Si racconta che il barbiere di Stalin fosse un rispettabile artigiano. Molto professionale, onesto e preciso. Faceva bene il suo lavoro e poco gli interessava la moralità dei suoi clienti. Figuriamoci di un cliente come Stalin! Convinto com’era che il rasoio sia uno strumento assolutamente neutro, a cui non può essere imputata nessuna interferenza con le diverse valutazioni e visioni del mondo. Perché, quindi, si sarebbe dovuto sentire corresponsabile dei delitti del dittatore georgiano? E come sarebbe stato possibile spiegargli che, semplicemente aggiustando i baffoni di “zio Josif”, si poneva nella posizione di un consulente d’immagine e pertanto di colluso col regime?
Così in Italia e in Sardegna, come quel barbiere, molti onestuomini e oneste donne, vicini/e per ragioni di disinteressata militanza o di mero opportunismo ai vari leader politici, non si sentono responsabili dei misfatti del sistema con cui convivono. Si sentono innocenti e sereni, pur nella manifesta connivenza con la scorrettezza e l’ingiustizia. Tanto, pensano, non siamo noi gli attori responsabili. Da qui la posizione garantista, spesso assolutista, per scorrettezze e reati compiuti dai propri referenti politici. Giudicati di minore importanza in confronto a “ben altre” nefandezze che riguardano gli avversari, gli altri. Talvolta appaiono irritati, commentano negativamente e borbottano, ma non reagiscono pubblicamente. Neppure quando un dirigente del loro partito definisce “esigue” le somme di denaro pubblico, pari ad alcune decine di migliaia di euro, oggetto d’indagine da parte della magistratura. Garantismo e tutela del partito, più che osservanza delle leggi e delle regole morali. Che però non da valore alla politica, anzi la impoverisce di dignità.
Quale valore aggiunto di questa politica può intravedere il cittadino che vorrebbe andare oltre la croce sulla scheda e che, osservando i comportamenti dei politici, pensa di saper fare meglio di loro? Non sarebbe forse il caso di ripensare il processo di selezione del personale politico anziché continuare con gli sterili dibattiti sul disamore del cittadino elettore che considera il potere negativo in se’ e che non ritiene l’onestà una categoria degli amministratori pubblici?
Se esiste la sociologia della politica si dovrebbe inventare anche la psicologia dei politici, specialmente di quelli di carriera. Che sono i più. Almeno per cercare di capire come e perché questi pensino in modo diverso da chi si guadagna da vivere montando infissi o facendo l’insegnante precario. Per essere arrivati in Parlamento o in Consiglio Regionale qualche pregio devono pur averlo avuto, i nominati e/o gli eletti. Anche se per alcuni di essi si è trattato, in tutta evidenza, di essersi trovati al posto giusto nel momento giusto. Continua a non essere però comprensibile perché per fare il manager, il magistrato, il medico o l’avvocato si debba dimostrare competenza, mentre per fare il politico non ne è richiesta alcuna. Urge, dunque, la psicologia dei politici!
In alternativa si potrebbe guardare con interesse alla teoria delle cuoche di Lenin.
Al padre della rivoluzione russa si attribuisce l’affermazione secondo la quale anche una cuoca potrebbe assurgere alle più alte cariche pubbliche. Nel senso che chiunque viva in uno stato di uguali può essere posto nelle condizioni di accedere ad un percorso di conoscenza, con conseguente preparazione ed esperienza, che lo renda potenzialmente capace di svolgere le più importanti funzioni pubbliche. Il problema, in Italia e soprattutto in Sardegna, è che oggi pochi sembrano saper fare politica e altrettanto pochi sembrano in grado di giudicarla. Questo permette a quei pochi di continuare a fare, male, ciò che non sono capaci di fare. Non avendo, peraltro, frequentato i corsi di alta formazione previsti da Lenin per le cuoche.
Per adesso è stato Berlusconi a dare l’esempio “di sinistra”, portando in Parlamento cuochi e cuoche, camerieri e guardarobiere. Non sono mancati osti, pizzaioli e baristi. Tutti senza aver mai frequentato, però, alcun corso di formazione politica. Fatta eccezione per quello breve di apparizione in TV, dove è sufficiente scuotere la testa in segno di dissenso quando qualcuno parla male del cavaliere ora decaduto.
Lasciando da parte il sarcasmo, dai partiti e dalle coalizioni elettorali che si richiamano ai valori della sinistra ci si attende che i programmi formulati siano realistici, che i contenuti si sostituiscano al diluvio di esternazioni giornaliere e alle mutevoli ipotesi di alleanze. Che la lezione, soprattutto quella morale, sia stata imparata a dovere. Che maturi un’idea di Italia e di Sardegna con una direzione chiara verso il futuro, che dia speranza a chi si sente dimenticato e ridia senso ad un “noi” oggi molto frammentato e compromesso dagli egoismi di chi, eletto o nominato, ha tradito la fiducia dei cittadini.
Soprattutto privilegiando individualismi ed opportunismi di cui dovrà rispondere in primo luogo alla propria coscienza, prima ancora che ai magistrati e agli organi di controllo del proprio partito.
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