In Sardegna la parola d’ordine è: Fare finta di niente [di Andrea Sotgiu]
Sono arrivato in Sardegna il giorno dopo il Referendum per una settimana. Una settimana di letture con una sensazione di liberazione. Sull’onda delle dimissioni del presidente del consiglio ho immaginato che nella politica ci sarebbe stato un cambio radicale. Finalmente Matteo Renzi, giovanotto azzardato quanto abile a mangiarsi il patrimonio di generazioni della sinistra, democratica e riformista, nella caduta avrebbe fatto la differenza. Mi ero convinto, viste le sue accorate dimissioni anche se prive della minima autocritica, che dopo la sconfitta, come succede nel mondo, avrebbe passato la mano perché si rimettesse insieme il suo partito e soprattutto il paese. Diventato primo ministro in una forma bizzarra, aveva occupato il paese ed i media raccontando la storia del ragazzo di campagna che arriva al potere e lo rivolta come un calzino. In molti non si convinsero. Per un dato irriducibile del suo modus operandi. Le classi dirigenti locali sulle cui spalle camminava, pur mettendo in prima fila “ragazze” e “ragazzi”, sono quelle che bloccano l’Italia. Come si possono fare le rivoluzioni se ti tieni le persone che da 30 anni sono al potere e che escludono chiunque sia fuori dal coro? Ed infatti non si fanno. Si sostituiscono gruppi di potere con altri gruppi di potere. La Sardegna è esemplare. I tentativi di Renato Soru fallirono per i tanti capibastone che si coalizzarono. Diede una mano decisiva l’immaturità politica e forsanche personale dell’uomo, oggi, non a caso, fuori dalla scena. Mentre questo grande dissipatore è in declino ed in ombra, i suoi killers, alleati o nemici giurati a seconda della stagione o del suo estro, ballano sulle spoglie della Sardegna come i viaggiatori di prima classe sul ponte del Titanic che affonda. Ragiono su queste miserie, in una Gallura deserta e bellissima, afflitta dalla monocultura turistica stagionale che poco lascia ai residenti e molto ai padroni del turismo a molte stelle, lodati dalla giunta regionale. Assisto registrando, attraverso le cronache locali, le consuetudini in cui le mie nonne erano maestre. Una di Luras parlava in logudorese l’altra di Sant’Antonio in gallurese. Ma il senso del loro dire era lo stesso. Quando accadevano cose gravi, si rifugiavano in modi di dire che significavano che si sopravvive facendo finta di niente. Ignoravano la realtà. Credo che non fosse una loro esclusiva caratteristica. Con l’invidia è comportamento assai diffuso in Sardegna. Si pensi all’assenza di reazioni risolutive agli attentati agli amministratori, al narcotraffico da cannabis, alle tangentopoli negli enti locali ed ai silenzi conseguenti. Quanto ho riassunto è piuttosto diffuso nell’isola. Come definire altrimenti l’assenza di analisi sul voto referendario a livello mediatico o tra la classe dirigente. Il presidente della Regione dopo il Referendum ha taciuto, afflitto dalla sindrome delle mie nonne. Ha fatto finta di niente. Come d’altra parte hanno fatto politici, giornalisti, intellettuali e tutto il “circo” assistito dalla Regione. Illuminante uno sguardo alle pagine degli spettacoli e “culturali” dei giornali della Sardegna, isola col maggior numero di rassegne, di festival, di carnevali estivi e balle varie come mi dice anche un mio amico olbiese. La Sardegna paga un’incredibile quantità di personaggi, alcuni irrilevanti, che arrivano da fuori e spesso parlano in teatri vuoti mentre intanto nessuna scuola sarda è tra le prime cinquanta in Italia ed i suoi studenti sono tra i peggiori della nazione. Il Corriere della Sera ha mille volte scritto dell’inutilità di questo circo d’arte varia che ha invaso l’Italia. In una Sardegna stordita, immiserita, e distante dal potere la reazione tuttavia non poteva che essere quella a cui si è assistito col Referendum. Chi ha persuaso il presidente della Regione che siffatto circo ed i relativi circenses garantiscono il consenso? I suoi portavoce, ufficio stampa, storytelling e narrazioni varie che occupano la stampa sarda da quasi tre anni hanno realizzato che se smettono i finanziamenti regionali alla comunicazione vengono silenziati da giornali off line ed on line? Perché, tranne qualche blog indipendente, nessuno chiede conto di una situazione da terzo mondo nel reddito e nel lavoro ma da Milano da bere nell’industria culturale totalmente assistita e che culturalmente non produce alcun effetto? Gli anni del governo Pigliaru, omologati e subalterni a quelli renziani, non potevano che produrre una reazione popolare di contrasto che si è materializzata appunto col Referendum. In Sardegna oltre il 72% ha votato NO. Analizzando i numeri n relazione ai luoghi si rimane ancora più impressionati perché le proporzioni producono la delegittimazione totale di chi governa in Regione. Infatti su 859.158 votanti 616.791 hanno fatto pollice verso contro chi è al governo nazionale e regionale, totalmente sovraponibili. Se la matematica non è un’opinione la sottrazione dà come esito del SI solo 242.367 voti, un quarto dei votanti e quasi un terzo rispetto ai vincitori. Nelle città sarde il NO è stato una valanga con l’epicentro ad Oristano, Nuoro, Olbia, Iglesias, Tortolì, Sanluri, Villacidro, Carbonia, Cagliari. Se alla geografia dei numeri si sovrappone quella politica il primato del NO corrisponde ai luoghi di provenienza dei leaders sardi del PD che in coerenza col silenzio del governatore hanno taciuto in massa come se la sconfitta non li riguardasse. Hanno fatto e fanno finta di niente. Nella realtà l’opinione pubblica sarda li ha bocciati. Gli ha detto che non riescono a capire il suo disagio neanche da quelle iniziative con poca gente che organizzavano a beneficio dei big nazionali a cui raccontavano la favola dello spopolamento per giustificare le sale deserte. Una classe dirigente fatta di capibastone ormai alla deriva. Quegli stessi che per mesi hanno steso i tappetti rossi al governo ed al sottogoverno in visita elettorale sotto le mentite spoglie di progetti e patti improbabili. Sono gli stessi che hanno chiamato a raccolta qualche opinion leader per raccontare che l’autonomia era salva e che questo governo non stava svendendo la Sardegna al Qatar, ai padroni dell’energia e del petrolio, alle multinazionali della chimica tra cui l’Eni ed E.On. Quelli, in altre parole, che dopo aver inquinato la Sardegna vogliono raschiare il fondo del barile con le menate della chimica verde e dei progetti di imbellettamento culturale di pezzi di territorio che hanno rovinato. Dopo la bocciatura politica di Renzi e di Pigliaru ci si deve interrogare perché quel piccolo pezzo di maggioranza che si era espresso timidamente per il NO non ha chiesto le dimissioni del Presidente e perchè, a sua volta, non si è dimesso per favorire un passaggio ormai necessario in Sardegna? Andare al voto prima della scadenza naturale. Appare evidente che il presidente in carica ha dato il massimo possibile. Aveva, da uomo di ricerca, la possibilità di prendere in giunta uomini e donne tra i migliori dell’isola senza alcun condizionamento. Non lo ha fatto ma ha cercato come Soru, il presidente che lo fece dimettere, di diventare, in un’età in cui è impossibile ogni cambiamento, un politico. Una frana in entrambi i casi. A conti fatti qualsiasi settore si analizzi, questa giunta regionale è stata inconcludente ed i Sardi lo hanno ben precisato col Referendum. Dati alla mano, la Sardegna sta peggio di dieci anni fa. Il suo malessere non è legato alla crisi internazionale ma alle cattive politiche delle due ultime legislature. La crisi del Mediterraneo avrebbe dovuto avvantaggiare l’isola. Ma due economisti con altri sei docenti universitari in giunta non lo hanno compreso. Pertanto nessuno tra quelli che hanno governato in questi anni si senta assolto. La bocciatura è per fortuna democratica. Quel poco di politica che resiste in quest’isola bellissima e disperata ne tragga le conseguenze |