L’Espresso.it 25 agosto 2016 . Classe 1933, democristiano, Giuseppe Zamberletti è il padre della Protezione civile. A lui si deve la nascita del dipartimento, che per un periodo è stato un vero e proprio ministero (e Zamberletti ministro). Guardando il terremoto che ha colpito i monti sibillini dice: «La macchina dei soccorsi è rodata», e fa i complimenti a Fabrizio Curcio. Zamberletti punta invece il dito verso la prevenzione, verso gli investimenti nel consolidamento delle nostre città, ma soprattutto verso la mentalità degli italiani, «che troppe volte», dice, «hanno fatto verandine, invece che mettere tiranti e rinforzare i solai».
Zamberletti, questa volta non ci sono polemiche. I soccorsi stanno lavorando bene, soprattutto considerando le iniziali difficoltà a raggiungere i luoghi del terremoto. È così?
«Direi proprio di sì, la macchina della protezione civile è rodata. Lo possiamo dire ormai con sicurezza: quando c’è un’emergenza i tempi di risposta sono rapidi e questo è anche merito delle Regioni. Dobbiamo però sottolineare, ancora una volta, che per quanto riguarda la prevenzione non abbiamo raggiunto lo stesso livello: non riusciamo a fare meglio, e certamente non per colpa della Protezione civile».
Per colpa del governo, dei governi che non hanno puntato sulla messa in sicurezza?
«Guardi io le direi che i governi avrebbero potuto fare di più, come sempre, e che ci vorrebbero più fondi. Ma il problema è anche degli Italiani, della nostra cultura: pensiamo sempre che il terremoto toccherà a qualcun altro».
Non sta dicendo che è colpa degli italiani, immagino…
«No. Ma c’è un esempio che cito sempre: quando nel 1984 in Abruzzo e in Molise ci fu una scossa, un scossa di non eccessiva entità, che non fece vittime ma solo danni, con una legge stanziammo i fondi per ricostruire e riparare quanto crollato e però anche per intervenire sugli immobili non lesionati, i cui proprietari fossero pronti a inserire alcune tecnologie antisismiche. Ci ritrovammo con molte verande e pochi tiranti, con il paradosso di aver sprecato risorse e peggiorato la situazione».
In altri casi i fondi hanno però funzionato. L’Umbria, diffusamente ricostruita dopo il ‘97, ha tremato ma ha avuto pochissimi danni.
«E infatti fa benissimo la presidente Marini a farlo notare: lì il terremoto alla fine ha creato una cultura della prevenzione, e i fondi sono stati utilizzati bene, per interventi di consolidamento che non sono poi neanche così costosi. Gli umbri hanno smesso di considerare i terremoti come una roulette russa, come fanno invece, purtroppo, molti italiani. Non si affidano più al caso ma sono intervenuti, e senza bisogno di arrivare ai letti che diventano camere blindate, che possiamo vedere in Giappone».
Giuseppe Zamberletti
Prevenzione e adeguamento sismico. Ogni terremoto è la stessa storia, con l’eccezione umbra…
«Eh purtroppo sì…».
Però qualche fondo in più si potrebbe mettere. È una questione di priorità: alcuni esperti dicono che per un buon intervento di consolidamento servirebbero 10 miliardi, una cifra come quella investita per il bonus degli 80 euro basterebbe a evitare tutte queste morti…
«Un investimento così farebbe benissimo, e avrebbe anche importanti ricadute economiche, ma, come le ho detto, le risorse ci sono e vengono messe a disposizione: è un problema di cultura. E di prevenzione. Mi ha colpito la storia della nonna che ha salvato la nipotina mettendola sotto il letto, con una manovra perfetta dal punto di vista delle procedure. È una storia che contrasta però con quella di chi non ce l’ha fatta perché si è attardato a recuperare alcuni oggetti. Ne abbiamo parlato oggi, con altri membri della commissione grandi rischi: e ci siamo resi conto che anche molti di noi non saprebbero bene cosa fare in caso di emergenza. Quello che si fa con i bambini nelle scuole, va fatto con tutti».
Lei è stato il primo commissario straordinario e poi ministro alla protezione civile, dopo il disastro del Friuli, nel 1976. Rispetto a oggi poteva contare anche sui ragazzi del servizio di leva. Erano utili?
«Erano preziosissimi. Quando dovemmo affrontare il Friuli si figuri che potevamo contare su 30mila uomini di leva, era una risorsa fondamentale, senza dubbio. Ma la macchina funziona lo stesso, anche perché ormai i sindaci hanno ben capito che loro sono un vertice fondamentale del sistema, organizzando i gruppi locali e non è un caso che siano i primi a intervenire. E poi perché i volontari, se organizzati bene e su questo si può fare meglio, sono persino più preparati dei ragazzi di leva, che non si dedicavano unicamente alla gestione delle emergenze. Anche il fatto che i Vigili del fuoco sia un corpo di professionisti è un’importante novità: sono preparatissimi».
Quella di oggi è una protezione civile molto diversa da quella di Guido Bertolaso, la super protezione civile che gestiva tutti i maxi eventi e affidava appalti in deroga alle procedure ordinarie.
«Quella di Bertolaso è stata una parentesi, per qualcuno una devianza, ma lo è stata per i nuovi poteri che le erano riconosciuti. Tanto la sua e quando quella di oggi, però, per quanto riguarda le emergenze, altro non sono che la protezione civile nata col Friuli».
Guido Bertolaso che ha scritto una lettera a Il Tempo. Dice: «Bisogna subito tirare fuori le persone dalle macerie, le prime 24 ore sono cruciali. In contemporanea vanno piantate tendopoli nella zona colpita sperando che non le abbiano usate tutte per gli extracomunitari». Vuole commentare?
«L’ha detto Bertolaso? Diciamo che non ho letto e che non vorrei fraintendere».
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