Azienda Regionale per l’Edilizia Abitativa (AREA): Una Riforma inadeguata [di Salvatore Multinu]
Si è concluso, con l’approvazione della legge 24 del 29 settembre 2016, l’iter della riforma dell’Azienda Regionale per l’Edilizia Abitativa (AREA): era iniziato due anni fa, il 12 settembre 2014, con il commissariamento dell’ente e con l’approvazione in Giunta di un disegno di legge teso a modificare alcuni articoli della legge istitutiva dell’Azienda approvata otto anni prima[1]. Il processo è iniziato con le modalità tipiche in questa stagione politica per tutte le riforme: la manifestazione della volontà di introdurre nel settore significative modifiche e, come corollario, il commissariamento di tutti gli organi previsti dalla legge. Riguardo a questo punto sarebbe utile una riflessione approfondita sugli esiti che tale modalità di intervento produce. Il principale dei quali è la messa a rischio del principio di continuità amministrativa nella successione del governo della Regione (ma lo stesso avviene al livello nazionale): si interviene pesantemente sulla vita di un organo autonomo (almeno formalmente) prima che siano chiari – o, almeno, che vengano chiaramente esposti – gli obiettivi che si intende perseguire; e si inizia con un commissariamento che si promette breve (“non oltre i sei mesi”) ma che regolarmente si dilata fino ad un tempo triplo o quadruplo, interessando talvolta la metà del periodo della legislatura. Se questo metodo fosse applicato normalmente, ad ogni cambio di governo sarebbe messo in discussione l’operato del governo precedente, determinando nel settore sul quale si interviene una incertezza amministrativa che è l’esatto opposto di quella stabilità tanto spesso decantata. Ovviamente non si intende discutere il diritto, da parte di chi riceve il mandato elettorale del governo, di intraprendere azioni di trasformazione; ma sarebbe opportuno che ciò avvenisse quando siano stati definiti, anche attraverso la discussione tra le forze politiche e le rappresentanze sociali dei diversi interessi in campo, gli obiettivi da raggiungere e le modalità, anche di tecnica legislativa, per realizzarli. E altrettanto opportuno sarebbe che tali obiettivi corrispondessero a quanto si era proposto al corpo elettorale e si era indicato negli atti di programmazione adottati in principio di legislatura. Erano queste le condizioni, nel caso specifico? La risposta è negativa. Infatti, nel Programma Regionale di Sviluppo (PRS), adottato dalla Giunta nell’ottobre 2014 e approvato dal Consiglio regionale nel febbraio 2015[2], si legge: “una pedissequa trasposizione del modello organizzativo della Regione alla struttura di AREA non costituisce la migliore soluzione”. Il disegno di legge approvato dalla Giunta nello stesso periodo recita, invece: “L’articolazione organizzativa di AREA è uniformata secondo i criteri adottati dall’amministrazione regionale nel proprio ordinamento”, con esplicito riferimento ai servizi di cui alla legge 31 del 1988 – anch’essa recentemente riformata – che disciplina l’organizzazione degli uffici regionali. Un eufemismo definirebbe i due atti incoerenti. Si è avviata così un riforma, con atti normativi dirompenti, prima che l’opportuno dibattito disegnasse chiaramente dove si voleva andare a parare. Un metodo criticabile che ha riguardato anche altri provvedimenti legislativi regionali (per esempio la riforma degli Enti Locali) e nazionali (per esempio la riforma delle Province), dove il commissariamento ha preceduto la definizione degli obiettivi e delle modalità per perseguirli, alimentando confusione e, soprattutto, autorizzando implicitamente il governo che succederà ad agire nello stesso modo. Atro che continuità amministrativa! Probabilmente sarebbe stato più saggio che il dibattito politico avvenisse mentre gli organi oggetto delle trasformazioni proseguivano la loro normale attività secondo le regole stabilite nei propri statuti. La riforma di AREA non poteva che risentire di questo peccato originale, e né l’esame in Commissione né il dibattito in aula vi hanno posto rimedio. Quello approvato è un provvedimento che contiene tutti i difetti di questo modus operandi dei moderni legislatori, sempre più succubi dell’organo esecutivo che li tiene agevolmente sotto ricatto con la minaccia di scioglimento anticipato (simul stabunt simul cadent). Le conseguenze sono quelle che schematicamente si elencano appresso. Dal punto di vista generale si ha un accentramento delle competenze al livello esecutivo della Regione, a scapito dell’autonomia degli enti strumentali ai quali solo in teoria viene riconosciuta quella statutaria, finanziaria, patrimoniale; si alimenta così, una volta di più, la bulimia dell’Ente Regione, nonostante la proclamata esigenza di farlo dimagrire lasciandogli soltanto le competenze legislative e sottraendogli quelle amministrative. L’amministratore unico di AREA sostituisce il Consiglio di Amministrazione, nel quale erano rappresentati diversi interessi, politici, sociali e territoriali, ed è sottoposto al controllo diretto dell’assessore di riferimento. A questa scelta si aggiunge l’inquadramento stretto della governance dell’Azienda nel sistema burocratico regionale, che sancisce la fine anche dell’autonomia organizzativa e non ha paragoni in nessuna altra regione italiana. Non sembra in grado di mitigare efficacemente tale accentramento la creazione di organismi pletorici e sostanzialmente irresponsabili (nel senso giuridico del termine, essendo il loro compito di supporto e consulenza) inventati nei loro acronimi dalla vivace fantasia dei legislatori. Ecco così il CRES (Comitato Regionale per l’Edilizia Sociale), composto dall’amministratore unico, dal presidente del Consiglio delle autonomie locali e da 20 componenti eletti dal Consiglio tra amministratori locali, organismi associativi del settore, ed esperti, in rappresentanza delle solite otto circoscrizioni territoriali (per altro appena falcidiate dall’abolizione delle province e dalla riforma degli Enti locali). Ecco l’ORECA (Osservatorio Regionale sulla Condizione Abitativa), la cui organizzazione è demandata ad una successiva deliberazione della Giunta. Entrambi daranno indicazioni per la stesura del DoPIES (Documento di Programmazione degli Interventi di Edilizia Sociale), che la Giunta deve proporre entro un anno dal suo insediamento ad AREA, a non meglio precisati organismi territoriali e alle “organizzazioni maggiormente rappresentative portatrici di interessi nel campo dell’edilizia sociale”, i quali lo dovranno valutare entro 45 giorni. Entro i successivi 30 giorni la Giunta adotterà il DoPIES e lo trasmetterà al Consiglio regionale che ha 60 giorni di tempo per approvarlo. Considerando gli inevitabili tempi burocratici, il DoPIES dovrebbe essere operativo alla fine del secondo anno del mandato elettorale; poi serviranno gli atti concreti (stanziamenti, trasferimenti ad AREA o ad altri enti attuatori, etc…) per cui i primi effetti del documento di programmazione potranno vedersi, nell’ipotesi più ottimistica, solo nella seconda metà della legislatura. E alla fine, dopo due anni, si ricomincerà. Dal punto di vista interno all’Azienda si ha un rafforzamento della sede centrale a scapito delle articolazioni territoriali (i Distretti, corrispondenti ai vecchi IACP su base provinciale, ora soppressi) che nelle aziende-casa delle altre regioni continuano ad essere lo strumento principale per un proficuo rapporto con gli enti locali e con gli utenti. Con ciò si sancisce definitivamente il superamento delle indicazioni del Programma Regionale di Sviluppo, come inutilmente, nella discussione in Consiglio, hanno fatto rilevare i partiti di opposizione e, più debolmente, qualche esponente delle forze di maggioranza. Nel frattempo AREA ha subìto gli effetti devastanti del clima di incertezza derivato dalla sovrapposizione di atti contraddittori, caratterizzati anche da forzature al limite della legittimità: per esempio quando si è approvato con una Delibera di Giunta uno statuto palesemente in contrasto con l’indicazione della legge istitutiva del 2006, con buona pace della gerarchia delle fonti normative. Ma, del resto, non si è operato così anche a livello nazionale depotenziando (e concretamente abrogando) le Province prima di modificare la Costituzione? In conclusione, la riforma approvata non appare adeguata ad affrontare il problema dell’edilizia sociale e certamente sarà oggetto di ulteriori modifiche. Anche perché, nel frattempo, non ci si è preoccupati di affrontare – nonostante qualche proposta di legge sia depositata agli atti del Consiglio – il grande tema della riforma della gestione degli alloggi sociali, ancora regolata da una legge di circa trenta anni fa tarata su una società assai diversa da quella di oggi, che perciò non tiene conto delle profonde trasformazioni sociali nella formazione, composizione e dissoluzione dei nuclei famigliari che di quella legge sono destinatari. Né possono indurre all’ottimismo le passate prove che di sé ha dato la Regione nel settore: valga per tutti l’esempio del Fondo Immobiliare per l’housing sociale, istituito nel 2008, che ha richiesto sei anni solo per la selezione della società di gestione (Torre SGR SpA) e che finora non ha prodotto altro che una manifestazione di interesse. Per offrire una valutazione comparativa si consideri che analoghi Fondi in Lombardia, Piemonte ed Emilia hanno assegnato gli alloggi costruiti già da un paio di anni. Questo accade quando non si riesce ad uscire dall’approccio strettamente burocratico perseguito da un organismo accentratore che “tutto vede e provvede”, ma che con le esigenze complesse del welfare abitativo non è, purtroppo, in grado di confrontarsi efficacemente. NOTE [1] Ecco il testo del disegno di legge: Art. 1 Organizzazione dell’Azienda regionale per l’edilizia abitativa (AREA) 1. L’articolazione organizzativa di AREA è uniformata secondo i criteri adottati dall’amministrazione regionale nel proprio ordinamento. 2. Il distretto è un’articolazione organizzativa e funzionale di AREA corrispondente ai servizi di cui all’art. 12 della legge regionale 13 novembre 1998, n. 31 (Disciplina del personale regionale e dell’organizzazione degli uffici della Regione). Art. 2 Abrogazione commi 4 e 5 articolo 6 della legge regionale n. 12/2006 1. I commi 4 e 5 dell’articolo 6 della legge regionale n. 12 del 8 agosto 2006 sono abrogati. [2] Piano Regionale di Sviluppo, pag. 98 punto 3.6.4: “Nell’ambito della Riforma degli enti regionali è indispensabile cogliere una differenza, tutt’altro che marginale, tra questi e l’Azienda per l’edilizia abitativa. Mentre infatti per gli altri Enti il funzionamento è garantito da un impegno finanziario diretto a carico del bilancio regionale, AREA provvede da se stessa, attingendo alle entrate derivanti dall’incasso dei canoni di locazione e – almeno potenzialmente – da attività che potrebbero essere svolte nell’ambito del mercato immobiliare sardo (alienazioni di una parte del patrimonio, acquisti di alloggi, etc…) e in quello dei servizi agli Enti locali e alla stessa Regione(progettazione e realizzazione di interventi edilizi, presenza nei programmi di housing sociale, etc…). In questo quadro appare chiaro che una pedissequa trasposizione del modello organizzativo della Regione alla struttura di AREA non costituisca la migliore soluzione. (…) Se è vero, quindi, che l’Area ha necessità di un profondo e radicale riordino della sua struttura organizzativa, sarebbe forse utile una più attenta valutazione degli effetti derivanti da un puro e semplice adeguamento al modello della Regione”. |