Considerazioni sul commento di Mariano Cocco [di Sergio Vacca]
Ho letto più volte l’articolo e – lo confesso – ho difficoltà a comprenderne il significato complessivo. Cercherò perciò di considerare separatamente i diversi paragrafi. L’approccio olistico alla valutazione delle Terre – mi pare sia questo l’obiettivo dell’autore – richiede, è vero, che si considerino tutti gli aspetti ambientali in gioco, comprese quelle modificazioni introdotte dall’uomo, diventate nel tempo un aspetto – o, se si preferisce – una componente stabile. Il processo valutativo richiede, in questo caso, che si considerino contemporaneamente tutti i caratteri. Ma, se uno o più dei caratteri considerati manifestano una predominanza, questo o quei caratteri andrà/andranno a rappresentare l’universo considerato. E fin qui, mi pare che possa esservi una certa assonanza con le affermazioni di Mariano Cocco. Ciò che non riesco a comprendere, comunque rigiri il terzo, ma anche il quarto, dei capoversi, è il discorso sulla “negazione che non può portare all’adozione di nuove modalità di gestione, in evidente contraddizione con l’intento di conservare il paesaggio odierno ….” Se l’autore intende riferirsi alla diatriba sulle operazioni realizzate in una porzione dell’area del Marganai, la domanda che da studioso dei suoli mi pongo, e ho posto, scrivendo su Sardegna Soprattutto più di un contributo, è: il suolo viene salvaguardato e, perciò, al termine delle attività gestionali ipotizzate, rimane nella sua condizione ex ante? oppure subisce un processo degradativo di cui può prevedersi lo stato ex post? oppure non si ipotizza neppure che possano attivarsi processi di degradazione? Come si vede, i quesiti sono molto semplici. Un po’ meno le risposte. Tuttavia, esistono strumenti di analisi e valutazione che possono aiutare a comprendere, sia che – ovviamente se le condizioni complessive lo consentano – si segua l’approccio olistico, sia che, mancando tali condizioni, si decida per l’approccio per una o poche componenti. La sintesi finale deve comunque essere rappresentata dalla valutazione di impatto ambientale, alla quale gli strumenti ai quali accennavo sopra potranno dare un valido contributo. Un chiosa sull’uso del termine “olistico”. E’ vero che taluni lo usano a sproposito, ma certamente sono coloro che non ne comprendono il significato. Gli interlocutori che hanno dialogato su questo tema su Sardegna Soprattutto, non solo sanno di cosa si tratti, ma in molte attività di valutazione delle Terre hanno adottato di volta in volta l’approccio olistico o quello per singole componenti.
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Purtroppo non era un articolo ma solo un commento, anche se è stato postato dalla redazione senza che abbia avuto modo di rivederlo. In genere i commenti li scrivo di getto e quindi può capitare che non venga espresso bene il pensiero. Penso di avere messo un “che” nel posto sbagliato. Non voglio assolutamente entrare in polemiche sul caso specifico del Marganai – penso se ne sia parlato troppo anche a sproposito. Comunque, parlando in senso generale, intendevo dire che, se non vengono riconosciute la cause che hanno creato un determinato paesaggio, si corre il rischio di attuare forme di gestione (o di non gestione) che portano a risultati diversi dalla conservazione. Per esempio, parlando di un generico ceduo, se io non riconosco che la ceduazione ha portato a quel risultato estetico-paesaggistico, posso essere indotto a pensare che per conservarlo si possono adottare altre forme di governo o che addirittura sia meglio l’abbandono colturale. Quindi se, per es. propendo per una conversione all’alto fusto (cambiamento della forma di gestione del bosco) o per l’abbandono colturale devo essere cosciente che col tempo non avrò più il caratteristico paesaggio del ceduo. A mio parere e necessario partire dalle cause che hanno portato ad un determinato risultato estetico, per valutare oggettivamente se è altrettanto idoneo un altro modello gestionale. Se sia esteticamente più bello un ceduo o una fustaia fa invece parte di una valutazione paesaggistica soggettiva. Spero di essermi spiegato con quest’altra risposta di getto. Sull’olismo avrei un lungo discorso a parte che per ora risparmio
Ho riguardato l’articolo ed in effetti il “che” è al posto giusto. Questo è esattamente ciò che riporta:
“.. la negazione non può che portare all’adozione di nuove modalità di gestione in evidente contraddizione con l’intento di conservare il paesaggio odierno….”.
Approfitto per scambiare due battute, sul suolo: è fuori discussione che, se viene a mancare il suolo, non può esserci un ritorno allo stato ex ante (per es. prima del taglio), tuttavia non è detto che si debba intervenire con una diversa forma di gestione della componente vegetale per scongiurarne la perdita. Si può infatti intervenire direttamente sul suolo dove si verificano criticità in seguito ad un qualsiasi intervento colturale, ma anche di pura origine naturale (per es una frana che modifica il deflusso delle acque comportano l’erosione lungo il nuovo percorso). Le vecchie sistemazioni idraulico-forestali ed agrarie sono natte proprio per questa esigenza. A tal proposito mi è venuto in mente un articolo “vero”. Aspetterò il suo commento.