In molti in Sardegna si battono per sottrarre le “terre dell’agricoltura” da usi difformi [di Sergio Vacca]

termodinamico

Giorgio Nebbia, ormai novantenne, che ho avuto l’onore ed il piacere di conoscere, presentatomi da Virginio Bettini, alla fine degli anni ’70 del secolo scorso e con il quale ho lavorato ad alcune analisi di impatto ambientale, con la consueta lucidità che lo ha sempre caratterizzato, analizza il problema in un articolo, rilanciato da questa rivista, degli effetti della globalizzazione sull’ambiente.

Leggendo questa nota mi sovviene quanto mi ha raccontato in questi giorni una collega di Architettura di Alghero, che recentemente, per oltre un mese, è stata Visiting Professor in Cina, all’Università di Tientsin. Città di oltre cinque milioni di abitanti, con un’atmosfera i cui valori dei solidi sospesi, i cosiddetti P.M. (Particulate Matter) con valori dimensionali da 0,25 fino ad oltre 500 micron, è costantemente superiore a 1000 – 1200 parti per milione.

La collega, come peraltro tutti gli abitanti della megalopoli, girava costantemente con una mascherina con filtro a carboni attivi. Motivo di tale situazione la presenza delle più importanti fabbriche d’acciaio della Cina. La Cina, negli ultimi anni, è diventata il più grande produttore mondiale d’acciaio. Questo primato, tuttavia, a scapito dell’ambiente e della salute dei propri abitanti.

Osserva Giorgio Nebbia, che di fronte ad una acciaieria inquinante, molti chiedono di chiuderla, mentre altri, esaltandone il ruolo della produzione di beni, chiedono di mantenerla in vita. Altri ancora, maggiormente sensibili all’aspetto ambientale, ma con un occhio di riguardo alla produzione, ritengono che i processi produttivi possano essere modificati per diminuire l’impatto sull’ambiente e, nel contempo salvare l’occupazione.

Al richiamo di responsabilità richiesto, “il potere economico – è sempre Nebbia che osserva – si sforza di minimizzare la portata umana dei danni ambientali esaltando i vantaggi per l’economia”. Le organizzazioni dei lavoratori, messe di fronte al problema della diminuzione dei posti di lavoro in alternativa all’applicazione di regole più restrittive di salvaguardia ambientale, ”spesso sono disposte ad accettare i danni ambientali che compromettono la salute loro, dentro la fabbrica, e quella delle loro famiglie, fuori dal cancello della fabbrica”.

Senza scomodare Marx – richiamato da Nebbia per l’affermazione che “ il socialismo è l’unico sistema capace di riconoscere quali bisogni sono essenziali per liberare “l’uomo” dalla miseria e dall’ignoranza” – la difesa dell’ambiente non rifiuta la tecnica, bensì – è sempre Nebbia che ragiona – passa attraverso il “rifiuto della tecnica asservita al capitale per il quale le merci non servono a soddisfare bisogni umani ma solo a generare denaro per alcuni (pochi) e nocività per altri (tanti)”.

Quale considerazione può trarsi dalle riflessioni di Giorgio Nebbia. Soprattutto per il nostro Territorio. Il “rifiuto della tecnica asservita al capitale” è paradigmatica dell’opposizione di contadini, studiosi, istituzioni come le Università o il Consiglio Regionale della Sardegna e associazioni che fanno ai tentativi di sottrazione delle Terre all’agricoltura, perpetuati da società che vorrebbero introdurre in Sardegna impianti di solare termodinamico.

Attività proposte non per soddisfare i bisogni energetici della Comunità isolana, bensì con l’esclusivo scopo di creare ricchezza per investitori stranieri (cinesi e indiani e i loro sodali italiani) e per – come ammesso dagli avvocati delle società proponenti – arricchire il curriculum delle stesse in vista degli appalti (miliardari) internazionali sulle energie rinnovabili che riguarderanno l’infrastrutturazione energetica dei paesi del vicino oriente e del nord dell’Africa.

One Comment

  1. Giovanni Scano

    Secondo me, i grandi impianti per la produzione di energia andrebbero situato nelle aree industriali dismesse (Porto Torres, Portovesme, Macchiareddu, … ). Per il consumo individuale delle famiglie bisogna puntare sull’auto produzione. Non c’è assolutamente bisogno di utilizzare in modo improprio aree agricole. Bisogna inoltre incrementare il risparmio energetico ed evitare di incoraggiare il consumismo. Ci vuole un uso razionale delle risorse che metta al centro i bisogni delle collettività.

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