Alice Munro: Premio Nobel 2013 [di Elisabetta Chicco Vitzizzai]
Il premio Nobel per la letteratura è andato in questo anno 2013 alla scrittrice canadese Alice Munro. Finalmente un premio per la letteratura a una persona che sa davvero che cosa sia scrivere. Ho pensato di rendere omaggio alla Munro con questa piccola recensione, nella speranza che i suoi lettori continuino a crescere nel tempo. Alice Munro ha scelto di scrivere racconti piuttosto che romanzi, ma ogni suo racconto ha il respiro e la complessità di un romanzo. Troppa felicità è di Alice Munro l’ultimo racconto della silloge omonima, pubblicata in America nel 2009 e uscita da noi nel 2011. Quelle della scrittrice canadese sono storie di cui sono quasi sempre protagoniste le donne, dove i legami familiari, le ambivalenze sentimentali, le piccole e grandi crudeltà, la mediocrità in cui siamo immersi, le assurdità e distorsioni di senso e i pensieri celati che intessono i rapporti tra le persone in quel prisma sfaccettato e sfuggente di significati che è la vita, si illuminano all’improvviso di un bagliore di senso e verità. In Troppa felicità, il racconto più lungo della raccolta, protagonista è la matematica russa Sof’ja Kovalavskaia, vissuta negli ultimi anni dell’800. Una donna di genio in un mondo che non riesce a concepire che una donna possa essere una scienziata di valore. In un andirivieni nel tempo, fatto di flash-back e di racconti che si susseguono e si incastrano gli uni negli altri, Alice Munro ripercorre l’esistenza di Sof’ja attraverso i suoi ricordi, le sue riflessioni, le sue esperienze attuali. “La complessità delle cose –delle cose dentro le cose- sembra proprio infinita” ha detto la Munro e ciò è in perfetta corrispondenza con il suo modo di narrare, sotto l’apparente semplicità e limpidezza di scrittura. Con una sorta di sguardo sghembo che le è caratteristico la Munro accenna a rapporti ed episodi fondamentali per il complesso strutturarsi della personalità di Sof’ja e del suo agire: la sorella Anjuta, rivoluzionaria nella Comune di Parigi, il vecchio professore che per primo ha riconosciuto la sua genialità, il primo matrimonio senza amore da cui è nata una figlia. Aspetti importantissimi della sua vita che però restano sullo sfondo della storia principale e al tempo stesso la chiariscono, quella con Maxim: paradigmatica storia di una coppia, del modo diverso di amare di un uomo, degli uomini, e di una donna, delle donne. “Ricordati sempre,” ha detto a Sof’ja un’amica “quando un uomo esce da una stanza, si lascia alle spalle tutto quello che c’è dentro. Una donna, invece, si porta appresso tutto quel che c’è avvenuto”. All’amore appassionato di Sof’ja, Maxim risponde con distacco, attratto ma anche invidioso di lei, e la loro vicenda di coppia si trascina tra gioie e dissapori, rotture e ricomposizioni, fino alla vigilia delle nozze, da cui Sof’ja si aspetta la felicità, anche se Maxim è disposto a offrirle solo un disponibilità affettiva tiepida e formale. Ma prima delle nozze c’è anche per la scienziata un importante riconoscimento con il conferimento di un premio e di un incarico accademico a Stoccolma. “Troppa felicità” mormora Sof’ja alla fine di un viaggio estenuante attraverso l’Europa alla volta di Stoccolma, che paga con la morte. La felicità che le è sembrata a portata di mano, in ultimo le sfugge. Ma quale felicità, viene da chiedersi? I racconti della Munro lasciano sempre il lettore in sospeso, non c’è spiegazione ai paradossi della vita e certo, come mostrano le storie di Sof’ja e di Anjuta, l’amore non contribuisce alla felicità in modo affidabile. |