A Cagliari come a Roma, come a Wall Street, lo stesso pensiero, la stessa cattiva politica [di Massimo Dadea]
In Sardegna la cosiddetta riforma della Costituzione potrebbe portare alla cancellazione di diritti costituzionali che sono propri ed esclusivi dei cittadini sardi. Il nostro Statuto d’Autonomia rischia di essere spazzato via, e con esso il patto costituzionale che lega la Sardegna allo Stato italiano. La riscrittura del titolo V rappresenta una chiara svolta centralista. Ritornano in capo allo Stato competenze quali l’energia, l’ambiente, il paesaggio, i beni culturali; vengono eliminate le “materie concorrenti”. Si introduce la “clausola di supremazia”, una norma ghigliottina che, in nome di un superiore “interesse nazionale”, fa prevalere la legge dello Stato su quella regionale. Significa che il governo nazionale potrà autorizzare trivellazioni, impianti fotovoltaici e termodinamici, inceneritori, a suo piacimento, infischiandosene delle proteste dei cittadini. Potrebbe persino decidere di localizzare in Sardegna il deposito delle scorie nucleari. Difronte a tutto questo il Presidente della giunta regionale di centrosinistra, sovranista e, pare, anche indipendentista, ha annunciato, orgoglioso, il suo SI’, convinto e incondizionato, al tentativo di stravolgere la nostra Carta Costituzionale. A testimonianza che, per questo esecutivo e per questa maggioranza, parole come autonomia, sovranità e indipendenza, sono oramai parole vuote, suoni indistinti, privi di significato. Si dice anche che le regioni a Statuto Speciale sono escluse, almeno fino all’adeguamento dei loro statuti al nuovo dettato costituzionale. E’ del tutto evidente che si tratta di una furbata. Quale possibilità di vincere avrebbe il fronte del SI’ se al corposo schieramento del No si aggiungessero le regioni a Statuto Speciale, assai poco disposte a rinunciare alle loro prerogative costituzionali? Come giustificare questo doppio regime istituzionale così fortemente differenziato? Perché lasciare in giro queste pericolose testimonianze di un decentramento che si vorrebbe cancellare? La verità è che all’indomani della vittoria del SI’, sulla spinta del consenso dato alla svolta centralista, le regioni a Statuto Speciale saranno spazzate via. Qualcuno dirà, ha ancora un senso battersi per una Autonomia ridottasi oramai ad un simulacro, ad una scatola vuota, priva di poteri? Questa è una decisione che spetta prima di tutto ai cittadini sardi, dovranno essere loro a delineare quale forma istituzionale assumeranno le diffuse aspirazioni all’autodeterminazione e all’autogoverno. E’ certo comunque che il rilancio dell’idea autonomistica passa prima di tutto attraverso la sconfitta del SI: tertium non datur. Senza indulgere ad uno stucchevole complottismo può essere utile chiedersi: da dove trae ispirazione la “riforma”? E’ figlia di un pensiero unico che propugna la verticalizzazione delle istituzioni, la centralizzazione dei livelli decisionali. Una struttura piramidale del potere che risponde ad un mantra: accentrare, concentrare, centralizzare. Una elaborazione sostenuta dalle grandi banche d’affari internazionali, dalle agenzie di rating: limitare la partecipazione popolare, puntare su esecutivi forti e su parlamenti deboli, modificare le Costituzioni nate dalla resistenza al nazifascismo perché contengono troppi elementi di socialismo. Sono figli di questa concezione i trattati di libero scambio – il CETA e il TTIP con il Canadà e gli Stati Uniti – che di fatto esautorano gli Stati nazionali e la stessa Comunità Europea, a tutto vantaggio di organismi sovranazionali di natura privatistica. Un pensiero unico che si trasmette a cascata dal centro alla periferia. La giunta regionale si è dimostrata tra le più ricettive. Alcuni esempi. La “riforma” della governance territoriale. Si cancellano le province e si accentra tutto nella Città metropolitana di Cagliari, con qualche briciola per la impalpabile Rete metropolitana di Sassari: tutto intorno il vuoto, il deserto. La “riforma” della sanità: si cancellano le otto ASL e si concentra tutto in un’unica ASL. Una logica che, in nome dell’efficienza e del risparmio delle risorse, porterà ad una accelerazione dei processi di spopolamento e ad un impoverimento dei territori più deboli, a tutto vantaggio degli insediamenti urbani dove si concentrano maggiori investimenti, attività economiche e servizi essenziali. A Cagliari come a Roma, come a Wall Street, lo stesso pensiero, la stessa cattiva politica. |
Concordo con l’analisi del centralismo e sono per il No, come ho scritto e argomentato in difesa della Specialità e in direzione di un processo nazionale sardo di autodecisione. Ritengo del tutto sbagliato e contraddittorio legare questa battaglia agli accordi di libero scambio. Questi sono il contrario del centralismo, del prevalere degli interessi egoistici e prevaricatori degli Stati, dei poteri forti commerciali, degli ostacoli costituiti da frontiere, dazi doganali e tariffe, sempre a favore dei più forti e prepotenti e in definitiva , contrari al protezionismo egoista e prevaricatore. Se si osservava che il sardismo è tutto ciò che ne consegue come autonomismo, compresa la specialità , che pur insufficiente , si vuol difendere col NO, è nato dal movimento anti protezionista di Deffenu e Gramsci, questo ostracismo del tutto ideologista al TTIP e al CETA, mi lascia molto perplesso e pessimista. Se si nota che poi il peggior avversario di questi trattati e del libero commercio è Trump, lo sconcerto diventa più grande e mi preoccupa per il futuro , forse sarebbe il caso di approfondire meglio e radicalmente.
“Accordi sul libero scambio”: espressione che richiama concetti di libertà sui quali, a prima vista, non si può non concordare.
In realtà il libero scambio del TTIP nulla ha a che vedere con la tutela della libertà dei cittadini, ne con il loro benessere, ma è invece l’esatto contrario: la tutela della libertà delle multinazionali, dei gruppi finanziari, di chi detiene il potere economico, di imporre ai cittadini inermi i propri prodotti senza alcun controllo, senza alcuna efficace tutela.
Il TTIP è strumentale al progetto di una società basata sul primato dell’economia dei più forti sui diritti dei più, il progetto di un centralismo nel quale gli interessi degli Stati, delle Regioni, dei Cittadini sono bollati come egoistici e prevaricatori dei “legittimi” poteri forti commerciali. In questa logica le tutele costituzionali e la stessa democrazia rappresentativa sono ostacoli da spazzare via.
A ben vedere non si tratta di un “accostamento” della battaglia per il NO a quella contro TTIP e CETA: sono la stessa battaglia.