Perché è sbagliata la modifica dell’art. 117 nella riforma costituzionale? Perché è importante che Stato, Regioni e tutti gli enti locali concorrano alla tutela del paesaggio [di Alessandro Plaisant]
Con la riscrittura dell’art. 117, tutela e valorizzazione del paesaggio diventano di competenza esclusiva dello Stato e si attribuisce alle Regioni potestà legislativa in materia di “promozione di beni ambientali, culturali e paesaggistici”. 1. Il paesaggio inteso come valore e non come materia. Nella recente formulazione del titolo V della Costituzione la tutela del paesaggio si configura come valore primario assoluto e obiettivo costituzionale, e non come materia in senso stretto[1]. Tale materia “trasversale”[2] si prefigura interdisciplinare e interistituzionale per definizione, per cui pensare di poter incasellare il paesaggio all’interno di meccanismi di competenza di qualche esperto o istituzione è ingenuo ma soprattutto sbagliato. In questo senso, non potendosi identificare come materia in senso tecnico, la tutela del paesaggio non sembra configurabile come “sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata” tale da escludere ogni intervento regionale, visto che investe e s’intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze diverse[3], “che ben possono essere regionali”[4]. Anche se conflitti di competenze fra istanze e istituzioni, sovrabbondanza di linguaggi normativi differenti e strategie interpretative possono inficiare una efficace azione di tutela, l’art. 9 della Costituzione chiama in causa tutte le istituzioni pubbliche a definire operativamente ruoli e garanzie sulla base dell’interesse pubblico. 2. La concezione dinamica e progettuale della tutela del paesaggio. L’interpretazione unitaria dei due commi dell’art. 9 – che introduce il “valore” della tutela del patrimonio culturale e del paesaggio fra i principi fondamentali e costitutivi dello Stato, propende verso una concezione dinamica della tutela come strumento per promuovere lo sviluppo culturale e la ricerca, dove patrimonio, ricerca, sviluppo e cultura sono considerati inscindibili. Se lo Stato conserva il potere di dettare standard e assicurare l’uniformità dei criteri di tutela in tutto il territorio nazionale[5], che non escludono peraltro la competenza regionale “alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli ambientali”[6], alla sua attuazione concorrono molteplici istituzioni e interpreti disciplinari. Nei limiti delle rispettive competenze, sia lo Stato, sia le regioni e tutti gli enti locali[7] assumono un ruolo cruciale nella definizione di percorsi di tutela coerenti con le coordinate generative locali, quali soggetti territoriali capaci di declinare in un quadro di coerenza unitario le prospettive di tutela, anche in base ai criteri generali dettati dall’art. 118, primo comma, vale a dire ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. In tal senso, l’implementazione delle politiche di tutela e di valorizzazione dei territori non può essere lasciata alla sola competenza dello Stato, ma – anche in questa nuova fase di sperimentazione dettata dalla riforma degli enti locali (L. 56/2014 “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”), tali politiche possono essere stimolate a partire dalla costruzione di nuovi rapporti e dall’implementazione di quelli esistenti, attraverso il dialogo tra soggetti territoriali fondato sul progetto come strumento per promuovere forme cooperative di azione e obblighi reciproci orientati in tal senso. 4.Verso una visione integrata della tutela del paesaggio. La tutela del paesaggio non si configura come in passato attraverso la sola conoscenza sensibile legata alla vista, secondo canoni estetici che producevano tassonomie di beni classificati in base alla loro singolare bellezza (Legge 1497/39 sulla “Protezione delle bellezze naturali”), quanto piuttosto attraverso categorie topologiche e relazionali, che impongono di stabilire anche giuridicamente nuovi perimetri organizzativi. La necessità di aprire il paesaggio ad una concezione più ampia di paesaggio-ambiente, più volte ribadita dalla Consulta, interviene a partire dalla legge n.431/85 (c.d. legge Galasso), che ha individuato, oltre ai beni di singolare bellezza (tutelati ope legis) una serie di aree di non trasformabilità (c.d. “galassini”) per le quali le dimensioni biologiche e culturali risultano inscindibili per via di processi, anche invisibili, di cui le forme sono l’esito. Il D.lgs. n. 490/1999, “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali” estende il concetto di bene da tutelare a tutte le testimonianze aventi valore di civiltà (art. 4) e introduce, accanto alla tutela del patrimonio culturale e ambientale, la sua valorizzazione e promozione, col riconoscimento di un ruolo importante per le regioni e gli enti locali (artt. 104, 105). La sottoscrizione della Convenzione Europea del Paesaggio (Firenze, Ottobre 2000) precisa il carattere di interrelazione di fattori naturali e/o umani dei paesaggi, così come percepiti dalle popolazioni (art. 1), “espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità” (art. 5). Su queste basi, il D.lgs. n. 42 del 22/1/2004 e s.m.i. “Codice dei beni culturali e del paesaggio” definisce il paesaggio come “il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni” (art. 131) e sottolinea in tal senso l’importanza della valorizzazione delle dinamiche di cooperazione tra le amministrazioni pubbliche (art. 133) al fine di perseguire una nuova visione integrata della tutela culturale e paesaggistica. 5.I beni paesaggistici richiedono forme partecipative di tutela e valorizzazione. Il Codice individua in maniera precisa quali sono i beni paesaggistici oggetto di tutela (art. 134): a) gli immobili e le aree tutelate con vincolo paesaggistico (art. 136 e ss.); b) le aree tutelate per legge (art. 142), come le fasce costiere entro i mt. 300 metri dalla battigia, fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua iscritti negli elenchi e le relative sponde per una fascia di mt. 150 etc.; c) gli ulteriori immobili ed aree individuati e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici (artt. 143 e 156 del Codice). Nel mutato quadro di competenze costituzionali a seguito della riforma del Titolo V parte II del 2001, le Regioni svolgono il compito di sottoporre a specifica normativa d’uso e di valorizzazione il paesaggio e di mettere in atto le scelte più idonee a garantire l’attuazione delle finalità di tutela perseguite dal Codice attraverso il piano paesaggistico. Questo ha consentito alla Regione Sardegna di inserire nel Piano Paesaggistico Regionale (L.R. 8/2004) la fascia costiera come “bene paesaggistico d’insieme”, considerata come risorsa strategica fondamentale per lo sviluppo sostenibile del territorio sardo, che necessita di pianificazione e gestione integrata (art. 19). I dubbi sollevati riguardo possibili conflitti di competenze o, addirittura su competenze esclusive delle regioni che limitino la funzione pubblica statale non sono realistici: si pensi al ruolo che riveste in tal senso il Ministero dei beni e le attività culturali e del turismo o allo stesso D.Lgs 42/2004 (e s.m.i.) che non si limita a stabilire l’allocazione delle funzioni amministrative di tutela dei beni paesaggistici alle regioni, facendo salvi i poteri di indirizzo e di vigilanza e di sostituzione spettanti al Ministero in caso di perdurante inerzia o inadempienza “in modo che sia sempre assicurato un livello di governo unitario ed adeguato alle diverse finalità perseguite” (art. 5), ma individua nella cooperazione tra amministrazioni pubbliche il percorso procedurale per definire indirizzi e criteri riguardanti l’attività di pianificazione e di gestione degli interventi, al fine di assicurare la conservazione, il recupero e la valorizzazione degli aspetti e caratteri del paesaggio nel rispetto delle esigenze della tutela (art. 133). Un concetto ribadito e tradotto operativamente anche nelle attività di copianificazione previste dal Codice e che, nel caso della Regione Sardegna, hanno impedito nel 2013 un tentativo di rielaborazione unilaterale del Piano paesaggistico. In definitiva, ferma restando in ogni caso – la legislazione esclusiva dello Stato in materia di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” (art. 117, c. 2°, l. s, Costituzione) che subordina[8] senza fraintendimenti le competenze regionali ai dettami del Codice dei beni culturali e del paesaggio, la cooperazione interistituzionale attraverso forme partecipative di esercizio delle funzioni rimane il traguardo per superare contrapposizioni e conflitti amministrativi e a garantire l’efficacia della salvaguardia dei valori paesaggistici e culturali. * Dipartimento di Architettura, Design e Urbanistica, Università di Sassari NOTE [1] Sentenze C.Cost. 507 e 54/2000 [2] Ibid. [3] Sentenze C. Cost. 407/2002 e 222/2003 [4] Sentenze C. Cost. 259/2004; 108 e 214/2005 [5] Sentenze C. Cost. 307/2003 e 232/2005 [6] Sentenze C. Cost. 407/2002 e 222/2003 [7] Sentenze C. Cost. 22.7.1987, n. 183; C. Cost. 10.3.1988, n. 302, in FI, 1988, I, 1017 [8] Sentenze C. Cost. 238/2013; 101/2010; 164/2009; 367/2007; 51/2006; 108/2005 |