamo intervenuti sulla questione della casa, la crisi ha provocato migliaia di sfratti. Abbiamo contrattato con entità finanziarie appartamenti da affittare a canone sociale: in 4 mesi ne abbiamo ottenuti oltre 500; nei 4 anni precedenti erano stati appena 19. Abbiamo interpellato le grandi imprese energetiche, sottoscrivendo intese per evitare il taglio dell’erogazione di energia, il cui mancato rispetto darà luogo a sanzioni. Che modello di sviluppo economico vi proponete? Abbiamo fatto la moratoria delle licenze per nuovi appartamenti turistici (gli Airbnb, ndr) perché la situazione era fuori controllo, per fare del turismo un’attività sostenibile e solida. Stiamo scommettendo anche sulle energie rinnovabili. Lei ha lanciato la costruzione di una rete delle città per l’accoglienza dei rifugiati. L’Europa si è chiusa con una politica delle frontiere che viola i suoi principi giuridici oltreché etici, condannando migliaia di persone alla morte. Allora abbiamo detto che vogliamo essere “città rifugio”. Molte città spagnole ed europee vogliono essere città di accoglienza e così abbiamo fatto una rete di città. Abbiamo inaugurato il contador de la vergonya, che conta il numero delle morti nel Mediterraneo che si possono evitare. Ha annunciato un piano contro l’islamofobia in piena epoca di stragi jihadiste. Se vogliamo vivere in uno spazio sicuro per prima cosa dobbiamo combattere il razzismo e capire che chi viene in Europa chiedendo asilo fugge dal terrorismo. Il razzismo alimenta quella polarizzazione di un “noi”e un “loro”che interessa il terrorismo. Lei parla di cooperazione e non competizione tra le città. È il momento di dare più riconoscimento e competenze alle città. Di cooperare, per fare meglio con più forza. Bisogna superare la logica basata sugli Stati e ricostruire una gov ernanc e più femminile, e dal basso, dalle città. I grandi cambiamenti non si producono con una tornata elettorale o una legislatura. Stiamo assistendo a un cambio d’epoca. Il sistema di partiti è entrato definitivamente in crisi. Siamo in una fase di transizione. Come valuta l’attuale situazione di stallo? Se dobbiamo andare a terze elezioni ci andremo. Certo, sarebbe meglio se ci fosse un governo. A me non va bene qualunque governo, ma un governo alternativo al PP, perché credo sia possibile. L’ostacolo principale è il Partito socialista, diviso al suo interno, e che non riesce a digerire la perdita di egemonia a sinistra e la fine del bipartitismo. In un momento di impasse fra lo Stato e la Catalogna per l’attitudine del PP che non ha voluto aprire alcuna via di dialogo, che ci sia una maggioranza parlamentare che in maniera legittima, votata dalla cittadinanza, fa una commissione per tentare di sbloccare la situazione e porti i suoi risultati al Parlamento, a me sembra inequivocabile. U n’altra cosa è se sia utile, possibile che non lo sia. Ma che sia legittimo è fuor di dubbio. Nel 2011 lei passeggiava con suo figlio in carrozzina per Plaça Catalunya, in mezzo agli Indignati: com’è cambiata la sua vita da allora? Per me, il cambio politicamente più importante è avvenuto con la Plataforma Afectados por la Hipoteca: il fatto che tanta gente impoverita dalla crisi fosse capace di mettersi insieme, darsi potere e cambiare l’agenda politica, cominciando a risolvere un problema grave come gli sfratti, mi ha dato un ottimismo democratico. L’altra grande trasformazione è stata la maternità, che mi ha resa ancor più ottimista perché mio figlio mi riconcilia con la vita e con il meglio dell’essere umano. La terza cosa meravigliosa è poter essere sindaca della mia città: un privilegio. La cittadinanza mostra di apprezzare? I cittadini ci dicono “siate onesti, spiegateci ciò che succede, non smettete di essere ciò che siete: vi abbiamo votati anche per questo”. Non ci dimentichiamo che veniamo dal movimento 15M (degli Indignados, ndr), da un processo di trasformazione cominciato fuori dalle istituzioni. Questo cambiamento va dentro e fuori le istituzioni.
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