Per Giorgio Pisano che aveva in massima cura la tensione per la verità [di Mauro Mura]

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La Collina 8 0ttobre 2016. Quando Maria Francesca Chiappe mi ha chiesto di partecipare a questo incontro in ricordo di Giorgio Pisano ho pensato che non fossi la persona giusta. Le rispettive storie, le scelte di fondo, le sensibilità probabilmente vicine, unite alle non poche occasioni in cui i nostri percorsi professionali si sono incrociati, avrebbero potuto (dovuto?) far nascere un rapporto di amicizia, che invece, francamente, non c’è stato.

Una mancata amicizia. Forse i caratteri. Certo il mio: arroccato, sulla difensiva. Non insignificante il dato contingente della stagione dei sequestri di persona successiva alla legge sul blocco dei beni, che mentre ha determinato in me una progressiva mutazione (l’ideologia cede via via il passo alla tecnica criminologica) non altrettanto succede a Giorgio, il quale fa ottimo uso delle buone ragioni ideali contrarie al blocco dei beni. Nel contesto di allora opposte visioni su un tema cruciale per la Sardegna quale quello dei sequestri potevano anche incidere sui rapporti personali di coloro che vivevano quei fatti stando al centro della bufera.

Ma quella stagione è cosa passata da ormai molti anni. C’era ancora tempo per un avvicinamento, per una riflessione comune. Resta in me il rimpianto per un’occasione perduta, soprattutto il timore che sentimenti mediocri possano avermi impedito anche un semplice confronto con un giornalista di rara capacità che aveva del fenomeno conoscenze sicuramente preziose per chiunque avesse voluto comprendere meglio.

Eppure avevo avuto continua e concreta testimonianza del livello della professionalità di Giorgio Pisano. Il che significa per un giornalista tensione verso la verità e dovere di comunicare; aspirazione, la prima, comune a quella del magistrato (giudice o pubblico ministero che sia), con l’ovvia differenza di un contrario dovere: quello della  riservatezza.

Ma non fu, a ben vedere, questo sacrosanto dovere quello che riguarda l’antefatto di una intervista ( che purtroppo non sono riuscito a recuperare ) fatta da Giorgio Pisano in quel di Nuoro, comando provinciale dei Carabinieri, al ritorno in tarda serata da un complicato sopralluogo in una grotta in cui era stato tenuto prigioniero un ostaggio.

Arrivo in caserma e mi si presenta Giorgio. E’ lì perché deve farmi alcune domande. Cerco di sottrarmi. “è tardi e devo ancora lavorare”. Sono infatti con me carabinieri e poliziotti. “Si ma io sono qui perché ho il dovere di informare il lettore su quello che sta succedendo”. “Se si tratta di una domanda o due va bene, altrimenti dovrà aspettare chissà quanto”, dico io per cercare di scoraggiare l’intervista. “Non sono due le domande e non sono così sbrigative”. “Allora dovrà aspettare che finisca con i collaboratori”.

Spero così che molli. Invece no. Faccio più tardi di quanto potrei. Ma Giorgio Pisano è lì che mi aspetta, che insiste. Con rispetto per il lavoro altrui, ma assolutamente determinato. Mi fa presente che ho il dovere morale di sentire le domande e di informare, per quanto possibile, l’opinione pubblica. Ha ragione lui. Mi sottopongo con la preoccupazione di non riuscire a stare nei limiti del consentito e con il pudore di non dire cose inutili e sostanzialmente stupide.

Devo dire che, grazie a Giorgio, l’intervista fornì contributi di conoscenza. Fu in questa occasione che generosamente mise in bocca a me una sintesi – quella delle bande modulari – che rispecchiava perfettamente il senso della mia analisi. Nel leggere il giorno dopo l’intervista rimasi francamente colpito dalla sua straordinaria capacità di veicolare al massimo livello le cose dette dando però onestamente conto dei problemi e dei dubbi, che evidentemente l’intervista non aveva dissipato.

Alla moglie e al figlio il dispiacere per non aver vissuto con lui momenti di riflessione su argomenti comuni e il riconoscimento che Giorgio Pisano è stato un giornalista per molti versi “unico”.

*Già Procuratore del Tribunale di Cagliari

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