A proposito di un’amministrazione comunale fallita. Si tratta di Sedilo? No, di tutta la Sardegna [di Umberto Cocco]
Ho scritto una lettera aperta ai redattori delle cronache locali dei due quotidiani sardi, per come stanno raccontando la crisi politica e amministrativa che ha portato alle dimissioni del sindaco di Sedilo, un anno e mezzo dopo le elezioni. Stanno rappresentando il paese come in un delirio collettivo….. per l’Ardia di San Costantino. Una ridicolizzazione, una caricatura. Con effetto spaesamento, vertigini. Come se quella corsa a cavallo fosse l’alfa e l’omega di questa strana comunità, a leggere loro, paginate intere corredate di foto di cavalli al galoppo accanto a quella del sindaco in fascia, preoccupato, il vicesindaco con l’aria svenevole del belloccio leggero e inconsapevole. I cavalli a gennaio! Siamo all’Ardia d’inverno, a proposito di una amministrazione comunale fallita?! Come se non ci fosse altro, problemi e opportunità, impresa seria e ragazzi che vanno a scuola, anziani da assistere e giovani senza lavoro, allevatori alla vigilia di una stagione di nuovo difficile. Ci sono le scuole al limite, fredde al piano terra, termosifoni fuori uso, nessun progetto per le vacanze appena trascorse, nessun progetto al rientro. Hanno perduto l’opportunità di estinguere almeno in parte i mutui del Comune con i soldi dell’avanzo di amministrazione (inutilizzabili per qualsiasi altro scopo) e l’abbattimento del 50 per cento degli interessi, rinunciando a un mutuo a tasso zero per rifare area sportiva, impianti, area scolastica. Tutti gli altri Comuni hanno fatto l’una cosa e l’altra. Altroché Ardia, stravagante argomento di gennaio, appunto. Dev’essere che si attiva un pilota automatico, nelle redazioni, che associa il nome Sedilo ad Ardia, in ogni stagione, così che una crisi politica e amministrativa con ben altre origini e cause, è buttata in vacca, come si dice. Come se non ci fosse una persona reale a decidere rilevanza e gerarchia e attualità della notizia, a chiedere conto al corrispondente: ma sei sicuro che il paese è appassionatamente concentrato su questo?! Sono interessato a questa vicenda di Sedilo anche sul piano personale, certo. Il dimissionario sindaco mi sostituì battendo me e la mia lista di centrosinistra alla testa di una compagine (?) di centrodestra. Avevano messo insieme i moderati ex Dc, classici conservatori di paese, con un gruppo di avventurieri politici provenienti dallo stesso partito – anche se ne hanno girato altri due o tre nel frattempo, prima di approdare al Psd’Az e forse ora a Pili – e con una spruzzatina della Base, quella di Ollolai con ramificazioni anche in questa vallata del Tirso. Famiglie, voti, qualche ambizione personale, come se bastasse per amministrare fosse pure un piccolo paese. Dico avventurieri perché due tre obiettivi li hanno per un po’ tenuti insieme, due o tre slogan, tipici dell’incultura politica delle destre peggiori: e cioè “tutto si può fare”. Tutto si può fare fuori dalle regole, del piano particolareggiato e di quello urbanistico, per esempio abbattendo di notte la casa in pietra con un secolo di vita e sperare di costruirla nuova e grande a tre piani, conservando il diritto ad avere i 20mila euro del contributo della Regione per il restauro conservativo di un edificio storico. E’ una cosa accaduta questi giorni, non una ipotesi di fantasia. Si può fare anche la corsa a cavallo a per San Costantino senza rispettare la legge che le disciplina, e persino il giorno dell’Ardia a piedi, e poi la pratica per il primo insediamento in agricoltura mettendo a carico del “cliente” i terreni del vicino (inconsapevole). E poi basta tutta questa cultura, convegni, discussioni, libri, biblioteche, dibattiti… Sorrisero quando videro comparire su un muro una scritta razzista quando era a Sedilo in visita l’allora ministro Kyenge. Cose troppo sofisticate, e più spuntini, festicciole, carnevali estivi. E musei aperti (i tre quattro – sic! – costruiti nel tempo nel paese) con posti di lavoro e uno stipendietto per tutti gli appassionati di archeologia che scavarono negli anni felici di Peppina Tanda, incanutiti gli uni e l’altra, perché il tempo passa per tutti. Naturalmente non ha retto, questo semplicismo facilone: e il sindaco – un tranquillo impiegato della Provincia – ha presto dovuto rendersi conto che tutte quelle promesse non era possibile mantenerle. Che non si può fare nulla contro la legge, se fai il rappresentante dello Stato in una istituzione sia pure periferica. Così lo hanno fatto diventare un capro espiatorio, scaricando su di lui tutte le tensioni che non hanno saputo reggere con i loro stessi elettori. Gli hanno tolto la fiducia dopo pochi mesi, in 6 su 9 consiglieri di maggioranza, un colonello dell’aeronautica fra loro, improbabile contestatore dell’ordine costituito. Lo hanno indicato al pubblico ludibrio, come un incapace burocrate pieno di cautele. Hanno usato anche l’argomento Ardia, certo. Cominciarono sette anni fa, quando vennero introdotte nelle manifestazioni a cavallo le norme del cosiddetto decreto Martini (una leghista del governo Berlusconi: e tutti questi miei compaesani ribelli sono stati e in parte sono ancora berlusconiani) sostenendo la tesi che quella è una processione e che non ha bisogno né che vengano chieste né che vengano concesse autorizzazioni (quando si sa che i parroci devono comunicare al sindaco ogni inizio d’anno le processioni in programma). Che i cavalli non devono essere sottoposti a controllo veterinario, e chi li conduce nemmeno, a campione, all’alcool test. Che si può correre liberamente anche nei giorni dell’Ardia a piedi, due domeniche dopo la festa a cavallo, beffardamente, in mezzo ai ragazzini e alle donne che fanno quel rito. E le responsabilità di una eventuale conseguenza sulle persone, sui cavalli? Chissenefrega. E infatti sono stati chiamati a processo e anche condannati qualche presidente del comitato della festa, qualche amministratore comunale, io stesso venni chiamato in causa per un incidente, da sindaco. Certo che hanno arroventato un ambiente, la prima volta in cui si applicava il decreto, nel 2010, erano stati appena sconfitti alle elezioni comunali e cavalcarono questo tema. Poi sembrava tutto sopito, sino all’estate scorsa quando qualche bullo resistente e irriducibile li ha votati e visti vincere, e alla prima occasione ha chiesto loro di fare come avevano promesso, l’Ardia fuorilegge, San Costantino zona franca. Sono tutti personaggi minori, bulli sì (a volte sessantenni), una volta chiamati balèntes (per la verità, in sardo c’era un altro qualificativo: balentiòsu. Voleva dire – con forte presa di distanza ironica – spavaldo, che si dà arie, un compiaciuto gagà di villaggio), sono qualche qualche volta pastori, spesso no. Non sono di norma fra i migliori ad andare a cavallo. Non appartengono alle famiglie che hanno fatto l’Ardia nella storia un po’ lunga. Hanno mogli, figli, parenti stretti che fanno i carabinieri, i poliziotti, i vigili urbani tutto divisa e fischietto, in qualche caso lavorano in tribunale, a scrivere rapporti sui malandrini. Ma in quei giorni fanno gli eroi, improbabili, e con una sponda nel municipio. E gli eversivi padrini sono a loro volta in uffici pubblici, o il colonnello che si diceva, o di rinnovo in rinnovo con contratti – sempre pubblici – a sei mesi senza concorso, con un piede in Regione e uno in Provincia, moderne e antiche figure di procacciatori di qualcosa, anche se non procacciano quasi più niente, conta l’aria. Lo dico perché sarebbero tornati alla loro dimensione – gli uni e gli altri – se i giornali non avessero ossessivamente, artatamente dato loro un senso, mettendogli il taccuino sotto il naso, il microfono davanti alla bocca, nel caso delle televisioni. Per pigrizia, e per il meccanismo banale per cui ogni titolo ha bisogno di contenere la parola “polemica”, e poi per l’impressione sempre pigra e banale che a Sedilo tutto è Ardia, a Ottana Merdùles e a Mamoiada Mamuthones, ad Olbia tutto Costa Smeralda e ad Alghero aerei in volo carichi di gente felice. E’ una storia lunga che sarebbe interessante indagare alle nostre latitudini, ha a che fare con il cosidetto sviluppo locale e il marketing territoriale, le specializzazioni che sono la morte delle specialità e soprattutto della normalità, del vivere in pace e nella complessità delle vite e delle economie medesime dei nostri paesi. Alla generalità delle persone non importa niente e non si ritrova in queste rappresentazioni, ne hanno fastidio come in questi giorni nel mio paese: ma gli ambienti più deboli ci si specchiano, ci si riconoscono, si identificano, per impulso esterno, mentre stanno pensando di fare gli autentici, i puri, i primitivi. Così si contribuisce a rovinare le tradizioni vere, sommerse da questa melassa che prevede il brivido del ribellismo (naturalmente sotto controllo, in posa per i fotografi). La crisi amministrativa di Sedilo non c’entra con l’Ardia, che ne è solo uno strumentale argomentino da giornale, appunto. Non è così nella realtà, nella vita del paese, e sicuramente non a gennaio, e credo che non lo sarà più dopo l’uscita di scena del gruppetto di agitatori non più amministratori. Ma resterà nei giornali il tormentone, e non si saprà come liberarsi da queste catene. E’ una violenza che si esercita, quella del luogo comune, che fa sembrare strani quelli che lo contestano, che lo vorrebbero disarticolare. C’è un racconto del 1950 di Cortazar che affronta il tema: è la storia della notte prima dell’ultimo esame di un giovane universitario che a Buenos Aires girovaga di locale in locale, con un’amica, per far passare il tempo, sfuggire agli incubi della notte, reggere l’attesa del giorno dopo. Detesta il folclore che evidentemente imperversa in quegli anni, così fa di tutto e poi riesce a sedersi accanto al juke-box, e nonostante gli spacchi i timpani, infila monete in continuazione per sentire London Again, di Eric Coates. London Again a ripetizione. E poi solo un tango, Ricordi Ballerina. Pur di non lasciare posto agli altri che avrebbero suonato samba, machicha, minaccioso folclorismo di quel tempo: siamo nell’Argentina di Peron, il folclore è evidentemente uno strumento della dittatura e del populismo.
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