Alcune riflessioni, in ordine sparso, sulla filosofia dei trasporti [di Italo Ferrari]

-una-strada-romana

Si racconta che, nel momento di maggior fulgore delle attività di costruzione delle reti autostradali in Italia, un cittadino napoletano al quale veniva spiegato che con la Napoli-Salerno sarebbe arrivato a Salerno mezz’ora prima, abbia ribattuto: “E io, a Salerno, che ci faccio mezz’ora prima?”. Bene, aldilà del sorriso strappato dalla leggerezza dell’ironia partenopea, l’affermazione contiene un profondo senso di saggezza e, insieme, di anticonformismo.

Attraversiamo, da tempo sufficientemente lungo perché siano potute intervenire significative trasformazioni nella cultura antropologica della nostra società, un’epoca caratterizzata da un imponente deficit di senso. I vecchi schemi di legittimazione sono saltati, la stessa etica protestante ha perduto il suo riscontro in un meccanismo di mercato almeno apparentemente oggettivo, la ragione di scambio è diventata un fatto politico, e la stessa meritocrazia manca di riconoscimenti che le assicurino credibilità.

La crisi motivazionale si sta ampliando con velocità sempre più elevata. Ogni volontà di collaborazione sembra più limitata e la tentazione corporativistica più accesa, mentre al contrario aumenta la complessità sistemica del nostro mondo accentuata, com’essa è, da un impetuoso sviluppo tecnologico. C’è da domandarsi che senso abbiano, in questo quadro, le elaborazioni sofisticate delle organizzazioni per la regolarità e la velocizzazione degli atti di trasporto.

Sta di fatto che sembra del tutto privo di senso, se si bada essenzialmente alle esigenze specifiche dell’uomo, incrementare la velocità di trasferimento delle persone di fronte a un evidente potenziamento di una organizzazione sociale che distrugge il tempo vitale della specie. Le due cose sono paradossalmente in antitesi tra loro, ma noi cerchiamo di non avvertire la contraddizione o, peggio, non la comprendiamo nella sua profonda capacità distruttiva.

Nel frattempo si manifesta un sempre più impetuoso sviluppo della tecnologia che, se non governato con saggezza, potrebbe produrre fenomeni di disumanizzazione pericolosamente estesi. Non ho tuttavia voglia di soffermarmi su un’oziosa discussione sulla validità del progresso tecnologico nel lungo andare del tempo.  Vorrei semplicemente notare quanto elevato sia il grado di rischio insito nella ricerca tecnologica quando questa sia stimolata unicamente da uno spirito di competizione che, travalicando i confini aziendali, occupi prepotentemente gli ambiti nazionali e oltre.

Uscire da una condizione di questo tipo non è né facile né semplice. Soprattutto quando, riproducendosi oggi le condizioni della transizione e della mutazione culturale dell’Italia medioevale, è nuovamente in atto una forte crisi di legittimazione accompagnata da una profonda assenza motivazionale.

E allora? Allora, dopo il pessimismo della ragione, gramscianamente bisognerà affidarsi all’ottimismo della volontà e valorizzare quei moti spontanei che ancora confusamente cominciano a manifestarsi e si fanno strada, e che sperabilmente preludono all’avvento di un nuovo rinascimento.

*Docente Ingegneria dei Trasporti

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