Master Plan, aree interne e crisi di sfiducia [di Nicolò Migheli]

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Del Master Plan sulle aree interne presentato a Fonni qualche settimana fa poco si sa. In rete non sono disponibili documenti relativi ma solo resoconti giornalistici. Ci si deve rifare ad una fotografia di una slide presentata in quell’incontro. In poche parole sembrerebbe un coordinamento di politiche già in atto e prospettiche con l’aggiunta della reti informatiche ad alta velocità. Il finanziamento sarebbe di 100 milioni di euro, non si capisce però se aggiuntivo agli interventi dei Gal e a quelli già previsti. Un piano che dovrebbe bloccare lo spopolamento e gettare le basi dell’inversione di tendenza.

Ricorda molto la Progettazione Integrata tentata durante il precedente governo regionale di centro-sinistra negli anni 2005-2007. A differenza di oggi, quell’intervento riguardava tutta la Sardegna. Per due anni ci fu un susseguirsi di incontri dove per la prima volta venivano adottati su larga scala i metodi di programmazione partecipata. Esperimento in parte abortito per la complessità delle procedure, perché molti politici si sentirono delegittimati della decisione dalla partecipazione dei portatori d’interesse, perché le allora provincie non volevano perdere il loro ruolo rispetto ai comuni, le comunità montane e i Gal. Lo stesso presidente Renato Soru era scettico sull’efficacia.

Un episodio rivelatore, in Barbagia dopo due anni di lavoro intenso sui progetti, con imprenditori e istituzioni coinvolte, il presidente della giunta cancellò il tutto proponendo un programma alternativo dal nome suggestivo Cambales. Azione che si rivelò destabilizzante. La pianificazione dall’alto che confliggeva con i bisogni e al progettualità espressa dal basso, alimentando la sfiducia non solo sulla politica ma sulle proprie capacità di soluzione dei problemi. Fu durante quegli anni che Francesco Pigliaru, allora assessore alla programmazione si dimise, e probabilmente la Progettazione Integrata fu una delle cause.

Erano altri anni. I paesi in difficoltà demografica erano molto meno, non era ancora comparsa la crisi che si manifesterà deleteria in tutta la Sardegna; la fiducia in un futuro migliore non era ancora scomparsa. Oggi il mondo è cambiato. I processi di urbanizzazione sembrano inarrestabili. Nel 2010 per la prima volta nella storia la popolazione delle città nel mondo è superiore a quella rurale. Le tendenze demografiche sarde stanno percorrendo le strade del declino: aumento dell’indice di vecchiaia, diminuzione delle nascite, emigrazione dei giovani. Molte attività economiche sono state chiuse, ma il danno maggiore è sul capitale sociale, manca quella densità demografica che sappia immaginare un futuro.

Lasciare le aree interne alla popolazione anziana significa negare loro ogni prospettiva di sviluppo. Ora assistiamo da parte del governo regionale ad un comportamento schizofrenico: da una parte si tagliano i servizi essenziali perché nell’ideologia ragionieristica che li possiede sono considerati antieconomici – ci dovrebbero spiegare però come si può fare turismo rurale in assenza di presidi sanitari, senza trasporti pubblici e con le strade dissestate – dall’altra si lanciano Master Plan da 100 milioni, intervento sulla cui efficacia l’attuale assessore alla programmazione sembra dubitare. Quest’anno ricorre il ventesimo anniversario dell’intervento Leader in Sardegna. Il Leader 1 aveva riguardato solo una piccola zona del nuorese.

Vent’anni ci danno il tempo giusto per valutare l’efficacia del programma sperimentale europeo nelle aree rurali dell’isola. Leader 2 e 3, pur tra luci ed ombre sono riusciti a creare imprese che ancora oggi si sostengono, ma il loro vantaggio più evidente è stato l’aver dato, non solo agli operatori, ma tutta la popolazione uno spirito di fiducia in se stessa. Quelle due edizioni erano caratterizzate da un basso livello di burocrazia, dalla vicinanza del centro di spesa agli imprenditori.

I dipendenti dei Gal operavano come agenti di sviluppo. Se il Montiferru oggi è conosciuto non solo ai sardi, lo si deve al Leader 2, a quelle poche ma significative iniziative che hanno cambiato la percezione che gli abitanti avevano di se stessi e si sono materializzate in iniziative economiche che sono cresciute nel tempo.

Non le stesse cose si possono dire dell’ultimo Leader che ha sofferto non solo del tempo di crisi, ma di una burocrazia più complessa, dell’attesa infinita dei pagamenti, degli agenti di sviluppo trasformati in istruttori di pratiche. Per quel che si può capire dai documenti anche il programma attuale 2014-2020 sembra correre gli stessi rischi. Uno strumento nato snello e sperimentale che si è trasformato in un Ispettorato Agrario di altri tempi.

I 100 milioni del Master Plan basteranno ad invertire il trend negativo? Non è detto, se non viene riconosciuta una fiscalità di vantaggio per le aree interne, se parallelamente continuerà la soppressione dei servizi essenziali. L’economia è importante ma non basta, occorre ricostruire la fiducia di chi nei luoghi ci abita o ci si vuole trasferire. Un investimento che è prima di tutto culturale, perché anche le attività economiche e lo sviluppo si nutrono di quel bene impalpabile. Significa fiducia in se stessi e nelle istituzioni che debbono essere percepite come amiche che contribuiscono alla soluzione del problema. Oggi loro sono parte del problema.

Abbiamo bisogno di buona politica, di un disegno che esalti la soggettività dei sardi ed invece assistiamo a comportamenti contrari. Si lanciano Master Plan e nel contempo si ricorre al Consiglio di Stato per il revamping dell’inceneritore di Tossilo, distruggendo nei fatti anni di crescita della raccolta differenziata, incuranti dei danni all’ambiente. Un esempio tra i tanti che esiste una politica per la Sardegna. Peccato che sia contro i sardi.

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