Sardi nel Kurdistan siriano come nella Spagna del ’36 [di Nicolò Migheli]

curde

Dopo sei anni di guerra in Siria la capacità di giudizio di ciascuno di noi è messa a dura prova. Lo stesso parteggiare non è più possibile, il valzer della alleanze, il “In Medio Oriente non esistono amici ma solo partner occasionali” di Ibn el Saud rintrona nelle nostre teste. Restano le vittime e i profughi usati per i ricattare l’Unione Europea e per alimentare il nostro senso di colpa. Noi impossibilitati a fare qualcosa, noi vittime della disinformazione continua e delle propagande contrapposte.

Un caos voluto che ha come risultato quello di ottundere le nostre sensibilità. Sei anni di stragi e noi sul precipizio consapevole della mitridatizzazione. Nell’estate del ’14 scoprimmo l’Isis-Daesh e la sua vocazione sanguinaria esercitata contro il popolo più pacifico della storia: i curdi-yazidi, assistemmo al loro massacro, le donne, insieme alle cristiane assire, sequestrate perché diventassero schiave sessuali. Un arcaismo che si impadroniva dei nuovi mezzi di comunicazione di massa. Le decapitazioni e le uccisioni a portata di smart phone.

Quell’inferno è riuscito a proporre una distopia, quella di Daesh ed una utopia quella del Rojava. Il Rojavayê Kurdistanê, detto anche Kurdistan occidentale o siriano, una regione autonoma a maggioranza curda ma con consistenti minoranze arabe, curdo-arabizzate e cristiano assire, che sperimentano un sistema di autogoverno basato su di un sistema federale democratico plurinazionale e plurireligioso.

Un’esperienza di autogoverno che trova fondamento nelle teorizzazioni del leader curdo-turco Öcalan. Una società dove si manifesta la democrazia diretta, ogni gruppo deve avere una leadership paritaria, composta da una donna ed un uomo. Le stesse formazioni militari vedono un ruolo importante delle donne con ruoli operativi e di comando. Una rivoluzione in una società fortemente maschilista, che si contrappone all’oscurantismo jihadista e alle involuzioni della società turca.

Un esperimento sociale, prima che politico, che disturba gli equilibri precari della regione. Fu la resistenza eroica di Kobane, il sacrificio di donne ed uomini a portare il loro dramma nelle nostre case. Decine di volontari si precipitarono nel nord della Siria per poter dare una mano di aiuto. Giornalisti, tra cui il nostro Luca Foschi, raccontarono sofferenze, morti, fame e combattimenti all’ultimo proiettile. Alla fine grazie ai bombardamenti degli americani Kobane fu salva. Lo fu anche contro la volontà di Erdoğan che avrebbe voluto che quella città e regione venissero conquistate e massacrate da Daesh.

Lo fu anche contro il desiderio poco nascosto di Barzani e dei curdi iracheni, che avrebbero sacrificato il Rojava sull’altare dei buoni rapporti con i turchi, gli acquirenti del loro petrolio. Kobane resistette anche grazie a decine di giovani occidentali che imbracciarono le armi per difendere una nuova forma di comunismo e delle minoranze che rischiavano e rischiano, di essere cancellate dalla Storia.

Karim Franceschi lo ha raccontato domenica 4 settembre nel festival Marina Cafè Noir a Cagliari durante la presentazione del suo libro. Franceschi ha voluto seguire l’esempio del padre partigiano e per sei mesi con le YGP ha combattuto contro lo Stato Islamico, la reincarnazione del nazismo nel mondo musulmano. In quell’incontro ha rivelato di aver incontrato  due sardi che combattevano con lui.

Ne ha vantato la lealtà e il loro ardimento. Non ha fatto i nomi perché la regola del club impone la riservatezza. Il pensiero non può non correre agli antifascisti sardi che nel 1936 uscirono clandestinamente dall’Italia per combattere il fascismo in Spagna. Quella tradizione non si è persa. In un mondo in cui si va in guerra per la paga, basti pensare alle varie agenzie di sicurezza che hanno privatizzato i conflitti, scoprire che esistono giovani che rischiano la propria esistenza per difendere non solo una patria altrui ma un esperimento sociale, è una grande consolazione.

I cavalieri dell’ideale non muoiono. Per certi versi però tanta generosità potrà avere gli stessi risultati della guerra civile spagnola. Oggi il Rojava è sempre di più isolato. È sotto l’attacco congiunto di turchi e Daesh. I loro fratelli iracheni hanno chiuso le frontiere ed Assad è ben felice che altri tolgano di mezzo un esperimento che sarebbe insopportabile nella nuova Siria ancora sotto il suo dominio. Due anni fa su questo sito scrivevamo che della fine dei curdi non interessava a nessuno, oggi quelle considerazioni amare restano profondamente attuali.

Gli equilibri geopolitici che si stanno delineando nel Medio Oriente, ancora una volta non prevedono uno stato curdo. Oggi il Rojava, domani anche l’autonomia dei curdi iracheni è destinata ad essere cancellata; Barzani e Talabani, i loro leader, si ritroveranno senza stato. Resta il grazie a quei due anonimi ragazzi sardi e ai loro compagni, loro sì degni delle nostre migliori tradizioni.

One Comment

  1. bustianu

    Sardos patriotas de sa libertade e da libertade est chene lacanas.

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