Cattolici e musulmani in difesa dell’ambiente [di Paolo Gonzaga]
Via Borgognona 3, magazine on line Casa della cultura Milano, 3 novembre 2016. Nell’enciclica Laudato si’ Papa Francesco tratta le sfide più grandi che l’umanità si trova ad affrontare con sorprendente sintonia con la visione islamica del mondo e del ruolo che questa conferisce all’uomo che, secondo l’Islam, è quello di Vicario di Dio sulla terra, “khalifat-Allah fil-ard”. “E [ricorda] quando il tuo Signore disse agli angeli: ‘Io porrò un vicario sulla terra’. Essi dissero: ‘Metterai su di essa chi vi verserà la corruzione e spargerà il sangue, mentre noi Ti glorifichiamo lodandoTi e Ti santifichiamo?’. Egli disse: ‘In verità, Io conosco quello che voi non conoscete’. E insegnò ad Adamo i nomi di tutte le cose e quindi le presentò agli angeli e disse: “Ditemi ora i loro nomi, se siete sinceri“. [Sura Al Baqara, La Vacca, versetti 30-32]. In questi versetti è esemplificato il rapporto dell’uomo con la creazione nel pensiero islamico, dove il Vicario di Dio sulla terra deve preservare quanto affidatogli perché la terra è ciò che Dio ha creato ed affidato in custodia (amana). L’uomo dovrebbe quindi comprendere e meditare quanto la natura sia intimamente connessa a Dio poiché Sua creazione e la sua tutela diventa perciò un dovere religioso. Il richiamo all’intelletto umano, alla sua capacità di discernimento e di cogliere il divino è una costante nella narrazione coranica. “Non riflettono sui cammelli e su come sono stati creati, sul cielo e come è stato elevato, sulle montagne e come sono state infisse, sulla terra e come è stata distesa? Ammonisci dunque ché tu altro non sei che un ammonitore…” [Il Corano, Sura Al Ghashiah, L’Avvolgente, versetti 17-21]. Nel primo capitolo dell’enciclica il Pontefice ricorda che «un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale» e ingiunge ad ascoltare «tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri». Parole che trovano perfetta adesione con gli ideali islamici di giustizia sociale ed eguaglianza. Troviamo una profonda consonanza con quanto scritto nell’Enciclica sin dal primo capitolo – Quello che sta accadendo alla nostra casa – dove il Papa richiama a una profonda riflessione sulla condizione attuale del pianeta terra. Nella denuncia dei disastri ambientali provocati dall’uso scriteriato delle risorse in un mondo sempre più ingiusto e dalle disparità sociali devastanti che arrivano addirittura a privare una considerevole parte dell’umanità del diritto naturale all’acqua, il Papa tocca le corde più profonde del pensiero dei musulmani e temi su cui i più attenti si battono da tempo. Il Corano infatti conta infiniti passi sulla natura e sul creato, fino ad arrivare a una descrizione della storia della terra: «Non vedono dunque gli empi che i cieli e la terra erano un tempo una massa confusa e noi li abbiam separati, e dall’acqua abbiam fatto germinare ogni cosa vivente? E ancora non credono? E ponemmo sulla terra montagne immobili, che la terra non si scotesse sotto i piedi degli uomini, e ponemmo fra i monti dei passaggi, a guisa di strade, che gli uomini potessero dirigersi nel loro cammino, e ponemmo il cielo come un tetto saldamente tenuto. Eppure essi s’allontanano dai Nostri Segni sdegnosi! E pure è Lui che ha creato la notte e il giorno, e il sole e la luna, ciascuno navigante nella sua sfera” [Il Corano, Sura al Anbiya, i Profeti, versetti 30-33]. Nel secondo capitolo – Il Vangelo della creazione – Bergoglio riporta le parole dei vescovi del Paraguay molto significative: «Ogni contadino ha diritto naturale a possedere un appezzamento ragionevole di terra, dove possa stabilire la sua casa, lavorare per il sostentamento della propria famiglia e avere sicurezza per la propria esistenza». Questi diritti umani trovano un corrispettivo sharaitico alla base della giurisprudenza islamica: i maqasid al shari’ah, ovvero gli scopi ultimi dell’Islam, che sono la tutela della persona e della sua integrità (himayat al nafs wa himayat al ‘ird), e qui ecco il contadino, la tutela della sua famiglia (himayat al nasl), della sua proprietà (himayat al mal). Nel terzo capitolo – La radice umana della crisi ecologica – il Papa riporta il discorso sull’uomo e le sue responsabilità nella devastazione della terra a causa di un’ideologia relativista e “usa e getta” che mette il denaro al primo posto: un malinteso antropocentrismo che ha fatto credere agli uomini di potersi disconnettere dal Creatore e disporre a piacimento della Sua creazione senza porci alcun limite. Un monito che trova eco nel versetto coranico: «Ma non osservano il cielo sopra di loro come l’abbiam edificato e abbellito e senza fenditura alcuna? E la terra l’abbiamo distesa e vi infiggemmo le montagne vi facemmo crescere ogni specie di meravigliosa vegetazione: invito alla riflessione e monito per ogni servo penitente. Abbiam fatto scendere dal cielo un’acqua benedetta, per mezzo della quale abbiamo fatto germinare giardini e il grano delle messi e palme slanciate dalle spate sovrapposte” [Il Corano Sura Qaf, versetti 6-10]. Nel quarto capitolo Francesco ci richiama a quel fondamentale concetto che è il ‘bene comune’, base del nostro agire collettivo e pluralista, che richiede l’impegno di tutti per favorire la creazione di società più armoniche. Qui riporta le significative parole dei Vescovi del Portogallo – «L’ambiente si situa nella logica del ricevere. È un prestito che ogni generazione riceve e deve trasmettere alla generazione successiva» – per passare poi a interrogarsi su che tipo di mondo vogliamo per chi verrà dopo di noi. Nella denuncia del «principio della massimizzazione del profitto», il pensiero dell’enciclica incontra l’approccio islamico alla finanza, che proibisce gli interessi sul denaro ed è in radicale disaccordo con il terribile meccanismo del debito pubblico che schiaccia i paesi più poveri. Rivolgendosi a un’ampia platea il Papa ha trovato larghi riscontri tra i credenti musulmani, specialmente nelle fasce più impegnate e colte. Per aderire all’appello lanciato da Papa Francesco nella Laudato si’, al termine di un simposio internazionale che si è tenuto a Istanbul il 17 e il 18 agosto del 2015, è stata redatta la Dichiarazione islamica sul cambiamento climatico. La questione su cui è incentrata è quella del cambiamento climatico, altre questioni ecologiche sono citate in modo secondario. Si tratta probabilmente di una scelta strategica: il documento ha avuto forse lo scopo di esercitare una qualche influenza sui lavori della Conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si sarebbe poi tenuta a Parigi nel dicembre 2015. Il preambolo della Dichiarazione descrive i motivi che hanno determinato la stesura del documento che prende le mosse dall’affermazione dottrinale che Dio ha creato il mondo. Il paragrafo successivo fornisce un’interpretazione teologica del fenomeno del cambiamento climatico: esso – in sintesi – sarebbe il risultato del nostro fallimento esistenziale nell’assolvere al dovere dell’uomo di curare e tutelare il creato, cioè al nostro ruolo di khalifa di Dio sulla terra: «Egli è Colui Che vi ha costituiti vicari della terra» [Il Corano, Sura al-An’am, Il Bestiam, versetto 165]. La tesi di fondo della Dichiarazione è che invece di coltivare quella terra che Dio ci ha donato e affidato, l’abbiamo danneggiata abusandone. In termini analoghi alla Laudato si’, il testo affronta il tema dell'”equilibrio delicato della terra” e del nostro essere “inseriti nel tessuto del mondo naturale“. Seguono alcuni paragrafi in cui si mette in evidenza la gravità della situazione attuale e si esprime allarme rispetto a quanto poco è stato fatto in vista di una sua soluzione. Subito dopo una serie di affermazioni dottrinali – per la maggior parte semplici espressioni coraniche della signoria di Dio sulla creazione – viene tessuto un discorso complessivo volto ad affermare che la cura per l’ambiente è una preoccupazione intrinseca dell’Islam. «Le stelle e gli alberi prostrano» [Il Corano, Sura Al Rahman, Il Misericordioso, versetto 6], «a Dio si prostrano quanto è nei cieli e quanto è sulla terra, il sole, la luna, le stelle, le montagne, gli alberi, e le bestie» (Sura Yunus, Giona, versetto 18). Tutti i musulmani vedono nei comportamenti del Profeta Mohammad la parola definitiva sulla giusta condotta. È inevitabile che il suo comportamento debba essere invocato a sostegno delle affermazioni della Dichiarazione. Alcuni suoi tratti vengono richiamati come una guida per portarci verso l’armonia. Il testo fa dunque riferimento anche alla semplicità dello stile di vita di Maometto (tra cui il suo parco uso di carne), alla sua raccomandazione di proteggere le scarse risorse del deserto come l’acqua, e di costruire santuari per la protezione della vita animale e vegetale. La Dichiarazione islamica sul cambiamento climatico si conclude con una serie di appelli: ai negoziatori della Conferenza delle Nazioni Unite, cui chiede di condurre i colloqui per raggiungere dei risultati soddisfacenti; ai Paesi ricchi, che vengono esortati a farsi carico della parte preponderante dell’onere finanziario di una graduale eliminazione dei combustibili fossili; alle persone di tutte le nazioni, incoraggiate a rinunciare ai combustibili fossili e ad adottare le fonti di energia rinnovabile elaborando un nuovo modello di benessere che non danneggi il pianeta. L’appello del Papa trova perciò una eccezionale consonanza nel mondo islamico e stimola una riflessione che può e deve avvicinare gli uomini e le donne di buona volontà a qualsiasi religione appartengano. Il richiamo all’ecologia è un appello a una società più impegnata e meno materialista: ora è necessario agire tutti insieme per affermare il primato del pianeta terra e degli esseri umani su quelle logiche economiche che stanno distruggendo il mondo. |