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Ho appena finito di leggere l’articolo del prof. Ferrara sul Manifesto del 27 gennaio. La verve dell’anziano costituzionalista è ammirevole, e tocca il cuore di ogni discussione che riguardi i sistemi elettorali. Per la semplice ragione che dietro ogni manifestazione del consenso politico, in una società che voglia definirsi comunque democratica, c’è immediatamente il convitato di pietra di ogni democrazia: il rapporto sempre delicatissimo tra rappresentanza e governabilità.
A me, leggendo le parole di Ferrara, da tempo appaiono evidenti poche essenziali questioni. Semplificandole brutalmente:
- Se democrazia significa “una testa un voto”, allora i premi di maggioranza, le soglie, e tutti gli artifizi voti a premiare, con un plus, un successo elettorale anche parziale, sono un vulnus, per non dire una negazione sostanziale del patto democratico del vivere comune.
- Se poi proprio fossi costretto a scegliere, trovo che il premio di maggioranza sia il peggiore di tutti, alterando il peso finale di ogni singolo voto espresso in modo intollerabile. Anche le soglie di sbarramento alterano il valore finale di ogni singolo voto, potendolo alla fine rendere di fatto anche nullo. Ma trovo questo molto più sopportabile, dato che l’elettore conosce PRIMA il rischio insito nel votare una lista che potrebbe non raggiungere una soglia minima. Mentre col premio ogni valutazione di opportunità ed affinità politica è inutile: il peso del proprio voto lo deciderà l’ammontare dei voti di ciascuna lista, un fattore del tutto avulso da ogni capacità/potere del singolo votante. In pratica con la soglia il patto tra legge ed elettore è se non altro più onesto; mentre col premio (soprattutto se così alto) l’elezione assume più le sembianze di una sorta di riffa.
- Occorre non dimenticare che, in un sistema parlamentare, l’elezione politica forma l’assemblea legislativa, capace di porre norme che incidono direttamente e nel profondo nella vita del cittadino. Per questo motivo è molto faticoso per me accettare che il parlamento eletto possa non essere lo specchio fedele delle scelte fatte dall’elettorato. Le funzioni di governo sono (o dovrebbero essere) cosa molto diversa; ma mi rendo conto che in un paese come il nostro, tra decreti legge, il loro evidente abuso, e la quantità di leggi che deriva da iniziative del governo, questo mio richiamo scolastico di corretta ripartizione dei poteri, suona quasi patetico.
- La debolezza dei sistemi parlamentari rispetto alle problematiche della governabilità (che non è una parolaccia) è di tutta evidenza. A distanza di tanti anni la scelta dei costituenti di non inserire in Costituzione, nulla che si legasse alle leggi elettorali, appare coraggiosa ed improvvida insieme. Forse uno dei pochissimi errori (col senno di poi) di quella prestigiosa classe dirigente, fu proprio di non aver avuto il coraggio di costituzionalizzare almeno i principi minimi di garanzia per il sistema elettorale. Rimandarlo del tutto alla legislazione ordinaria, ha di fatto messo la democrazia sostanziale alla mercé delle transienti maggioranze politiche, magari pure risicate.
- Se poi si dovesse concludere, sia pure a malincuore, che un sistema parlamentare, in questa contingenza storica non ce lo possiamo più permettere, ad esempio per “l’insopprimibile esigenza” per i governi di investitura e legittimazione elettorale, bene, allora si esca dal riparo ipocrita dei grandi principi della “costituzione più bella del mondo” ed altre simili amenità. Io non lo preferirei, ma se fosse davvero la meditata volontà della grande maggioranza del Paese, allora si abbia il coraggio di ragionare di un possibile assetto semipresidenziale dell’organizzazione dello Stato. In tal modo avremmo la tanto sospirata elezione diretta dei governanti (compresi magari i premi che sarebbero ben più accettabili), a patto ovviamente della contemporanea presenza di assemblee legislative e di controllo del governo, ma fedelmente rappresentative del voto politico dei cittadini. Esattamente come è previsto in qualsiasi sistema semipresidenziale ben congegnato e munito di meditati ed efficaci contrappesi tra i poteri dello Stato.
E’ appena il caso di far notare che la proposta di riforma a cui siamo appena scampati, era quanto di più lontano possibile dalle piccole cose di buon senso che ho cercato maldestramente di richiamare. Era invece un maleodorante guazzabuglio di malcelata malafede politica, avventurismo e cialtroneria giuridica.
Purtroppo, credo anche che in buona misura lo scampato pericolo per noi e per la Carta non sia del tutto da ascrivere ad una consapevole e determinata valutazione di tutela della Legge Fondamentale da parte degli italiani. Magari lo fosse stata, credo invece che ben più decisivi per il successo del NO siano stai dei marchiani errori di arroganza negli atti di governo e comunicazione da parte dell’ex premier e del suo entourage. Ma questa è un’altra storia.
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Condivido, ma aggiungo che non bisogna confondere la governabilità col governare. La governabilità e la stabilità non mi servono se manca la capacità di governare. Col passaggio al maggioritario abbiamo sacrificato una fetta di democrazia in nome del mito della stabilità di governo. Ma i lunghi anni di stabilità di Berlusconi hanno portato qualcosa in termini di economia, posti di lavoro, benessere? Io ricordo che negli anni sessanta il premio di maggioranza veniva chiamato TRUFFA, e che pur nella totale assenza di stabilità politica io ho fatto liceo e università grazie alle borse di studio e senza chiedere una lira ai miei genitori. Questa ricerca della stabilità a tutti costi è la sublimazione del vacuo, di quel vuoto culturale e politico in cui siamo cascati.
Pasqualino Cabizza
Mi spiace, ma questo articolo non coglie nel segno.
Il problema di una buona legge elettorale è quello di garantire al massimo grado possibile il rispetto di due principi inderogabili, e costituzionalmente previsti entrambi. L’uno, la rappresentatività, è previsto esplicitamente, l’altro, la governabilità, è insito nello spirito della Costituzione, la nostra, non di altri paesi.
Una buona legge elettorale deve, giustappunto, individuare il giusto equilibrio fra i due concetti, perché qualora privilegiasse la rappresentatività pura, senza aver nelle proprie preoccupazioni anche la governabilità, disattenderebbe surrettiziamente entrambi, poiché il fine ultimo della rappresentanza è quella di governare adeguatamente, attraverso i propri rappresentanti, la cosa pubblica. Ciò sarebbe impossibile se impedita fosse la formazione di un Governo che governasse stabilmente.
Il massimo livello di rispetto del principio di rappresentatività lo si ottiene con un proporzionale puro, senza soglie, come ben descritto nell’articolo. Ma già da ora sappiamo che è elevatissima la probabilità che non si preservi il principio di governabilità, che non significa formare un Governo purché sia, ma una esecutivo che realisticamente abbia una sua stabilità interna, fatte salve le mai escluse ipotesi d’implosione delle maggioranze che lo sostengono. Nella situazione data, quella del nostro Paese, il vero rispetto della volontà popolare lo si ottiene solo con una legge elettorale che individui il giusto equilibrio fra i due principi. La soglia oltre la quale non è più garantita la governabilità e quella al di sotto della quale sia disatteso il livello minimo di rappresentatività. Un legislatore deve quindi porsi di fronte all’evidenza che un proporzionale puro, non corretto, sia una manciata di sabbia negli occhi dell’elettorato, così pure un premio di maggioranza esorbitante. La Corte Costituzionale ha stabilito che la cifra di questa soglia sia il 40% dei voti validi. Non credo che sia lesa alcuna norma costituzionale, anche se immagino che, trattandosi di una soglia piuttosto elevata, sia alquanto problematico raggiungerla, il che consegnerà di nuovo il Paese al mercanteggio, allo scambio di favori e, presumibilmente alla formazione dell’ennesimo Governo spurio, in cui le responsabilità di un fallimento saranno palleggiate fra le varie anime che hanno dato vita all’esecutivo.
Stante il panorama politico nazionale, eccessivamente frastagliato, credo che in Italia serva una nuova legge elettorale del tutto innovativa. Ma per far questo occorrerebbero statisti non nani, e noi, purtroppo, siamo infarciti di nanerottoli, saltimbanchi e giullari. Questo offre il mercato, con questi gnomi dobbiamo fare i conti