La responsabilità delle donne in politica [di Maria Antonietta Mongiu]

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La Collina-Ottobre-Dicembre 2016. Il dibattito sulla selezione delle nuove classi dirigenti.  C’è la diffusa idea che una crisi irreversibile attraversi il mondo che conosciamo. Le ragioni si fonderebbero nella crisi economica che dal 2007/2008 incombe e sta mutando persino i connotati di quella  borghesia  che sembrava intangibile. Si registrano, a corollario, lo smarrimento sociale e politico e un orizzonte etico che assume profili catastrofisti. Lo stato di decadenza morale avrebbe evidenza ed esemplarità nelle pratiche del mondo politico,  luogo per eccellenza, nella contemporaneità, del declino. Si dice  quotidianamente ed a tutti i livelli che la politica sia in caduta libera a favore dell’antipolitica.

Il punto di vista dominante non giustifica e non spiega tuttavia perché il corpo sociale  ne verrebbe  travolto fino alla regressione che registra, persino nelle latitudini colte ed evolute,  la criminalizzazione di comportamenti culturali altrimenti ritenuti emancipativi dalle società tradizionali. Per intendersi  quelle patriarcali che hanno resistito nelle comunità etnocentriche che, a pelle di leopardo, abitano tuttora le città europee e persistono, sotterraneamente, in  molto genere maschile occidentale, apparentemente tutt’altro che etnocentrico.

Come altrimenti si giustificherebbero, sul piano antropologico, i femminicidi se non come l’interfaccia della crisi della patriarcalità, ad oggi, non sostituita definitivamente da altro. La violenza sulle donne, specialmente nelle geografie della famiglia e dell’affettività, è una chiave di lettura che dice come  l’aborto, la pillola,  l’autodeterminazione femminile  siano vieppiù rigettati quando non criminalizzati.

Interroghiamoci allora se, tra gli oggetti del rigetto, non vengano ricompresi, in nome della decrescita persino gli emblemi della qualità della vita collettiva, tra cui  la lavatrice o le rivoluzioni tecniche e tecnologiche che alle donne hanno restituito spazi e tempi,  entro cui hanno risituato se stesse o la televisione, autentico Virgilio delle profonde modifiche sovrastrutturali ed oggi dama di compagnia nei nostri invecchiati piccoli centri disabitati. Una camminata di primo mattino tra vicoli paesani lo certifica.

La capitalizzazione di spazi e di tempi liberati  ha avuto come esito l’emancipazione e la liberazione  che hanno contagiato anche le donne del sud del mondo che oggi agiscono anche nelle nostre geografie garantendo a quelle del primo mondo le conquiste recenti. Contrappasso? Reazioni ostative inverate nella  violenza come pratica della relazione. Violenza psicologica, morale, fino a quella fisica talvolta mortale. Il disagio e lo spaesamento deriverebbero, a tutta prima, dalle modalità con cui oggi le donne agiscono tempo,  sessualità,  maternità, autorappresentazione. Punta di un iceberg del vero malessere  che in verità discende dalla progressiva morte della figura del padre.

Per stare a Sigmunt Freud e a Jacques Lacan, ciò ci interpella sull’incidenza di questa morte simbolica sulle figure spaziali della politica a cui, di recente, si possono ascrivere anche le donne. Il quesito è se, verificata l’assenza del padre o la sua progressiva destrutturazione,  l’operabilità delle donne nell’agire politico può prescinderne oppure continuano ad affidarsi o ad essere eterodirette da surrogati ovvero  da piccoli padri-padroni, sia nel privato sia  nella scena della cosa pubblica.  O invece si danno definitivamente la possibilità di autodeterminarsi come è avvenuto in altri ambiti.

Il tema della morte del padre e degli esiti possibili di tanto accadimento  è stato riproposto di recente da Zygmunt Bauman, anche a Cagliari nello scorso giugno, e si accinge a discuterlo con Papa Francesco.

La morte del padre, nelle diverse declinazioni prospettate da Jacques Lacan, ha significato, nell’orizzonte dell’esistenza, la caduta delle interdizioni e l’affermarsi massicciamente nella contemporaneità del permissivismo con la conseguente relativa angoscia. Va da se che la scomparsa di tanta onnipotente figura, consolidatasi nei millenni, non potrà essere surrogata appunto da piccole figure padronali che vanno moltiplicandosi in tutte le scale.

La via d’uscita in Bauman, come in Lacan, è l’affermazione hegeliana della  necessità del riconoscimento dell’altro come pratica della relazione che da privata si fa politica. Significa, in altri termini, che l’irruzione delle donne, aumentate per numero e ruoli nella scala mondiale, nel potere reale derivante dalla possibilità della decisione, fin qui maschile, essendo un fatto irreversibile come le ragioni da cui è scaturito, produrrà effetti oggi  poco prevedili.

La dialettica del riconoscimento come differenziale rispetto alle pratiche autoritarie patriarcali, intrinseche al maschile, trasformerà il rapporto con la politica e le funzioni che ne derivano e, di conseguenza, il mondo. Bisogna difendersi dal rischio che i surrogati del padre e cioè i padri-padroni che oggi imperversano destrutturino l’agire delle donne. Sta accadendo in questo momento storico più diffusasamente di quanto le stesse donne non siano disposte ad ammettere.  Si pensi a ciò che si è verificato in Brasile o i comportamenti di Trump versus Clinton che non a caso ha trasformato la campagna elettorale americana in una straordinaria metafora della violenza di un surrogato del padre. E ciò, in entrambe le situazioni, al netto delle specifiche problematiche e dinamiche della politica politicante.

Non tutte le donne provengono da pratiche di coscientizzazione  che portano all’autoriconoscimento e al riconoscimento dell’altro. In tante ancora accettano di essere cooptate e delegate a fare la controfigura di un altro e, naturalmente, di recitare la retorica rivendicativa della via personale non al potere ma alla sua rappresentazione.

L’ossessione ragionieristica delle quote ne ha portato sulla scena tante di tale profilo. La densità può costituire comunque una grande  opportunità a patto di sottrarsi alla tentazione di mimetizzarsi per  farsi meglio accettare dall’attuale sub potere familista o clanista che imperversa specie dove è crollata anche la possibilità di un confronto sulle questioni della rappresentanza.

La differenza di trattamento verso le sindache di Roma e di Torino o di Madrid e di Barcellona evidenzia un vero e proprio campionario. Per tacere la differenza di riguardo tra le prime due e la rappresentanza femminile dei partiti convenzionali, talvolta delle replicanti al ribasso ad esclusivo uso mediatico.

L’ultimo quesito è perché le donne, soprattutto quelle che vengono dalla pratica femminista, non percepiscono la novità delle forme di selezione e costruzione di nuove classi dirigenti  da parte del  Movimento 5 stelle  specie della componente femminile, sottoposta a continui esami e ad accanite radiografie come non si ricorda sia accaduto  ad amministratori maschi o a donne cooptate in forme convenzionali.

Si può non condividere nulla del loro pensiero ma arrivare al potere su mandato condiviso di un piccolo gruppo a cui ci si riferisce  non era forse il fondamento del percorso che dai collettivi ha portato alla più grande rivoluzione del Novecento che è quella delle donne? Le grilline arrivate al potere in forme assolutamente originali rispetto alle modalità consuete e convenzionali dovrebbero essere più consapevoli di questo percorso e della responsabilità che si sono assunte piuttosto che sprecarla come tante altre donne-politiche  hanno fatto negli ultimi decenni.

Di conseguenza praticare  la  dialettica del riconoscimento sia all’interno di un gruppo sia nell’azione politico-amministrativa è l’unica possibilità per proseguire quella trasformazione antropologica che è intrinseca alla morte del padre. Certamente è difficilissimo  reggere, sul piano personale,  l’impatto denigrativo che i padri padroni attuano.

Parafrasando Gramsci possiamo dire che una società patriarcale è al tramonto ed ancora non si vede quella nuova. E’ evidente che la reazione dei padripadroni che fanno opinione pubblica, agendo violenza, non smetterà oggi nei confronti di chiunque si voglia sottrare all’interdizione, alla negazione della parola competente ed autorevole. Non ci sono infatti temi e territori che possano situarsi al di fuori della civitas dove devono poter vivere anche gli eretici e soprattutto le eretiche.

 

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