Il Belpaese del giorno dopo [di Tonino Perna]

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il manifesto, 21 gennaio 2017.Il Galileo di Bertolt Brecht rispondeva al suo allievo: «Sfortunata la terra che ha bisogno di eroi». Che si può anche tradurre come «beato quel paese che non ha bisogno di eroi»». E l’Italia certamente non è questo paese. Senza questi eroici vigili del fuoco, i volontari del Soccorso alpino e di altre organizzazioni la tragedia di questi giorni avrebbe avuto un bilancio ancora più pesante.

Non solo all’hotel Rigopiano, ma anche nei tanti borghi e frazioni rimaste isolate. È mai possibile che nell’era della rivoluzione dei mezzi di trasporto e comunicazione possono essere lasciate senza corrente elettrica 70-80mila persone secondo le stime approssimative che circolano? Certo, c’è stata una nevicata eccezionale, ma la verità è un’altra.

Anche quando abbiamo nevicate «normali» (come capita d’inverno!) c’è difficoltà a spalare le strade di montagna in molte località dell’Appenino, soprattutto nel Centro-Sud, a riparare i pali della corrente elettrica, in tante località dove i cavi della corrente passano su pali di legno vecchi e malfermi. L’ho sperimentato di persona in cinque anni di presidenza del Parco nazionale dell’Aspromonte: non c’è stato un solo inverno senza che paesini e frazioni non restassero senza corrente elettrica per qualche giorno o non fosse consentito l’accesso per la neve molto alta. Bisognava urlare, utilizzare le tv e le radio locali per costringere gli addetti ai lavori a compiere il proprio dovere.

In realtà, per chi conosce la pubblica amministrazione dall’interno sa che i servizi necessari di manutenzione sono un’eccezione e che solo nelle emergenze si attivano forze ed energie che vivono nel letargo.

Non riusciamo più a fare la manutenzione ordinaria, figuriamoci la straordinaria che oggi sarebbe necessaria per adeguarsi all’epocale mutamento climatico, allo squilibrio dell’ecosistema, per affrontare gli «eventi estremi» con cui, ci piaccia o no, dovremo convivere per molto tempo. Ma, non ci sono i soldi, si dice – nel momento dell’emergenza se ne stanzioni subito pochi e se ne promettono tantissimi -, per comprare tutti gli spalaneve che servirebbero, per rifare la vecchia rete elettrica che collega paesi e borghi delle nostre colline e montagne, per altro con un alto tasso di dispersione energetica.

Ma, se un cacciabombardiere F-35 che serve per distruggere e fare la guerra, costa come minimo dai 120 ai 150 milioni di euro (ne stiamo acquistando ben 90 per 15 miliardi di dollari) ed uno spalaneve nuovo fiammante costa 80mila euro, ci si domanda: quanti spalaneve potremmo comprare rinunciando all’acquisto di un solo F35 ? (Per chi indovina, ed invia per primo la risposta, regaliamo un abbonamento al manifesto).

Insomma, se viene l’estate abbiamo l’emergenza incendi, in autunno l’emergenza alluvioni, in inverno l’emergenza neve e in tutte le stagioni, secondo una temporalità imprevedibile, l’emergenza terremoti.

Così il Belpaese va giù un pezzo dopo l’altro, soprattutto l’Italia dei borghi antichi, delle aree interne di cui tutti parlano e scrivono, ma dove non succede assolutamente niente a livello di messa in sicurezza del territorio.

Ma, anche le città non se la passano tanto bene. Nella scorsa settimana sono state chiuse per il freddo (sic) più di mille scuole nelle città piccole, medi e grandi del Centro-Sud. Caldaie che si guastano e nessuno ripara, gasolio che finisce e non ci sono i soldi per comprarlo, o per riparare le finestre che si rompono o i vecchi impianti di riscaldamento. Eppure, con un tratto di penna in un baleno si sono trovati 20 miliardi di euro come salvagente per le banche. In questo caso la velocità è stata massima e non c’è stato nessun vincolo europeo o politica di austerity che conti. Con questa somma potremmo avviare un programma serio di attività di manutenzione ordinaria e straordinaria, di messa in sicurezza del nostro territorio e creare centinaia di migliaia di posti di lavoro veramente utili alla società ed all’ecosistema.

Rifare e rendere efficiente la rete elettrica nazionale, mettere in sicurezza antisismica scuole e ospedali, terrazzare le colline, canalizzare le acque e rinaturalizzare fiumi e torrenti, proprio come ribasce spesso, inascoltato, questo giornale. Potremmo far lavorare insieme italiani e immigrati, i nostri «naufraghi dello sviluppo» secondo la definizione di Latouche, cioè i profughi di un mercato del lavoro che li espelle e chi scappa dalla fame e dalle guerre.

Utopia? No, è vero il contrario. Spendere in armamenti una pesante fetta di finanziaria e ben 20 miliardi per tamponare il sistema bancario italiano quando sappiamo che hanno la pancia piena di crediti inesigibili (per 200 miliardi) e di titoli tossici è questa la distopia dell’ insostenibile cinismo del nostro governo. In fine dei conti per loro quella del Kapital è l’unica emergenza che conta.

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