Si può mantenere il paesaggio agrario o forestale che conosciamo escludendo le attività che lo hanno caratterizzato? [di Mariano Cocco]
Anche quando si usa un approccio olistico non si può fare a meno di utilizzare i risultati della scienza analitica. Quindi, se non chiariamo gli aspetti inerenti i singoli argomenti l’approccio olistico sarà solo filosofia astratta e poco utile nelle applicazioni pratiche. Per ora lasciamo da parte tutte le altre considerazioni e poniamo un punto fermo, per comprendere se realmente si vuole conservare un paesaggio così come è, oppure se l’argomento della conservazione del paesaggio viene usato impropriamente e strumentalmente per ottenere qualcosa di diverso (per esempio un ipotetico paesaggio primordiale). Innanzitutto bisognerebbe rispondere alla domanda: si possono mantenere le caratteristiche del paesaggio agrario o forestale che attualmente conosciamo escludendo le attività che lo hanno caratterizzato? Se la risposta è si l’intento è autentico. Chiarito questo aspetto, per pianificare la gestione del paesaggio con un approccio “olistico” (termine oramai abusato), bisognerà tener conto di tanti altri fattori: ambientali (suolo, clima, ecc.), economici e sociali (richiesta di un determinato prodotto, la presenza di professionalità, ecc.). Invece, la negazione non può che portare all’adozione di nuove modalità di gestione in evidente contraddizione con l’intento di conservare il paesaggio odierno che, come sappiamo, è frutto dell’interazione dell’ambiente naturale con le attività antropiche. Riguardo l’aspetto gestionale, le strade a cui porta la negazione di questo legame sono due: il cambiamento dell’ordinamento colturale (della forma di governo per i boschi), fino all’estremo dell’esaltazione dell’abbandono colturale; ma è proprio questo che implica un sicuro mutamento del paesaggio. Soggettivamente e collettivamente può essere anche più apprezzato un paesaggio diverso da quello antropico-colturale, ma va ammesso che non si tratta più di conservazione del paesaggio, ma di conversione del paesaggio, anche se la scelta si rivelasse necessaria per motivi tecnico-pratici. Per raffigurare le cose in altro modo, un pittore non può negare che dovrà usare tecniche diverse a seconda che voglia realizzare un dipinto realista o impressionista, e anche che differenti tipi di colore (acquarello, olio ecc.) danno un diverso effetto cromatico. |
Ho letto più volte l’articolo e – lo confesso – ho difficoltà a comprenderne il significato complessivo. Cercherò perciò di considerare separatamente i diversi paragrafi.
L’approccio olistico alla valutazione delle Terre – mi pare sia questo l’obiettivo dell’autore – richiede, è vero, che si considerino tutti gli aspetti ambientali in gioco, comprese quelle modificazioni introdotte dall’uomo, diventate nel tempo un’aspetto – o, se si preferisce – una componente stabile. Il processo valutativo richiede, in questo caso, che si considerino contemporaneamente tutti i caratteri. Ma, se uno o più dei caratteri considerati manifestano una predominanza, questo o quei caratteri andrà/andranno a rappresentare l’universo considerato.
E fin qui, mi pare che possa esservi una certa assonanza con le affermazioni di Mariano Cocco.
Ciò che non riesco a comprendere, comunque rigiri il terzo, ma anche il quarto, dei capoversi, è il discorso sulla “negazione che non può portare all’adozione di nuove modalità di gestione, in evidente contraddizione con l’intento di conservare il paesaggio odierno ….”
Se l’autore intende riferirsi alla diatriba sulle operazioni realizzate in una porzione dell’area del Marganai, la domanda che da studioso dei suoli mi pongo, e ho posto, scrivendo su Sardegna Soprattutto più di un contributo, è: il suolo viene salvaguardato e, perciò, al termine delle attività gestionali ipotizzate, rimane nella sua condizione ex ante? oppure subisce un processo degradativo di cui può prevedersi lo stato ex post? oppure non si ipotizza neppure che possano attivarsi processi di degradazione?
Come si vede, i quesiti sono molto semplici. Un po meno le risposte. Tuttavia, esistono strumenti di analisi e valutazione che possono aiutare a comprendere, sia che – ovviamente se le condizioni complessive lo consentano – si segua l’approccio olistico, sia che, mancando tali condizioni, si decida per l’approccio per una o poche componenti. La sintesi finale deve comunque essere rappresentata dalla valutazione di impatto ambientale, alla quale gli strumenti ai quali accennavo sopra potranno dare un valido contributo.
Un chiosa sull’uso del termine “olistico”. E’ vero che taluni lo usano a sproposito, ma certamente sono coloro che non ne comprendono il significato. Gli interlocutori che hanno dialogato su questo tema su Sardegna Soprattutto, non solo sanno di cosa si tratti, ma in molte attività di valutazione delle Terre hanno adottato di volta in volta l’approccio olistico o quello per singole componenti.