In Scozia le comunità vogliono riappropriarsi della loro terra [di Sally Hayden]
Internazionale.it 19 settembre 2016. Su un appezzamento di terreno grande un ettaro, nel quartiere settentrionale di Leith, a Edimburgo, Evie Murray cammina tra fiori e verdure coltivati con cura. «Prima quest’area era piena di spazzatura, siringhe e bustine di preservativi». Murray partecipa a Crops in pots, un’iniziativa comunitaria nata nella capitale scozzese, che ha coinvolto centinaia di abitanti impegnati a coltivare zucche, patate, fagioli, bietola, mele, uva spina e perfino un albero di noci. È uno dei tanti esempi di un’ondata silenziosa ma significativa di riforme che stanno cambiando le regole della proprietà terriera in Scozia, la meno equa dell’Europa occidentale, perché metà della terra è in mano a 500 persone. Nel 2013 lo Scottish national party (Snp), che guida il governo locale di Edimburgo, si è impegnato in una riforma agraria radicale. L’obiettivo è fare in modo che entro il 2020 più di 400mila ettari di terreni siano di proprietà delle comunità locali. Questa misura è stata varata sullo sfondo di tensioni sempre più forti legate alla presenza di grandi latifondisti, spesso assenti, che esercitano forme di controllo risalenti all’epoca in cui la Scozia era un paese rurale governato da un’aristocrazia terriera. Eredità aristocratica. Secondo i dati del governo scozzese, i terreni che le comunità locali hanno acquistato dai privati hanno ormai superato un totale di 200mila ettari. Il governo ha più che triplicato i contributi al Fondo scozzese per la terra per aiutare le comunità a comprare, passando da tre a dieci milioni di sterline all’anno. Nel marzo del 2016 il governo dell’Snp ha approvato la legge di riforma agraria, che ha dato alle comunità la possibilità di forzare la vendita di un terreno a patto di riuscire a provare che in questo modo si favorisce lo “sviluppo sostenibile”. Una delle compravendite più importanti è avvenuta nel dicembre del 2015 e ha riguardato la tenuta di Pairc sull’isola di Lewis, nelle Ebridi Esterne. Una disputa durata dodici anni si è conclusa con la vendita di 11mila ettari alla comunità locale per 500mila sterline. Secondo gli attivisti le riforme erano necessarie da tempo e il provvedimento di legge non fa abbastanza. Per la ministra per la riforma agraria scozzese Roseanna Cunningham, invece, l’ostacolo più grosso al cambiamento è il grado di coinvolgimento delle comunità. Cunningham sostiene che spesso si esprime un interesse all’acquisto di un terreno solo dopo che è stato messo in vendita, quando ormai è troppo tardi. Ma ammette che anche la legge ha dei limiti: “Ci sono ampie distese di terra che probabilmente non saranno mai vendute, e continueranno a essere trasmesse di generazione in generazione”. Buona parte delle diseguaglianze nella proprietà terriera in Scozia risale all’ottocento, quando il sistema di eredità della terra in vigore tra gli aristocratici si combinò con una violenta campagna per scacciare i piccoli agricoltori e gli abitanti del luogo per fare spazio ai grandi allevamenti di pecore. Tenere alta l’attenzione. «La Scozia ha il più bizzarro sistema di proprietà terriera del mondo sviluppato e nessuno ha niente da ridire», sostiene Lesley Riddoch, coordinatrice di Our land, una rassegna di dibattiti e incontri sulla terra. Riddoch ha fatto parte del consiglio di amministrazione dell’isola di Eigg, nelle Ebridi Interne. Eigg fu acquistata nel 1997 dagli abitanti per 1,5 milioni di sterline ed è diventata la prima comunità al mondo ad avere una rete elettrica alimentata completamente a energia solare, eolica e idrica. «Dobbiamo tenere alta l’attenzione su questo argomento», dichiara Riddoch.«La terra in Scozia è meno abbordabile e disponibile che in qualsiasi altro paese europeo». Lorne MacLeod, presidente dell’organizzazione Community land Scotland, ha dichiarato che affidare la terra alle comunità significa sfruttarla nel modo più vantaggioso. «Le persone si sentono più responsabilizzate», osserva MacLeod, la cui organizzazione rappresenta 69 comunità scozzesi, di cui una quarantina è riuscita ad acquistare dei terreni. Alcune comunità hanno costruito nuovi porti, turbine eoliche e un campo da golf da 18 buche, e reinvestito i guadagni a loro beneficio. Evie Murray, 39 anni, ha sempre vissuto a Leith. In passato ha lavorato come assistente sociale con i tossicodipendenti, ma dopo la crisi economica del 2008 è stata licenziata. In città era difficile allevare i figli, compresi quelli adottivi, e ancora di più trovare aree all’aperto dove farli giocare. Così ha avuto l’idea di creare un’area comunitaria da condividere con altri genitori e i vicini. Nel 2013 ha contattato il consiglio comunale e ha ottenuto il permesso di usare l’area ai margini del parco Leith Links, anche se l’accordo è suscettibile di cambiamenti ed è di breve durata. Attualmente, racconta, un centinaio di persone, un gruppo eclettico e intergenerazionale, va lì regolarmente per coltivare la terra. La comunità sta cercando di negoziare un’altra concessione, che riguarda un piccolo edificio presente sul sito, che loro vorrebbero trasformare in un bar, dove usare i prodotti locali. «La terra e la sua disponibilità sono estremamente importanti per la salute delle persone», dice Murray, indicando i coltivatori impegnati a ridere e chiacchierare. «È difficile quantificare l’impatto che possono avere, ma lo potete constatare con i vostri occhi». (Traduzione di Giusy Muzzopappa)
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