Una moltitudine che punta al cuore [di Benedetto Vecchi]

Marx

il manifesto, 21 gennaio 2017. Centinaia di persone – gli organizzatori azzardano la cifra ragguardevole di mille uomini e donne – che prendono appunti per cinque ore al giorno sulle relazioni che hanno come oggetto il comunismo. È questa la prima immagine che emerge nel convegno in corso a Roma – tra la Gnam e lo spazio occupato Esc Atelier – che ha visto alternarsi sui due palchi filosofi, sociologi, antropologi ed economisti provenienti oltre che dall’Italia, da Australia, Stati Uniti, America Latina, Russia, Francia, Germania, Inghilterra.

La seconda immagine è la eterogeneità generazionale. Giovani uomini e donne di venti, trenta anni assieme a chi ha attraversato altri decenni. Infine, molti dei partecipanti non sono solo italiani.

I temi affrontati finora hanno molto a che fare con la storia, anzi le storie dei vari movimenti comunisti. La critica dell’economia politica, il concetto di proletariato, l’esperienza dei socialismi reali. Ma nel convegno non c’è nostalgia del passato: tutti i relatori, e molte delle domande emerse nei workshop svolti alla Gnam, invitano a guardare al futuro e a pensare una trasformazione radicale dell’esistente, che segua strade nuove. Il pubblico è parco di applausi facili. Ascolta in silenzio e con una attenzione che meraviglia – per primi gli stessi organizzatori, i quali per oltre un anno si sono incontrati e hanno discusso su come poter parlare del comunismo. In base a quello che è accaduto nei primi due giorni, l’obiettivo è stato raggiunto.

Lo ha anche sottolineato Toni Negri prima di prendere la parola in una sala strapiena e con altrettante persone che sono rimaste in strada senza riuscire a entrare. Se ci sono momenti come questi, ha affermato Negri, vuol dire che non tutto è perduto, come sostengono i cantori del capitalismo.

I relatori, spesso, hanno una lunga militanza politica e teorica alle spalle. Verso di loro molte le manifestazioni di affetto, segno di un riconoscimento per una scelta di vita perseguita con coerenza. È stato così con Luciana Castellina che, nel giorno di apertura con passione ha difeso una scelta di vita e di militanza comunista. Castellina ha però sgomberato il campo da ogni equivoco. Il comunismo storico è cosa finita, bisogna pensare ad altre forme della politica per conseguire l’obiettivo di una società di liberi ed eguali, ma se quella esperienza va considerata chiusa, ciò che invece non può essere archiviata è la storia dei comunisti, cioè di chi in nome della propria visione del mondo ha messo a rischio la vita, il lavoro, gli affetti.

Tutto può essere ripensato, ma quelle storie individuali vanno ricordate, rispettate: senza di esse non saremmo qui a pensare le sconfitte, le vittorie e il come ripartire. È in questo passaggio che è partito il primo lungo applauso che ha accompagnato il suo intervento. Eppure, l’intervento di Castellina non è stato l’unico ascoltato quasi in religioso silenzio. Anche quelli di Mario Tronti e Maria Luisa Boccia sono stati diligentemente appuntati.

Tronti ha presentato la sua sofferta riflessione sulla sconfitta dell’idea comunista. Il mondo che vede dipanarsi davanti gli occhi non gli piace, è scettico se non all’opposizione verso chi prova a sbrogliare la matassa del presente facendo leva su una idea plurale di comunismo e di marxismo.

Maria Luisa Boccia, invece, ha messo sul piatto della bilancia il rapporto e le differenze tra il comunismo e il femminismo, due esperienze che hanno scandito la prima e la seconda metà del Novecento. L’ultima, maliziosa, immagine di questa iniziativa è che il comunismo da queste parti è un oggetto pop. Non c’è però nessuna aura vintage nella platea, a partire dagli sforzi fatti dai relatori per misurarsi con il presente.

L’elezione di Donald Trump, il populismo xenofobo in ascesa, una crisi economica che mette in ginocchio economie nazionali. Un lavoro frantumato nelle prestazione lavorativa e nei diritti.

È questo il mondo dove i più giovani sono cresciuti, cioè un mondo dove la parola comunista evoca ere lontane nel tempo. E per questo concedono l’applauso a chi parla di precarietà, di sessismo, di razzismo. L’invito di Franco Berardi Bifo è quello di passare a loro il testimone. Un intervento coinvolgente, il suo, accolto anche con scetticismo da chi non crede che il problema del comunismo sia una questione di generazioni passate (Riccardo Bellofiore).

Ieri è stata la volta di Christian Laval e Pierre Dardot, che a Marx hanno dedicato lavori importanti, tra i quali Karl, prenome Marx, uno dei testi più interessanti usciti negli ultimi anni sull’opera del filosofo di Treviri. Che come un fantasma si aggirava nei locali della Gnam e di Esc. Ma non destava paura, bensì la curiosità di poterlo finalmente – e nuovamente – spendere come compagno di strada in quel movimento che abolisce lo stato di cose presenti.

 

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