A proposito di lingue “inventate”. La lingua sarda è in ottima compagnia [di Giagu Ledda]

patate

Il 25 luglio scorso la Nuova Sardegna ha pubblicato un articolo, a proposito della lingua sarda in internet e più in generale dello standard della lingua, titolato senza alcuna vergogna: “Il sardo sui social: la lingua inventata che nessuno parla“.

Ho pensato che gli ebrei dovevano avere una loro patria, ma non immaginavo unicamente una terra, sognavo che tutti gli ebrei un giorno potessero vivere la stessa lingua. È stato li, in un caffè del Boulevard de Montmartre, a Parigi, negli ultimi anni del 1800, che parlai in lingua ebrea con Getzel Zelikovitz e Mordecai Adelman. La conversazione non è stata lunga perché conoscevamo pochi vocaboli nella nostra lingua. Questa però è stata l’occasione che mi ha fatto capire che la lingua ebrea poteva ritornare a vivere.”

Sono parole di Eliezer Ben Yehuda, il padre della lingua ebrea moderna. Assieme al grande movimento di recupero dell’identità nazionale nasce, nel XIXº secolo, il problema di quale doveva essere la lingua comune degli ebrei che sarebbero andati nella loro terra storica da tutti gli angoli del mondo. Lo stesso Theodor Herzl, ispiratore del sionismo politico, era contrario all’uso dell’ebreo,

Come faremo per comprare un biglietto di treno in ebreo se non abbiamo né la parola biglietto, né la parola treno – si chiedeva Herzl – sarebbe meglio seguire l’esempio della Svizzera – affermava – tre lingue.”  Il medico polacco L. Zamenhof aveva proposto in un primo momento come lingua comune degli abrei l’yddish, con grammatica modernizzata e sostituzione dell’alfabeto ebreo con quello latino. In seguito però ha ideato una lingua, l’esperanto, che a suo parere doveva servire agli ebrei.

Eliezer Ben Yehuda, invece, voleva dare una nuova vita all’ebreo biblico, lo voleva far diventare la lingua di tutti gli ebrei, e la maniera di restaurarne l’uso era quella di impiegarla come lingua quotidiana e veicolare, in Palestina, nel sistema educativo ancora agli inizi. Come dire biglietto, treno, bicicletta o elettricità se queste parole non esistevano duemila anni orsono e che neanche ora possediamo, si chiedeva.

Per creare una quantità immensa di neologismi, migliaia e migliaia, Eliezer Ben Yehuda studia in profondità la Bibbia ricavandone spesso molte parole. Quando ha avuto la necessità di un termine che indicasse l’elettricità, è andato a prenderlo nella Bibbia: “un metallo brillante” (jashmal, in ebreo) vede il profeta Ezechiele. E “jashmal” è oggi l’elettricità in ebreo.

Mi viene ancora da ridere quando penso che l’ebreo biblico aveva soalmente tre colori: il bianco, il rosso e il nero. Le belle ragazze avevano, per forza, una pelle bianca come la neve, le guance rosse e i capelli neri come la pece.”, scrive Eliezer nel suo diario. Se non ci aiuta un’amico, si chiedeva, chi altri ci può aiutare? E l’aiuto lessicale lui lo va a cercare nell’aramaico, nell’arabo, in altre lingue entrate in contatto con l’ebreo come la latina, la greca, e altre lingue moderne.

Il polpo, mollusco, non appare nella Bibbia, ma bisognava dargli un nome perché la gente che lo comprava nei mercati doveva conoscere in ebreo il suo nome; dall’aramaico “tamane“, otto e “nun” pesce, Ben Yehuda ha coniato il termine “temanú“, pesce con otto braccia. Questo mollusco dunque ha il suo nome in ebreo.

O ha imitato formule adottate da altre lingue. Nel XVIº secolo le lingue europee hanno dato nomi a frutte e piante sconosciute fino allora, come la patata o il granturco. In francese il nome della patata è “pomme de terre” (anche in sardo esiste il termine “pumu de terra“, in disuso).

Nella Bibbia esistono le parole mela e terra; il nome dato in ebreo alla patata è “tapúaj adamá”, mela della terra. Per dare il nome all’arancia, ispirandosi all’italiano “pomodoro“, mela d’oro, in ebreo gli da nome di “tapúaj zahav”, mela d’oro. Per creare altri neologismi si è ispirato anche all’imitatzione di suoni: dalla parola francese “pupée“, bambola, (“pupia” in sardo) in ebreo è nata la parola “bubá“. Tutto questo però è costato a Eliezer sopportare ogni genere di scherzi, sbeffeggiamenti, e anche aggressioni fisiche, di molti ebrei di Gerusalemme.

L’ampliamento lessicografico non bastava però da solo a ridar vita a una lingua. Bisognava modernizzarne la grammatica, la sintassi e revisare l’ortografia. E questo è stato il grande lavoro di Ben Yehuda e di chi l’ha seguito. L’ebreo moderno usa la pronuncia sefardita, ma per leggere la Torah, ciascuno fa servire la sua pronuncia. Agli immigranti che arrivano in Israele insegnano l’ebreo standard, basato nell’ebreo sefardita adattato alla fonologia askenazi.

Ma questa è una lingua di plastica, una lingua inventata direbbe qualche accademico in ermellino, accompagnato dal ghigno di un reggicoda e dagli applausi e risatine della servitù. Professore, abbia il coraggio di dire ad Amos Oz o a David Grossman che scrivono in una lingua di plastica, inventata; o protesti pure, in tocco e toga, con la commissione del Nobel di letteratura per aver concesso nel 1966 a Yosef Agnón il premio alla sua opera scritta in una lingua di plastica, inventata; e degli oltre 6.000 titoli che si editano ogni anno in quella stessa lingua di plastica, inventata, che dice?

P.S. Questo articolo è stato scritto in originale in sardo per la rivista Limba Sarda 2.0 e tradotto in seguito in italiano.

 

 

2 Comments

  1. Mario Zedda

    E’ evidente che a ben pochi sardi interessa realmente la situazione della lingua sarda, ormai definita a torto o a ragione una lingua inventata o lingua di plastica. Addirittura c’è qualcuno che si fregia di questo termine paragonando il sardo ad altre lingue dove è palese una diversità storica estrema, come quella del popolo ebraico disseminato per millenni in tutte le nazioni della terra ove ha assimilato lingua e costumi incompatibili con la nascita dello stato. I sardi, grazie a Dio non hanno questa necessità, non hanno carenza di lemmi e neanche una limitazione ideologica che ne impedisca l’acquisizione di nuovi. Per sapere quali sono realmente le lingue inventate sul pianeta terra, è sufficiente una piccola ricerca tipo https://it.wikipedia.org/wiki/Lista_di_lingue_artificiali per capire che la lingua sarda non meriterebbe di stare in quell’elenco, se non, invece di considerarci, ormai senza vergogna e a pieno titolo, una colonia italiana, non riteniamo più dignitoso identificarci come membri dell’impero galattico di guerre stellari. Certo che è necessario normalizzare il sardo, ma va fatto bene. Per valutare le vostre scelte venite a Cagliari e nel Campidano, parlate con la gente e se, anche se riusciste a convincerci che non operate per vostro interesse personale, o dei vostri amici o dei vostri familiari o per mero interesse di parte, dovrete comunque prendere atto di una realtà ben diversa da quella sbandierata. Dove si è lavorato seriamente per normalizzare una lingua hanno affrontato processi ben più seri e programmati, non ultimo quello di riportare il popolo a parlare nuovamente la propria lingua.

  2. Cun custi titulu, Cicitu Masala, faghent bintidusu annus a crasi, empetzada in s’Unione Sarda, una pretziosa collaboratzione in limba sarda. Avvisaiada su responsabile de pagina culturale de intzaras (a.t. fit marcadu in su giornale) ca sos benpensantes italianos (italiotas li naraiat Cicitu) s’hantessi furriaus contras s’initziativa, ca issos, no agradessint s’usu da sa limba sarda in su giornale. Sos matessi benpensantes de sa classe culturali sarda elitaria, chi Cicitu Masala dispretzaiada, giuntos a sa classe politica (Cicitu lis habia fentomaiados “canis de isterzu).

    In su primu de cincu de is articulos, chi formanta unu solu condaghe, Cicitu Masala faeddada de is tempus de sa pitzinnìa sua in Nughedu San Nicolò.

    “Su maistru”- arregordada su grandu escritori logudoresu – ” candu faiddamos in Sardu, nos atzottada po ses bortas sas manos: tres in sa dereta e tres in sa manca. Como “- continuaiada su poeta sardu de Nughedu – “deo cherzo atzoccare sas manos a sos italianos chi no faeddanta su Sardu”.

    Grandu omine, Cicitu. Faltas a sa Sardigna, faltas a sos Sardos, faltas a mei. Nois annos sunt passados de sa morte sua e s’avertet cada die s’assentzia de unu poeta de una simile mannesa. Ma bi sunt is iscritos suos a sinnare sa memoria. No iscaresciaus, o Sardos, sa letzione de Cicitu Masala.

    Deo no isco, como, ita Issu pentzaiada de sa Lingua Comune Sarda. Ma isco ita pentzada de sos omines chi faèddanta in Italianu ma pàppanta in Sadru. E isco ita pentzaiada de sa classi politica e culturale, de sos intellettuales benpensantes de Sardinna. Deo iscrio in Sardu cumente mi benet, sentz’e regulas e sentz’e plastica, ma arregordeussì ca Cicitu Masala nos hadi imparau ca su Sardu no est ni su campidanesu, ni su logudoresu, chi sunt dialettos contenidos in sa limba Sarda.

    E sa limba Sarda est in s’anima de sos Sardos.

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