Improvvisamente, cinquanta anni fa e oltre [di Franco Masala]
Torno a casa a passo svelto – l’appetito si fa sentire – quando, incrociando un uomo sulla quarantina, mi sento chiedere: “Ha bisogno di affilare coltelli?”. Rispondo no con un sorriso e mi sento ringraziare comunque. Superato lo stupore per il garbo e la gentilezza, merce rarissima di questi tempi, vado indietro nella memoria fino a decenni e decenni fa quando il mestiere dell’arrotino era corrente e preceduto sempre dal grido che allertava massaie e possibili clienti. E inevitabilmente torna alla mente il ragazzo del latte con la bottiglia di vetro chiusa dal coperchio di alluminio, diversamente colorato a seconda se fosse vaccino o caprino, oppure s’acconciacossiu che riparava recipienti e vasi di terracotta. Tutte figure ormai scomparse, eliminate dall’automazione e dal consumismo dilagati. Non è un amarcord però, più o meno affettuoso, ma l’oggetto di una riflessione che ci riporta ad oggi quando, inopinatamente, rinasce (?) un mestiere che si perde nella notte dei tempi e che, certamente, è dovuto più al bisogno che a una reale necessità degli utenti. Insomma appare come un tentativo di inventarsi un lavoro, non so quanto redditizio, da parte di chi non riesce probabilmente a raggiungere un minimo di sopravvivenza in tempi grami per l’economia e le finanze e, soprattutto, per la vita di tutti i giorni. E allora sono grato all’uomo discreto che ha concesso di riflettere su aspetti della vita quotidiana che tendiamo a scansare. A cominciare dal fatto che siano a rischio robotizzazione circa il 50% dei posti di lavoro nei prossimi 10-20 anni tra Europa e America secondo studi recentissimi. Saremo più felici con tempo libero maggiore? Ma a che prezzo?
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