Appesi al giudizio di Zunino. Zunino chi? [di Nicolò Migheli]

fiori

Anno di grazia 2016. Mese di agosto. Noi sempre lì, fissi. Come Pais-Serra che confutava l’uccisione rituale dei vecchi da parte dei nuragici. Come i soldatini sardi sul Carso, desiderosi che lo stigma di etnia criminale si tramutasse in etnia combattente. Appesi al  ite narant de nois sos continentales, come se lo sguardo straniero fosse determinante per definirci.

Corrado Zunino di Repubblica scrive: “Non sale dalla profonda Barbagia il racconto del maltrattamento dei piccoli alunni. Tocca Roma, Grosseto, Pisa, Bolzano.” 

Nelle reti sociali e nella stampa isolana una rivolta. Ancora una volta vittime di stigmi altrui. No questo no, non può essere, il commento più diffuso. Quando non si trascende in insulti.  Ma chi è questo Zunino che ha il potere di sconvolgerci? Chi è questo giornalista che usa lo stereotipo come se piovesse. Che stabilisce il limes con l’altro da sé, incapace di concepire una realtà che non sia in paragone con un’immagine deformata del mondo? Uno  a cui non interessa conoscere, perché sa bene che di questi tempi per la stampa l’insulto funziona di più.

E noi? E noi, non si trova di meglio che invitarlo in Barbagia perché veda quanto siamo civili! Cambierà subito stereotipo. Passerà dai luoghi vissuti come criminali a quelli della balentìa, del sardo taciturno a cui basta una stretta di mano; dell’orgoglio sempre e comunque; della severità delle donne sarde, naturalmente frutto del matriarcato!

E poi l’ospitalità? Mi raccomando, che non paghi un caffè al bar, che venga sequestrato di casa in casa, da spuntino a cena, che s’ingrassi ben bene, perché si sa, a Milano mangiano schifezze. Noi no, anche se facciamo la fila all’hard discount. Alé, continuiamo così. Pezze peggiori del buco. Bisogna che gli altri ci raccontino come si deve, perché è da lì che caviamo l’idea di noi stessi.

Dopo un’esperienza simile Zunino cambierà idea? Certo che no, verrà confermata la sua. Racconterà di aver trovato l’ultima etnia cannibale dell’Europa, vivrà l’ospitata come un potlac dovutogli. Lui che con un’iperbole stigmatizza una comunità intera. Teniamolo pure nel suo mondo, dove lui e i suoi pari sono al vertice e i sardi, appena sopra i negri che puzzano, i rom che rubano, gli islamici che sgozzano. Lasciamo quel giornalista alla sua società immaginaria con un sud tribale.

Perché il problema non è Zunino, ma noi. Coglionizzati diceva Cicito Masala. Self post-coglionizeed 2.0, si potrebbe dire oggi. Perché di post colonialismo si tratta. Che permette di essere collaboratori nella distruzione dei nostri fondamenti culturali. Di fare in modo che la vergogna di essere sardi ci domini. Di distruggere il paesaggio grazie alle riviste patinate. Di sbarazzarsi della lingua perchè ultimo ostacolo alla modernità pensata solo come adesione a modelli esterni. Di permettere che gli stigmi altrui siano auto-stigmi e chiave auto interpretativa di noi stessi.

Siamo noi a dover cambiare. Qui iniziano i problemi. Qui comincia un percorso di consapevolezza dolorosa che parta da un dato di fatto. È dal 1720 che noi siamo colonia interna, prima dei Savoia e poi dell’Italia. Che gli ultimi trecento anni di storia ci hanno progressivamente deprivato, hanno fatto di noi un’umanità insicura, dipendente dal punto di vista culturale prima che economico.

Questo però non viene accettato dai sacerdoti del concetto di sviluppo come rincorsa altrui; che vede le letture differenti come messa in dubbio dei propri comodi luoghi comuni, per poi esplodere in maledizioni ogni qual volta il termine colonialismo viene usato per la Sardegna. Mi limito a suggerirvi tre titoli tra i tanti: Placido Cherchi Per un’identità critica. Alcune incursioni autoanalitiche nel mondo identitario dei sardi, Arkadia ed. Ca, Bachisio Bandinu, Noi non sapevamo, ed. Maestrale. Alessandro Mongili Topologie post coloniali. Innovazione e modernizzazione in Sardegna. Ed. Condaghes.

Un percorso che può aiutare a relativizzare il giudizio altrui, a prendere consapevolezza dei limiti e delle responsabilità degli altri e nostre. Perché in conclusione tutto dovrebbe ridursi a quello che ebbe a dire un famoso politico regionale di un suo collega: Mi scusi, ma cussu chini catzu est?.

Absit iniuria verbis.

 

 

One Comment

  1. grazianob

    Era Febbraio 2010 e il governatore della Regione Sardegna Cappellacci durante un’allegra chiacchierata a tre affermava che il problema della Sardegna sono i Sardi, già, e purtroppo non aveva tutti i torti dal momento che chi ha votato per la sua elezione non era né lombardo né laziale né campano. Passeranno altri trecento anni, e forse non basteranno. Avremo la pelle un po’ più scura, noi, ma anche loro, i continentali, questo è certo. Saremo tutti alti un metro e ottantacinque e faremo fatica a distinguerci per l’accento, ma ci sarà ancora un Zunino di turno che tirerà fuori dal suo repertorio di luoghi comuni qualcosa che assesterà un colpo al chiodo che tiene appeso il nostro destino.

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