Se il voto diventa un rito cannibale [di Massimo Giannini]
La Repubblica.it 8 dicembre 2016. Una macabra “cerimonia cannibale” si consuma intorno al corpo stanco del Paese. La politica, terremotata dall’ordalia referendaria, divora se stessa. E precipita l’Italia in una crisi di governo che si fa sempre più indecifrabile. Renzi si dimette, la sinistra fagocita un altro dei suoi leader. Ma Renzi non esce di scena, come aveva promesso. Semmai rilancia: chiama tutti i partiti a un’impossibile “grande abbuffata”, che non vedremo mai. E quindi si rilancia, forse per oggi, sicuramente per il futuro: solo io posso succedere a me stesso. Se la direzione del Pd doveva chiarire cosa c’è dietro l’angolo, l’obiettivo è fallito. L’ex premier ha parlato da premier ancora in carica. Non una parola sulla disfatta referendaria, molte parole sulle cose fatte nei mille giorni e su quelle ancora da fare. La serena, equilibrata consapevolezza di domenica è durata lo spazio di una notte. Il “discorso della sconfitta” è già dimenticato, quasi che la sconfitta non sia mai esistita. Anzi il Pd, pare, sta conoscendo “un boom di iscrizioni“. Se è stata indecorosa la festa della minoranza del partito, che in un impeto bertinottiano ha brindato alla caduta del “suo” governo, lo è altrettanto la festa di Renzi, che “alza i calici” non si sa bene a che cosa. Questa è una crisi totalmente autoprodotta. Nata da un referendum che doveva purificarlo dal peccato originale (guidare un governo non eletto), e invece si è rivelato un perfetto suicidio politico. E complicata da un azzardo morale (imporre al Paese una legge elettorale valida solo per la Camera, nella fallace certezza che gli italiani avrebbero detto sì all’abolizione del Senato elettivo). Cosa propone Renzi per uscire dal vicolo cieco nel quale ha cacciato l’Italia? Due soluzioni, ugualmente impercorribili. La prima è il “governo di responsabilità”, aperto a tutti i partiti che, insieme al Pd, devono assumersi la responsabilità di far uscire il Paese da questa impasse. In teoria, è una buona formula. Presuppone, appunto, la presa in carico dei problemi del Paese, che vengono prima dei destini dei leader, e la ricerca di soluzioni credibili e condivise, nell’interesse dei cittadini- elettori. Ma se diventa, in pratica, l’ennesimo “proiettile d’argento” sparato nel buio di una notte repubblicana in cui la politica tenta solo di salvare se stessa, senza preoccuparsi di salvare l’Italia, allora si trasforma nel suo contrario. Una proposta irresponsabile, perché palesemente impercorribile: il mucchio selvaggio, tutti dentro, dove in quel tutti ci dovrebbero essere anche i 5 Stelle, notoriamente indisponibili a qualunque “contaminazione”. Dunque a cosa servirebbe, se non a essere respinta dal Quirinale? C’è solo un’altra possibilità: che “governo di responsabilità”, in realtà, significhi “Grande Coalizione” con Berlusconi. L’ipotesi è improbabile: per quello che vale, il Cavaliere si è già chiamato fuori. Ma soprattutto è inaccettabile: dopo aver tuonato da un anno contro gli inciuci, Renzi non può riproporre un Nazareno 4.0, senza perdere la faccia e la dignità. La seconda proposta non è meno impercorribile. Perché questa crisi sconta una doppia anomalia: non nasce da una caduta della maggioranza, e non prevede la possibilità di scioglimento immediato delle Camere (come sostiene Mattarella, è realmente “inconcepibile” votare con due sistemi elettorali diversi tra i due rami del Parlamento, pena il passaggio dalla confusione di oggi al caos di domani). Dunque Renzi dice: non abbiamo paura di niente e di nessuno, se qualcuno vuole votare subito dopo la sentenza della Consulta sull’Italicum, fissata il 24 gennaio, noi siamo pronti. Ma la sentenza della Corte non sarà “auto-applicativa“, quindi servirà comunque tempo per recepirne i contenuti in una legge. Votare “sotto la neve“, come si diceva ai tempi della crisi berlusconiana, sarà impossibile. E allora cosa ha in testa Renzi? Lui lo esclude, ma forse è un reincarico, con la stessa maggioranza di oggi. O per portare il Paese al voto anticipato in primavera, ma dalla poltrona di Palazzo Chigi, gestendo gli “importanti appuntamenti internazionali” che fanno brillare gli occhi al premier uscente. O per arrivare addirittura alla fine della legislatura del 2018, se ci sono le condizioni. Uno scenario che non ha molte più chance di essere attuato. Se non al prezzo di altre rotture. Una rottura con il suo partito, perché la minoranza non glielo consentirebbe. Una rottura con se stesso, perché il Renzi rottamatore, ultrarapido e ultramoderno, capace di rompere le vecchie liturgie e gli antichi compromessi, tornerebbe in campo con un “bis” doroteo da Prima Repubblica, degno di un Forlani qualsiasi. Tutto è nelle mani del Capo dello Stato. Nella “cerimonia cannibale” della politica c’è di tutto. Spirito di vendetta e istinto di conservazione. Quello che manca, clamorosamente, è ciò che serve ed è utile al Paese. L’esito del referendum poteva stupire solo chi, troppo impegnato nello storytelling dei giorni felici, in questi tre anni non ha mai voluto guardare la faccia triste dell’Italia. Quel mare di No che ha travolto il governo nasce per una buona metà da un disagio sociale profondo e sempre negato. Ma per un’altra metà nasce dal rifiuto di una brutta riforma costituzionale. Il messaggio che quei 17 milioni di italiani hanno mandato, con il rifiuto di un “Senato non elettivo”, è chiaro: ci siamo, vogliamo decidere noi chi ci deve rappresentare. La risposta a questa domanda di partecipazione non può essere il quarto governo non eletto, che dura fino alla scadenza naturale della legislatura. Bisogna ridare al popolo ciò che il popolo chiede: il diritto di scegliere. Al più presto. Questo non è populismo. È Costituzione. Ma come ha scritto Mario Calabresi, le elezioni non possono diventare un salto nel buio. O peggio ancora una roulette russa. Quindi una legge elettorale serve, e serve un governo “di scopo”, sostenuto dalla maggioranza di oggi, o da chi ci sta. Non c’è da aspettare il nuovo Consultellum, o rieditare il vecchio Italicum. Volendo, c’è a disposizione un sistema eccellente, maggioritario, che ha già funzionato in modo egregio quando l’Italia usciva dalle secche di Tangentopoli, nel 1993. Si chiama Mattarellum, dal nome dell’attuale presidente della Repubblica. Basta una legge di una riga, per farlo rivivere. Basta una settimana di lavori parlamentari, per approvarlo. Poi torniamo pure alle urne. Ma finalmente “sereni”. Senza pistole puntate sulla tempia.
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