Sondaggisti e sondaggiati: chi ha sbagliato? [di Giuseppe Pulina]

pinocchio

Secondo un aforisma attribuito allo scrittore anglo-canadese Stephen Leacock “Nei tempi antichi non c’erano le statistiche, perciò era necessario ripiegare sulle menzogne”. Le cantonate dei sondaggisti, che alla vigilia dello spoglio elettorale avevano quotato la vittoria della Clinton su Trump 85 a 15, sembrano essere la confermare l’aforisma di Leacock: oggigiorno bugie e sondaggi sono da considerarsi equivalenti.

Con il conseguente fragore di lazzi e cachinni, amplificati da media e social, a certificare che la via breve per la verità è lastricata di buona ignoranza. Oppure a ricordarci che il senno di poi è una scienza esatta. Ma il sondaggio è uno strumento delle scienze statistiche e sociali che si basa, come tutti i congegni di ausilio della conoscenza, su presupposti ineludibili.

Nell’ordine il sondaggio:

  1. stima una realtà, ma non è la realtà;
  2. le sue risposte sono buone se il materiale su cui si basa è buono e gli algoritmi di elaborazione impiegati sono adeguati;
  3. dipende dal contesto interpretativo delle domande poste al campione dei sondaggiati.

E’ vero che i sondaggisti sono pagati per darci una risposta la più vicina possibile alla realtà e che per questo devono utilizzare tutti gli accorgimenti per scartare le informazioni sbagliate e impiegare robusti algoritmi per l’elaborazione di informazioni accuratamente selezionate in precedenza. Ma contro la grande bugia non esiste matematica che tenga.

Ad esempio, per renderci conto dei tunnel mentali a cui può portare un ragionamento apparentemente giusto, qualsiasi persona troverebbe impulsivamente corretta questa frase: “prendi due numeri, moltiplicali e ottieni un numero che è divisibile per uno dei due numeri originali”. Pensandoci meglio, poi, si accorge che se uno di questi due numeri è zero, la frase non è più vera. E più avanti scopre che se uno dei due numeri è l’ultimo decimale di pi-greco, la frase è meno vera, e che non è vera per tutti gli ultimi decimali dei numeri irrazionali i quali, come è dimostrato, sono molti più di quelli razionali!

Allora conclude che questa frase, apparentemente vera, è nella maggior parte dei casi falsa. Ergo, mettete i numeri giusti in una frase (in un operatore si direbbe in matematica) sbagliata e avrete risposte sbagliate, così come mettete i numeri sbagliati nella frase giusta e avrete risposte sbagliate. Purtroppo, numeri sbagliati e frasi sbagliate non si compensano: il risultato è irrimediabilmente sbagliato (il che dimostra che statisticamente solo un ragionamento sui quattro possibili è corretto).

Nel nostro caso, ammesso di ricadere nell’evenienza di una frase giusta (elaborazione robusta dei dati) la circostanza che i sondaggiati hanno detto, in una buona quota, le bugie (hanno dichiarato di votare Clinton sapendo di aver scelto Trump), oppure hanno cambiato idea all’ultimo momento (magari spinti proprio dal sondaggio, secondo la ben nota teoria dell’osservazione che cambia la realtà), ha fatto la frittata, ma la colpa non è (o non è solo) dei sondaggisti. Il fatto è che anche con gli strumenti statistici migliori, non è possibile correggere un elevato insieme di dati sbagliati.

Questa lezione (e non è la prima, ne abbiamo avute anche in casa nostra) ci dovrebbe insegnare alcune cose:

  1. che le tecniche statistiche di trattamento dei dati campionari dell’analisi classica applicate a questi fenomeni, non sono più sufficienti a correggere scostamenti totalmente imprevedibili, quali la propensione a mascherare i propri orientamenti;
  2. che probabilmente i sistemi di rilevamento dovranno riconsiderare i canali informativi, passando da quelli classici (questionari, interviste telefoniche, ecc..) a profilazioni più sofisticate dell’universo statistico ottenibili, ad esempio, con algoritmi applicati ai social;
  3. che la politica, che una volta verificava il gradimento per le proprie scelte con i sondaggi e ora le fa seguire ai sondaggi, dovrebbe riappropriarsi del coraggio di agire e rispondere agli elettori sovrani alle urne e non a piccoli gruppi di sondaggiati mutevoli e bugiardi.

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