A proposito di “ Senza passare dal VIA” e del commento di Umberto Cocco [di Antonio Sanna e di Umberto Siotto]

amianto

Caro Umberto, al dibattito dopo la proiezione di “Senza passare dal VIA”, è intervenuto Saverio Ara, già sindacalista dei Chimici, che ha ripetuto le stesse cose che dice nel Documentario Francesco Tolu, già Operaio EniChem, già Segretario della Sezione PCI costituita all’interno della fabbrica e già rappresentante sindacale. E lo ha fatto, Saverio Ara, convinto che stava dicendo qualcosa di nuovo. Successivamente intervistato da Rai Regione, lo stesso ha dichiarato che il film era carente nel mettere in evidenza alcuni aspetti che invece il processo di industrializzazione aveva portato.

Ebbene di quegli aspetti si parla nel film, ma probabilmente non come lui si aspettava e per questo forse non sono stati opportunamente notati. Se Saverio Ara avesse fatto le sue critiche in pubblico avremmo potuto discutere insieme della questione e avremmo potuto spiegare a lui e al pubblico, appunto, il perché di certe scelte nel montaggio finale del lavoro.

Scelte che, come tu ben sai, essendoti cimentato nella produzione di un documentario, talvolta lasciano fuori aspetti importanti, che però non sono indispensabili per la comprensione della storia che stai narrando. E così vale per tutta una serie di altri punti che non sono nel Film, nella sua “colonna principale”, ma diventano importanti nel momento in cui, ad esempio nel dibattito che segue la proiezione, vengono aggiunti come aspetti inediti, contribuendo a rendere più corposi i contenuti dell’opera.

Chi ha visto il film senza conoscere la storia del Polo Petrolchimico di Ottana, e quindi senza aspettarsi niente, ma anche chi la fabbrica l’ha vissuta dal di dentro, ha apprezzato il documentario “per la sua ricostruzione storica, puntuale ed efficace”. Quando abbiamo cominciato il nostro lavoro ci siamo posti una domanda semplice: Come nasce l’idea di portare una fabbrica petrolchimica nel bel mezzo di una valle che, abbiamo poi scoperto, aveva dei terreni ottimi per il pascolo e proprio in quel periodo si stava parlando di portare l’acqua per l’irrigazione?

Volevamo cioè comprendere per quali ragioni la classe politica di allora avesse pensato di calare l’astronave Petrolchimica proprio in quel punto preciso dove poi è stata costruita. Posto che in una società non pressata da impellenti bisogni, come invece era ed è la nostra, di ieri e di oggi, tutto questo non sarebbe mai accaduto, quello di Ottana è stato un intervento assistito e non economico che, sin dai suoi albori, i vertici di ENI e Montedison, rivelarono essere ad orologeria, che sarebbe cioè durato venti, venticinque anni al massimo. Come poi è stato, rispettando quasi una sorta di crono-programma. E allora tutto ciò che ne consegue in qualche modo è viziato, perde il suo significato iniziale per assumerne altri, sempre importanti beninteso, ma diversi.

E ci riferiamo, ad esempio, alle tante e combattute e sofferte battaglie degli operai per fermare la serrata degli impianti, decisa a più riprese dalla proprietà sin dai primi anni di produzione della fabbrica. Ed è quello che mostriamo nel film, nei modi che rispondono ai criteri che hanno guidato la nostra ricerca. Che alla fine si conclude per forza con il decretare un fallimento. E non perché lo decidiamo noi, ma perché è nella natura stessa di quell’intervento.

E a proposito della catastrofe antropologica di cui parlano Bachisio Bandinu e Giovanni Columbu, secondo il Professor Bottazzi, Sociologo dell’Economia e uno degli intervistati del film, tale catastrofe antropologica non c’è stata o forse è mitigata “..se la crisi di Ottana non sia stata più dirompente e lacerante ancora di quanto non sia stata è perché molti operai di Ottana hanno mantenuto un piede nell’agricoltura e nella pastorizia…”. Crediamo anche che analisi di questo tipo debbano essere fatte con criteri scientifici e non all’interno di un Documentario come il nostro che non ha questo taglio e inoltre deve anche rispondere a precise esigenze di tempi e di ritmi della narrazione. Visto che stiamo parlando di un film e non di un saggio.

Detto questo, due righe su alcune imprecisioni contenute nel tuo servizio. La produzione di “Senza passare dal VIA” è durata 18 mesi e non un anno. Il film è totalmente indipendente, e come vedi lo sottolineiamo perché sia ben chiaro a tutti, e non è affatto finanziato dall’ISRE, il quale, nel rispetto del suo ruolo istituzionale, ha ritenuto opportuno darci un piccolo contributo necessario per completarne la post-produzione. Il ruolo della Società Umanitaria, che tu dici avrebbe potuto darci le immagini di Fiorenzo Serra del 1959 (?), peraltro coperte da diritti, lo ha spiegato bene il direttore Antonello Zanda la sera della presentazione, era quello di fornirci un supporto tecnico ed audiovisivo anche svolgendo un ruolo di mediazione con la RAI, che ci ha gentilmente e gratuitamente concesso quelle splendide immagini relative proprio ad Ottana paese e alla fabbrica, che in quell’anno, il 1974, stava entrando in produzione.

Sulla classe operaia che tu ritieni non trattata come ti aspettavi, beh non possiamo che ripeterci, dicendo che, solo parlare della sua nascita, del suo sviluppo e della sua evoluzione nel lungo, ma limitato, periodo in cui la fabbrica ha funzionato, meriterebbe senz’altro un film con un taglio decisamente più antropologico e sociologico di quello usato nella realizzazione del nostro film.

Ci permettiamo di ricordarti che tra le persone di Ottana che vengono intervistate c’è anche chi è a favore dell’impianto e anche chi, come l’ex operaio della Centrale Termo Elettrica (ancora un operaio), dice di avere avuto benefici economici e culturali dall’aver lavorato in fabbrica. Al contrario di quanto affermi, ad Ottana oggi, e nel computo abbiamo messo pure i lavoratori della Maffei, (azienda estrattiva che ha in concessione ben 250 ettari di territorio), operano 21 aziende, per un totale di 379 occupati e non un migliaio.

La Commissione d’Indagine sui fenomeni di Criminalità in Sardegna, detta anche Commissione Medici, fu proposta nel 1968, fu istituita con legge del 27 ottobre del 1969, lavorò fino a tutto il 1971 e presentò le sue conclusioni in Parlamento nel marzo del 72 e non nel 1968 come da te riportato. Le conclusioni della Commissione vengono oggi usate come elemento determinante la nascita dell’industria, ma è probabile, che, sin dal momento in cui si capì che il progetto iniziale fosse fallimentare, venissero e vengano utilizzate strumentalmente per scaricare sulla stessa Commissione l’idea che per sconfiggere il Banditismo occorresse costruire il Polo Petrolchimico.

A questa si aggiunge la propaganda fatta nei principali quotidiani sardi, che erano di proprietà del Presidente della SIR Nino Rovelli, già prima dell’avvio del processo di industrializzazione della Sardegna Centrale. La Commissione Medici auspicava la creazione di un Università nel centro Sardegna e quasi mettendo in pratica le parole di alcuni uomini di Governo di allora, i quali affermavano che per riportare le Zone Interne dell’isola, fuori dal loro stato di arretratezza, occorressero interventi produttivi e non la repressione poliziesca, a Nuoro l’Università è stata creata nei locali che un tempo ospitavano proprio la Questura.

Infine, per concludere, una domanda sul titolo del tuo articolo che parla di nostalgia e di una Sardegna melensa. Puoi spiegarci, perché non lo abbiamo capito, se si riferisca al film che tu hai visto, ai contenuti del post o al nostro film?

 

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