La pelle di bue che segna i confini [di Maria Antonietta Mongiu]

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L’Unione Sarda 6 dicembre 2016. La città in pillole. Lewis Mumford, eclettico urbanista e sociologo americano, nell’opera sua più nota “La città nella storia” traccia i processi urbani dall’antichità. Sorretto da una sconfinata cultura, si interroga se l’uomo sovrapporrà, irreversibilmente, questa straordinaria invenzione al pianeta stesso.

Una sorta di alveare come Fritz Lang ebbe a mostrarci in Metropolis, insuperato capolavoro del 1927, in cui il mondo si è fatto città, in bilico tra arte e tecnologia, apocalisse e utopia, necropoli e civitas. Poli che, dalla fondazione, la città ha cercato di portare a sintesi.

Non a caso conciliare i mondi possibili è la parola chiave della città oggi come ieri. Come potremo definire altrimenti i riti di fondazione? A Roma si reiteravano nel suovetaurilia (sacrificio di maiale, pecora, toro), noto ad Ulisse nell’Odissea ed al sostrato indeuropeo. Ricordava il perimetro tracciato da un aratro, trascinato da un toro e da una vacca, dove sarebbero state erette le mura. Avrebbero racchiuso la città, il luogo sacro entro cui era proibito portare armi o seppellire.

Il bue fondatore s’invera anche a Cartagine, antagonista storica di Roma. Piacque a Virgilio raccontarlo nel I° libro dell’Eneide. Didone/Elissa, profuga di Tiro, per fondare la città ottenne un pezzo di terreno grande quanto una pelle di bue. Con uno stratagemma la fece tagliare in sottili liste per ricomprendere una collina e lo sbocco a mare.

C’è un filo rosso che lega simbolicamente i lingotti di rame a pelle di bue, che attraversarono il Mediterraneo e fanno bella mostra nel Museo, la fondazione della città  “Tyrio fundata potenti”, come cantò Claudiano nel IV secolo, i buoi che portano Efisio a Nora.

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