Busachi. Giovedì 29 dicembre 17:30, Centro servizi sociali: “Marcinelle, 1956 – Quando la vita valeva meno del carbone” di Toni Ricciardi [di Umberto Cocco]

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Una deportazione, non semplicemente uno scambio – sia pure ineguale – fra l’Italia ribollente di disoccupati nel disastro del dopoguerra e il Belgio che aveva la materia prima per rimettere in movimento l’Europa ma non la manodopera sufficiente per estrarla.

L’emigrazione italiana in quel paese nell’immediato secondo dopoguerra, è a settant’anni di distanza dagli accordi fra i governi De Gasperi e van Acker, sottoposto a un giudizio molto severo, in un libro uscito qualche mese fa (“Marcinelle, 1956 – Quando la vita valeva meno del carbone”, editore Donzelli), di Toni Ricciardi, storico delle migrazioni presso l’Università di Ginevra.

L’autore è domani giovedì 29 dicembre a Busachi (Centro servizi sociali, ore 17.30), dove sarà intervistato da Maria Antonietta Mongiu, Vincenzo Medde, Simone Cireddu, Gianni Orrù, Ovidio Loi, Antonio Solinas, in un’ iniziativa organizzata da Paesaggio Gramsci e SardegnaSoprattutto a conclusione di una stagione durante la quale la Sardegna centrale e in particolare il Barigadu hanno ricordato la parte giocata dai sardi in quella dolorosa epopea.

La tragedia di Marcinelle (262 minatori morti, tra cui 136 italiani) è la conclusione del libro (affidata ad Annacarla Valeriano),  lo spartiacque fra una fase quasi nascosta dell’emigrazione – nonostante il ritmo a tratti tumultuoso dei flussi da ogni angolo dell’Italia, il reclutamento di massa con le parrocchie mobilitate, i manifesti che promettevano lavoro e benessere –  e il venire alla luce di una realtà terribile insieme delle regioni minerarie del Belgio, la Vallonia, il Limburgo, e dell’Italia abbandonata in massa dai giovani, soprattutto nelle aree appenniniche e meridionali, nelle due grandi isole, e lasciata agli anziani, ai bambini in attesa di emigrare a loro volta.

Comincia in quei giorni di agosto, nelle cronache dei giornali italiani che seguono i tentativi di recuperare i minatori vivi e poi i cadaveri dal pozzo di Bois du Cazier, una presa di coscienza collettiva dell’altissimo prezzo pagato da lavoratori di tutta l’Italia lungo l’intero decennio precedente per una scelta del governo che cominciò ad apparire allora non così indiscutibile e inevitabile.

Non solo i morti, i feriti, i malati di silicosi, ma le condizioni di vita di chi è rimasto dei duemila italiani che partivano ogni settimana alla volta dei bacini minerari nei convogli che si formavano alla stazione di Milano: i racconti delle esperienze di lavoro e di vita dei minatori e delle loro famiglie ruppero il velo che aveva celato i costi del miracolo italiano.

I comunisti, l’associazionismo cattolico,  la politica avevano provato a guardare dentro all’emigrazione italiana in Belgio ancora prima di Marcinelle. Anche un giovane sottosegretario agli Esteri, Aldo Moro, testimoniò del lavoro “abbrutente, inumano” degli italiani all’estero che aveva scoperto durante un viaggio di 15 giorni in Olanda, Lussemburgo e Belgio, nel 1949.

Ma il libro di Toni Ricciardi è esplicito come mai prima nessun’altra rievocazione (a parte la storica belga Anne Morelli, ospite a Zuri qualche mese fa), e assai severo nel rilevare il silenzio che accompagnò la relazione del governo De Gasperi (di unità nazionale, con i comunisti) sugli accordi del 1946 e 1947, il voto pressoché unanime del Parlamento. Tutti i partiti furono favorevoli, nessuno escluso, a scambiare, appunto, minatori con carbone, scrive Ricciardi.

Poi nemmeno il patto dello scambio venne rispettato dai belgi, il carbone non arrivò mai effettivamente in Italia in rapporto al numero dei minatori impiegati nei pozzi. E la violazione degli accordi si ripetè con troppe complicità in materia di rispetto del salario concordato che non doveva essere dissimile da quello dei minatori belgi, riguardo alle case che erano state promesse anche agli italiani che invece trovarono le baracche usate dai belgi per detenervi i prigionieri di guerra, e poi sulla sicurezza del lavoro, l’assistenza sanitaria, le coperture previdenziali e pensionistiche.

Tutte conseguenze di una scelta che certo era condizionata dallo stato dell’Italia all’uscita dalla guerra, dall’aumento della popolazione, dal sovraccarico di braccianti nelle campagne del Mezzogiorno, della Pianura Padana, ma che non era così obbligata come è a lungo sembrata, e affondava le radici in altre scelte dell’Italia liberale e prefascista, nelle avventure coloniali di fine Ottocento, nell’idea che aprire le frontiere e far uscire schiere di uomini e poi famiglie intere  aiutasse ad affrontare e risolvere problemi politici e sociali all’interno, la pressione delle masse, la rivendicazione di diritti, non solo del lavoro.

Toni Ricciardi sembra suggerire l’opportunità di una riconsiderazione di tutta quella esperienza da parte dell’Italia, ora a 60 anni di distanza da Marcinelle, a 70 dagli accordi De Gasperi-van Acker.  Aiuta che a quarantacinque anni di distanza dalla tragedia di Marcinelle, nel 2001,  il governo abbia proclamato l’8 agosto Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel Mondo. Giusto in tempo per evitare l’oblio a cui sembrano destinate le pagine di storia che non vengono trasformate in memoria propriamente culturale.

Sono ancora vivi molti italiani e sardi che hanno fatto i minatori in Belgio. Anche sardi che parteciparono alle operazioni di soccorso a Bois du Cazier. Durante l’estate sono stati intervistati alcune decine di loro, altre decine di familiari, donne, figli,  nei paesi del Barigadu e del Mandrolisai, e le testimonianze sono raccolte in 250 minuti di un DVD che domani verrà consegnato da Paesaggio Gramsci alle amministrazioni che insieme alla Fondazione di Sardegna hanno sostenuto il progetto.

 

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