La città ideale non è la summa di rovine o di rimpianto ma è progetto [di Maria Antonietta Mongiu]

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L’Unione Sarda 18/01/2017. La città in pillole. Nel De pictura del 1436 Leon Battista Alberti introduce due termini che aprono nuove prospettive sulla città: copia e varietas che, secondo lui per la materia che li forma, discendono dai matematici. Copiare è tradurre che, a sua volta, significa interpretare come fu chiaro a Cicerone o a Walter Benjamin che ne scrive in Il compito del traduttore del 1920.

Alberti inaugurò dunque il Rinascimento con un doppio percorso di tradimento e di continuità dell’antico. L’esito fu anche l’imago urbis nei quadri dal platonico titolo La città ideale, specie in quello della Galleria nazionale di Urbino (fine del XV sec) di Anonimo o forse di Piero della Francesca. Vi si dispiega il compendio delle città passate nella traiettoria matematica della contemporaneità. Dalla capanna circolare di ogni origine, evocata dall’edificio religioso al centro, all’agorà lastricata della città a scacchiera affollata di edifici con i catteri architettonici che perdurano negli elevati del Foro romano.

La città ideale non è la summa di rovine o di rimpianto ma è progetto di comunità che traccia il futuro attraverso il rispecchiamento ed il suo portato di analisi e di riflessioni. Più autentica della Strada Novissima  progettata a Venezia nel 1980 da Paolo Portoghesi nella Prima Mostra Internazionale di Architettura (La presenza del passato).

Venti facciate su una strada in cui si praticava l’esperienza tattile dell’architettura di altrettanti architetti tra cui Ricardo Bofil, Arata Isozaki, Frank O. Gehry, Robert Venturi, Franco Purini, Rem Koolhaas.

Uno di loro disse a Festarch del 2008 che a Cagliari la città ideale c’era già tutta a patto che non si pasticciasse.

 

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