Che la sconfitta del SI in Sardegna significhi NO a lottizzazioni e speculatori nostrani, multinazionali, fondi sovrani, eccetera eccetera? [di Sandro Roggio]

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Matteo Renzi è arrivato  in Sardegna negli ultimi giorni della campagna referendaria e ha riempito le sale con il fardello ingombrante dei suoi due ruoli. Non era immaginabile che restassero distinti nelle manifestazioni alle quali ha partecipato: da presidente del Consiglio e leader di partito.  Velleitario – in casi come questo –  invocare un contegno politicamente corretto, un cambio di giacca secondo l’occasione, comizio/incontro istituzionale.

E ha ragione chi ha fatto notare l’impossibilità di impedire a Renzi la partecipazione al confronto in quanto capo del governo. “Dovrebbe  contenersi”, diceva qualcuno tra i più saggi del Sì. Ma la politica è ormai indisciplinata, fuori controllo. E Renzi è caratterialmente incontinente, come sanno tutti con alto sgradimento (ma questo lo abbiamo scoperto dopo).

Inutile ormai recriminare sul duplice messaggio ai sardi, sull’ amalgama uscito dai discorsi nel  frullatore, pure questo avrà portato consensi al No.  C’è da rammaricarsi, caso mai,  per l’occasione persa: di volgere a favore dell’isola la ragione  del  viaggio presidenziale  tra Cagliari e Sassari. Di fare leva sul  momento  di preoccupazione del governo, il bisogno di consensi pure in Sardegna. Al tempo della politica scorretta non era fuoriluogo una rivendicazione, pure clamorosa,  della Regione Autonoma (!),  tanto più a fronte del dramma dell’isola raccontato ogni giorno dagli organi d’informazione, un terremoto senza macerie, epicentro nelle aree interne poveracce, sciami dappertutto fino in Costa Smeralda.

Invece i rappresentati delle istituzioni locali, due giorni col presidente, hanno rinunciato a mettere in evidenza il disagio  – pubblicamente –  di chiedere al governo di aprire la vertenza con l’Europa. Per colmare lo svantaggio  dell’isola geografico/demografico, un progetto oltre gli slogan, che non se ne può più (i sardi italiani  dal 1861,  ricordava  un contrariato assessore della giunta Pigliaru in un blog).

Richiesta ineccepibile. Ci spetta il sostegno di risorse straordinarie nel quadro finanziario pluriennale dell’ UE, basta leggersi i principi alla base dell’ Europa unita,  comunità solidale a sostegno delle aree deboli perché marginali. Le più sfavorite le terre in mezzo al mare e pure spopolate. Come la Sardegna. “A lu zoppu la ipina”, diceva mia nonna.

Una condizione non proprio frequente nel mappamondo. Una pretesa coerente (consenso sicuro dei Sì e i No alla riforma Cost). Altro che la baruffa per l’allentamento dei vincoli di bilancio con obiettivi vaghi. Poteva levarsi la voce di qualche economista rompiscatole,  di quelli che tagliano il capello in quattro, per farlo notare.

Perché non ricordarlo? Perché la rinuncia a chiedere una graduatoria oggettiva, a cura UE,  delle terre più sfavorite? Il presidente Renzi è già stato a Sassari a fine luglio per dare la notizia dei 3 miliardi destinati all’isola.   L’annuncio nel palazzo dell’Università, il Senato Accademico schierato per festeggiare il “Patto per la Sardegna”. Titolo solenne come quelli  del ciclo dei dipinti celebrativi di Mario Delitala nell’Aula Magna. Lo scenario adatto per sottolineare i grandi momenti per i sardi.

Nulla di speciale, invece, solo uno  dei numerosi Patti con tante altre regioni e città. Euro in proporzione agli abitanti, ma con trasgressioni vistose  (perché alla Calabria 7 miliardi e più: il doppio della Sardegna  un po’ meno popolata ?).  Nessuna domanda scomoda  sulle solite promesse  per la Sicilia, tipo il ponte sullo Stretto, sob! Viva i contratti con i cittadini – nel  repertorio della politica di casa, (copyright  indiscusso a Berlusconi, 8 maggio 2001) – palesemente precompilati. Unilaterali e indiscutibili. Ai sottoscrittori è consentito al massimo di auspicare rispettosamente “tempi certi nell’erogazione delle risorse”. Amen.

Nessun trattamento di riguardo per la Sardegna, neppure a questo giro. Neppure la promessa, il riconoscimento vago che pure ai sardi necessiti un collegamento vero con il Continente, a costi decisamente inferiori di quelli assicurati ai siciliani.  Con quelle poche risorse ( ci saranno?)  non c’è speranza di tirare fuori l’isola dall’abisso nel quale è precipitata. Per riportarla in superficie servirebbe un impegno eccezionale commisurato allo stato di povertà.

Chi governa la Regione  dovrebbe pretendere pari opportunità per i sardi, chiunque governi a Roma. Non c’entra il richiamo al senso di responsabilità nazionale o peggio di appartenenza al sistema di potere o a un partito. Si sa,  c’è chi vorrebbe liberarsi della zavorra-Sardegna.

Non è nuova  la sensazione che ci sia chi spinge per lottizzarla tra speculatori nostrani, multinazionali, fondi sovrani, eccetera. Per qualche spicciolo di Pil – forse. Ma non è questo che serve ai sardi e sarà bene ripeterlo per i più disattenti. D’altra parte il voto, col rimbombo  in Sardegna, lo ha detto in modo netto. Si tratta di aspettare per vedere l’effetto.

* L’articolo è stato pubblicato su La Nuova Sardegna  prima del 4 dicembre. Con qualche ritocco è particolarmente attuale.

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