C’è bisogno della ricerca storica sulle origini e il tramonto dell’ Area Industriale del Nuorese [di Vittorio Sella]
“Ottana, tra passione e memoria” in Sardegna Soprattutto del 26 ottobre di Franco Mannoni, che ha fatto seguito a “Ma davvero c’interessa una Sardegna caramellosa, nostalgica, fashion?” di Umberto Cocco, artefice del profondo dibattito, ed a “Fu catastrofe antropologia?” di Nicolò Migheli, costituiscono la base illuminante per battere la strada della ricerca storica in grado di narrare il contesto politico, culturale e sociale degli anni che hanno contraddistinto l’origine dell’Area industriale di Ottana, del suo sviluppo e successivo lento declino. Gli avvenimenti, racchiusi tra l’arco di tempo che parte dall’origine del fenomeno e la sua conclusione, sono giunti a termine. Sono perciò diventati materia di studio, indispensabile a tenere viva la memoria di una pagina particolare delle vicende che hanno segnato la condizione della Sardegna e del nuorese in particolare con i drammi sociali che Franco Mannoni ha saputo descrivere e sintetizzare. Si avverte dunque l’urgenza della saggistica storica con l’obiettivo di sistemare, coordinare e sintetizzare gli eventi con il metodo scientifico della storiografia, consapevole che occorre superare la fase delle cronache giornalistiche, che hanno accompagnato gli anni del tentativo di aggiungere lo sviluppo industriale allo stato della pastorizia. Una delle vie è uscire dall’inerzia che sta oscurando il ruolo della classe dirigente sarda che ha ispirato quel modello di sviluppo. Interrogare il passato recente vuol dire anche evitare l’errore che oggi certa saggistica sta compiendo, e cioè di addossare le colpe della crisi a tutte le piccole comunità del nuorese in particolare e della Sardegna nel suo insieme. Non si tratta di innalzare tribunali per assolvere o condannare gli attori di quelle pianificazioni economiche. Ma di produrre un racconto storico che concorra a riflettere sul futuro delle nostre comunità, piccole cellule vitali in perpetua morienza. C’è, invece, ormai un discrimine, una lacana, si direbbe per ricorrere ad un termine della lingua sarda, che ha marcato un confine tra un modo di produzione strettamente locale, la pastorizia e il nuovo modo di produrre lavoro con l’insediamento della fabbrica, che ha generato classe operaia, nuovi figure professionali e aperture al mondo esterno dell’economia. Il sociologo e lo studioso di economia hanno competenze specifiche in merio agli aspetti particolari e specifici negli ambiti di studio. Ritengo che sia la narrativa storica, con tutti gli approfondimenti e gli aspetti che attengono al tema di analisi, una delle strade valide per far emergere dalla dimenticanza il ruolo dei partiti politici, dei gruppi dominanti, delle banche, degli enti locali e della regione sarda, delle riviste culturali, dei quotidiani, che i circoli culturali della contestazione definivano “intinti nel petrolio”. Occorre insomma un lavoro intellettuale complesso, che serve ad andare oltre le cronache, oltre il sentire comune, stabilire un confine tra i fatti reali e il comportamento consolatorio, che nasce nei sardi dalla “coscienza infelice”, tipica di chi ha assistito a ripetuti fallimenti di eventi, presentati alle origine come salvifici e risolutori delle ferite sociali e successivamente tramontati definitivamente per assenza di spirito di controllo dei meccanismi economici “delegati agli altri” che li hanno generati. I risultati sono i nuovi problemi che si aggiungono ai precedenti senza possibilità di soluzione con programmi credibili e fattibili. E’ da questa ferita sociale che nasce quella dicotomia perenne, quella scissione tra il ciò che si è e il ciò che si vorrebbe essere, cui si tende verso un qualcosa che manca e si vorrebbe avere a catastrofe compiuta. Questa scissione tra l’ essere della Sardegna e il dover essere genera nel corpo sociale e nella coscienza individuale il bisogno di un progetto politico condiviso, ma che spesso viene esternato con un semplice e improduttivo lamento, a volte genera la fuga dal reale effettivo e si ipotizza il sogno dell’indipendentismo intimo e romantico, reso pubblico nelle manifestazioni ed in alcune avanguardie della pubblicistica, figlia della occasione, come quella stazione finale dove dovrebbero approdare le soluzioni dei nostri problemi e della nostra dipendenza dai poteri esterni che hanno agito nel bene e nel male nei vari periodi della Storia della Sardegna. |