A proposito di Referendum [di Carlo Arthemalle e Gianfranco Bottazzi]
Alla vigilia del voto referendario del quattro dicembre scopriamo che un gruppo considerevole di amici e compagni, con i quali abbiamo condiviso tante battaglie, è schierato su una posizione diversa dalla nostra. Naturalmente ci siamo chiesti quali siano le motivazioni che spingono persone intelligenti e di buon senso, da sempre schierate col mondo del lavoro e della democrazia, ad opporsi al solo tentativo in campo per intervenire contro gli intoppi che impediscono all’Italia di funzionare, contro i santuari grandi e piccoli dove si annidano i privilegi di elite diventate casta e schiere di burocrati che hanno smarrito il senso del dovere e il senso dello Stato. Difficile spiegarci la decisione di questi amici; forse è vero che in tutti noi la voglia di cambiare coabita con la paura del nuovo, forse è vero che in tanti di noi – che proveniamo da decenni di opposizione – l’abitudine a dire no scatta come un riflesso condizionato. A questi amici, uomini e donne, non ci permettiamo certo di dire come debbono votare, ma ci sentiamo in dovere di raccontar loro i motivi che ci portano a votare si nel referendum del 4 dicembre. Votiamo si innanzitutto perché la riforma proposta non tocca la premessa sui principi fondamentali che fanno della nostra Carta lo strumento di garanzia per la libertà e i diritti di ciascuno di noi. Ci sembra anche logico che per conservare nel tempo l’efficacia di quei primi cinque articoli sia necessario intervenire periodicamente su altre parti del testo, per adeguarlo alla realtà man mano che il mondo cambia. Votiamo si perché vorremmo si ponesse fine a un’Italia in cui la politica è diventata l’arte delle chiacchiere inconcludenti, perché è opportuno che sia una sola Camera a dare e a togliere la fiducia al Governo e perché ci sembra giusto garantire a quest’ultimo una corsia preferenziale per le sue iniziative, senza costringerlo ad abusare con i decreti legge. Inseguendo l’obbiettivo della semplificazione e dell’efficienza, inoltre, auspichiamo che si trovi il modo di impedire quanto è già accaduto quattro volte, con elezioni che ci hanno regalato maggioranze diverse tra Camera e Senato. Votiamo si perché riteniamo giusto tentare di razionalizzare i rapporti tra lo Stato e le autonomie locali con l’abolizione delle competenze condivise; siamo d’accordo con l’introduzione della clausola dell’interesse nazionale e col trasferimento allo Stato delle competenze cruciali per lo sviluppo. Dopo quindici anni di confusione e di dispute la proposta presente nel quesito referendario è diventata una soluzione obbligata. Cari compagni, cari amici, le forze di destra che gestiscono la campagna a favore del no considerano la scadenza del 4 dicembre come una anticipazione della prossima campagna elettorale per le politiche mentre i compagni della minoranza del PD la considerano come un’occasione di rivincita per la sconfitta subita al congresso del loro partito. Sono posizioni profondamente sbagliate perché antepongono l’interesse di parte all’interesse generale. In un mondo che deve affrontare le sfide della globalizzazione, della crisi dell’Europa, della emigrazione di massa e della quarta rivoluzione industriale l’Italia non può sacrificare il suo futuro inseguendo le ambizioni di Brunetta e di Salvini e neppure assecondando i rancori di questo o quel compagno dal prestigioso passato. Un cordiale saluto a tutti quanti.
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