“Governare una grande città con Gramsci». Parla il sindaco di Valparaíso [di Claudio Madricardo]

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Eddyburg.com   22 novembre 2016 «Che ne pensi del nuovo sindaco?» chiedo al giovane autista che mi conduce attraverso una Valparaíso ancora prigioniera della garúa, la nebbiolina che avvolge le città che si affacciano sul Pacifico. Conferendo un aspetto un po’ spettrale e freddo perfino alla miriade di murales che trasformano il centro cittadino in un museo d’arte a cielo aperto, in attesa di assistere di lì a poco al trionfo del sol matador che infonde calore alle storie multicolori che i muri raccontano.

«Es muy joven y esperamos que lo haga bien». Non ha votato Antonio, che guidando scende con sicurezza dal Cerro Artillería e mi porta al Puro Café in Plaza Victoria, il luogo dove Jorge Sharp Fajardo, sindaco eletto con quasi il 54 per cento dei voti, ma ancora non entrato in carica, ha deciso di incontrarmi. Antonio fa parte di quella maggioranza di cileni che il 23 ottobre non è andata a votare, un 65 per cento che urla la lontananza del paese dalla politica, e che di converso ha permesso l’inaspettata vittoria di Sharp. Il quale, in condizioni di minor astensionismo, forse mai e poi mai avrebbe potuto fare il miracolo.

E portare al governo del secondo centro urbano cileno, la città sede della Marina che per prima mosse contro Allende nell’alba drammatica dell’11 settembre del 1973, una coalizione arcobaleno. Suona e canta le canzoni degli Inti Illimani, il trentunenne Sharp, che si è laureato in diritto nella Pontificia Universidad Católica di Valparaiso. Ma ancor più si è formato nelle lotte studentesche che hanno percorso il paese dal 2006 in poi, di cui è stato un leader indiscusso.

Signor nessuno prima della vittoria alle elezioni municipali, ora se lo contendono giornali e televisioni nazionali. Le sue uscite riempiono i notiziari, e già appare nelle vignette satiriche pubblicate dai giornali cileni. Ha letteralmente seminato il panico tra i suoi concittadini quando ha affermato in televisione che taglierà i fuochi d’artificio di Capodanno. Quegli stessi che Pablo Neruda non mancava mai di seguire da La Sebastiana, la casa che il poeta possedeva in città nel Cerro Bellavista.

Originario di Magallanes, la regione antartica, ha fondato Izquierda Autónoma che ha mandato al parlamento Gabriel Boric e Giorgio Jackson, per poi lasciarla e fondare il Movimiento Autonomista. Proiettando Valparaíso sulla scena nazionale e facendo parlare la stampa del nuovo Pablo Iglesias cileno che è riuscito a mettere assieme il popolo arcobaleno della città ma anche spezzoni di elettorato moderato schifato dai due schieramenti tradizionali.

Eletto sindaco con il contundente compito di provocare una scossa sismica capace di cancellare i dodici anni di Jorge Castro, suo predecessore di destra. Ma anche le ricette di un centro-sinistra sempre più prigioniero delle teorie neo-liberali. Per la sua giovane età, per la sua parlantina fluente, per il suo essere un perfetto animale mediatico, e finalmente per la novità di cui rappresenta la punta di un iceberg che si suppone dormiente nel paese, farà di tutto per rottamare i vecchi canoni della politica ormai estranei al sentire della gente.

Partendo da una città con mille problemi, in primo luogo quello della pulizia urbana, e con in ballo decisioni sull’area portuale che determineranno i prossimi decenni di vita di Valparaíso. E con la concreta possibilità, se saprà risvegliare il gusto della partecipazione nei suoi concittadini, di essere chiamato a giocare un ruolo futuro ben al di là dei confini della città che lo ha eletto.

Simpatico e diretto, arriva all’appuntamento al Puro Café con un quarto d’ora di ritardo accompagnato da Javier, collega del movimento, e quando già sto lentamente rassegnandomi a dover rinunciare all’intervista. Entra, informale e rapido, e senza indugio si dirige sorridendo al mio tavolo apostrofandomi con un “Hola compañero” e mi abbraccia. Quel che segue è la sintesi di quanto ci siamo detti nell’accogliente penombra di un caffè del centro di Valparaíso in una mattina di novembre.

Dalle lotte studentesche alla carica di sindaco della seconda città cilena. Jorge, come te lo spieghi?
Penso sia dovuto a un processo di maturazione che si è vissuto in questi anni a Valparaíso e nel paese e che dimostra come siamo stati capaci di passare dalla mobilitazione e dalla protesta a rappresentare alternativa politica. In questo processo hanno agito differenti movimenti sociali con un ruolo chiave, dal movimento studentesco al quale ho appartenuto come dirigente della federazione, al movimento ambientalista, e in ultimo al più esteso movimento No más AFP (Administradora de fondos de pensiones) che si batte contro il modo in cui il governo paga le pensioni.

C’è stata una domanda trasversale per mettere fine alla situazione per cui il sistema pensionistico cileno è in mano al privato, per arrivare a una ripartizione maggiormente solidale. Tutti questi movimenti sociali esprimono un ciclo di mobilitazione di dieci anni nel paese. Io faccio parte di questo processo.

Ma nel successo che ha premiato te e il movimento che ti sostiene, visto che nel resto del Cile la destra ha vinto le amministrative del 23 ottobre, quello di Valparaíso non potrebbe essere un caso isolato?
Hai ragione, la destra ha avuto un successo elettorale ma da almeno dieci anni la sua egemonia è messa in discussione. La capacità di mobilitazione che ha avuto la stampa di destra in questi ultimi anni si è ridotta. Per quanto riguarda la Nueva Mayoría (la coalizione di centro sinistra che ha eletto presidente Michelle Bachelet, ndr) il risultato negativo che ha ottenuto in queste elezioni si spiega con il divorzio e la sua distanza da tutti questi movimenti sociali che hanno proposto un’agenda di cambiamenti. In pratica Nueva Mayoría ha voluto prescindere da tutte queste istanze, e tutte le riforme fatte da Bachelet non hanno voluto coinvolgere i movimenti che le hanno richieste.

All’indomani della tua vittoria, hai affermato che il duopolio tra UDI e Nueva Mayoría è finito. Intendevi dire che è terminato qui in Valparaíso o che tale situazione riguarda l’intero paese? E inoltre, esiste un processo di unificazione a livello di paese che riguardi le forze della sinistra alternativa che possa in qualche modo far intravedere una loro partecipazione alle elezioni presidenziali del prossimo anno?

Effettivamente per quanto riguarda la carica di sindaco in Valparaíso il duopolio è finito. Eravamo abituati da venticinque anni che moros o cristianos, rossi o verdi si alternassero in municipio. Ora invece irrompe una nuova forza politica e sociale che si fa carico della gestione del comune. È interessante analizzare quello che qui è successo nelle alleanze che siamo riusciti a fare, con il risultato che ne è uscito uno schieramento che è ben più ampio e travalica l’area della sinistra. E con adesioni anche da settori socialisti, socialdemocratici e perfino liberali.

Questo è stato il frente amplio che ha permesso il risultato a Valparaíso. È evidente che all’interno di questo schieramento la sinistra mantiene un proprio ruolo, con una visione più critica della trasformazione democratica. In tal modo io credo che questa formula possa essere proposta su scala nazionale anche in previsione del 2017 proponendo un’alleanza che sia davvero ampia. Ma condividendo l’idea matrice di questa alleanza, che è il suo essere differente e distante dai partiti tradizionali.

E credi che questo frente amplio di cui parli possa colloquiare con le parti meno compromesse di Nueva Mayoría?
Io credo che abbiamo bisogno di costruire un nuovo campo politico. Diverso dalla Nueva Mayoría. Penso che oggi come oggi la possibilità di qualche intesa sia assolutamente preclusa. Questo non significa che settori di base di Nueva Mayoría e suoi dirigenti intermedi non possano collaborare. Che è poi quello che è successo a Valparaíso, dove molta gente che votava Nueva Mayoría ha votato per noi. Insomma quello di cui abbiamo bisogno in Cile è un nuova realtà che consegni un nuovo luogo politico dove si possano spingere e realizzare le riforme che ancora non sono state fatte.

Di te la stampa ha parlato come del nuovo Pablo Iglesias cileno. Quanto pesa nella vostra esperienza l’esempio della spagnola Podemos, e come gioca nella vostra pratica politica il pensiero di Antonio Gramsci?
[Scoppia in una risata] Io non mi sento nessun Pablo Iglesias cileno. Credo che quello che dobbiamo fare qui è la via cilena, come la chiamiamo a Valparaíso, la via porteña. Come ha detto José Carlos Mariátegui che già ha postulato una via peruviana al socialismo con caratteristiche proprie, e tenuto conto delle debite differenze, noi dobbiamo costruire questa forma per affrontare il problema politico che abbiamo. Che è quello di costruire una forza politica che proponga un modello di società che non sia neo liberale.

Ci serve guardare alla Spagna? Sì! Ci è utile guardare agli esempi latinoamericani? Sì! Ai cambiamenti in corso nel laburismo inglese? Sì! Ma alla fine della giornata, quello che dobbiamo fare in Cile deve esprimere naturalmente la realtà cilena. L’influenza di Gramsci in Cile è fortissima perché egli ci ha permesso di avvicinarci a una lettura della realtà del paese con molti più strumenti di quello che ci può essere fornito da letture di autori più ortodossi. Io credo che Gramsci abbia una visione inedita, e non a caso ci siamo formati nella lettura dei Quaderni dal carcere, ed è uno strumento molto interessante per sapere come affrontare la nostra realtà.

Parliamo un attimo di Valparaíso. Suppongo che tu sia ben conscio dei problemi che presenta.

Si assolutamente. Partendo da un problema strutturale che è la disuguaglianza. Ci sono donne che non lavorano e non studiano, vecchi abbandonati, giovani che non trovano lavoro, gli stipendi sono bassi, e gli imprenditori sono pieni di code di gente che cerca un impiego. Valparaíso è una città profondamente diseguale che ha una concezione del progresso circoscritta in due o tre mani. Il turista che sbarca dalle crociere o dall’aereo non si rende conto di questo quando visita il Cerro Concepción o il Cerro Alegre. La realtà cittadina è molto diversa da questi due posti. Che hanno comunque i loro problemi.

C’è molta disoccupazione?

Siamo tra i dieci comuni con la più alta percentuale di disoccupazione. È chiaro che la municipalità ha dei poteri molto specifici, ma possiamo lavorare assieme al governo centrale, alla società organizzata e all’università per favorire un modello di città che si faccia carico di questo problema attraverso uno sviluppo che sia rispettoso del patrimonio urbano e dell’ambiente. E che dia impulso alla partecipazione democratica affinché porteños e porteñas siano gli attori protagonisti della forma che deve avere la loro città. È in corso un processo di trasformazione che la via cilena ha imposto e che riguarda le aree portuali. E questo processo si è costruito alle spalle della gente. E sono decisioni di una importanza tale che interesseranno le prossime cinque generazioni di cittadini. Quello che fondamentalmente dobbiamo fare è rendere protagonista la gente.

Valparaíso mi sembra una città sporca.
Valparaíso è una città sporca e con problemi di sicurezza, con poco verde pubblico, mancano medici, gli ambulatori hanno liste di attesa, ai professori non vengono pagati i contributi pensionistici, negli edifici scolastici piove dentro. Ci sono anche funzionari comunali che lavorano in pessime condizioni. Insomma i problemi non mancano.

Tocchiamo un tema più leggero. Ti ho visto eseguire con un discreto successo le canzoni degli Inti Illimani. Continuerai a cantare?
Completamente. Il canto è una parte di me stesso, appartiene a quello che sono. Mi piacciono molto gli Inti Illimani, mi piace molto il tango, Frank Sinatra, i Beatles.

Ti senti un uomo solo al comando o sei in buona compagnia?
Mi sento parte di uno progetto collettivo. Credo che la politica non sia una attività da Don Chisciotte. Non possiamo fare nulla se la gente non sarà protagonista di tutti i processi di cambiamento. Ma lasciami tornare per un attimo alla sfida che abbiamo davanti per quanto riguarda il frente amplio. La sinistra deve avere la capacità di tenere almeno tre cose in considerazione per approfittare di questa finestra di opportunità che esiste in Cile. Generata dal ciclo di mobilitazione che dura da almeno dieci anni che ha messo in discussione l’impianto neo liberale. E dalla delegittimazione della classe politica. In primo luogo deve saper sviluppare un programma di trasformazione democratica.

La sfida che abbiamo davanti è quella di costruire un campo politico che si faccia carico di proporre un modello differente da quello neo liberale. In secondo luogo è molto importante la strategia di alleanze con altri che non la pensano come noi. La sinistra è abituata ad essere d’accordo con se stessa. E in questo può essere utile l’esempio di Valparaíso dove la nostra alleanza va dalla sinistra a settori liberali. Ma con il minimo comune denominatore di essere alternativi al duopolio. Ci sono delle differenze, ma è come fosse una partitura con tonalità differenti.

Terzo?
Terzo ed ultimo punto, non basta semplicemente presentarsi alle elezioni. Dobbiamo essere capaci di costruire una forza sociale organizzata. Dobbiamo essere capaci di passare dal malessere o dalla indignazione alla costituzione di una forza sociale organizzata.

State già parlando a livello nazionale di un progetto politico comune?

Sono in corso delle riunioni, stiamo dialogando con molte forze extra duopolio. Posso dire che in questo momento c’è molto dialogo.

 

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