Nel pensiero di Nereide Rudas [di Federico Palomba]

nereide rudas

Quasi presagisse di dover lasciare un testamento spirituale, Nereide Rudas ci ha lasciato con un bel regalo. Sono tra i fortunati che hanno ripetutamente potuto apprezzare Nereide Rudas per la sua tempra di studiosa appassionata alle persone ed alle loro vite, non solo come psichiatra ma anche come rigorosa ricercatrice. La conoscenza e la stima sono risalenti a quando mi occupavo di devianza giovanile e approfondivo con lei le cause e i rimedi. Erano tempi di fervore di studio e di azione in una stretta interazione tra magistratura, mondo accademico (che lei benissimo rappresentava), servizi sociali, territorio.

Tempi e culture che bisogna tenere sempre attuali e vivi, perché i destini di ogni persona sono legati a quelli del contesto in cui essa vive. Soprattutto quando essa soffre ed ha bisogno di aiuto. L’ultimo regalo di Nereide è il suo ultimo libro intitolato “Donne morte senza riposo. Un’indagine sul muliericidio”. E’ un’opera scritta insieme ai suoi preziosi collaboratori Pippo Puggioni e Sabrina Perra, criminologo e statistico il primo, sociologa la seconda. Esso risente positivamente dell’impronta della scienziata rigorosa.

Maestra di valori e di metodo, evidenti non solo nella sensibilità con la quale viene affrontato l’aspetto sociale della violenza sulle donne, ma anche nella ricerca puntigliosa soprattutto se con riguardo alle indagini condotte sul Libro dei Morti nelle parrocchie della Sardegna centro-orientale nel periodo 1600-1861.

Il libro è originale fin dalla definizione del soggetto-vittima. Esso va subito contro corrente. Supera le definizioni di femicidio e di femminicidio usato dalle due principali studiose di questo fenomeno, la statunitense Diana Russel e la messicana Marcela Lagarde. Non pare acconcio agli Autori il riferimento alla radice femi o femina perché pare evocare, sulla base delle definizioni contenute nei vocabolari, o una connotazione dispregiativa o il collegamento con la fertilità: connotazioni, entrambe, ritenute non dignitose o comunque non complete per il soggetto vittima della violenza.

La ricerca di un termine più appropriato cade, così, sulla radice mulier (mujer in lingua spagnola) che significa donna, moglie. Muliericidio, dunque, come omicidio della donna. Pertanto, esso ricade comunque tra i delitti di genere, caratterizzati dall’essere portati verso la donna quale espressione di un genere (“un omicidio specifico al femminile”).

Seguono alcune rigorose definizioni e delimitazioni del muliericidio. Questo è innanzi tutto un reato domestico e di prossimità, in quanto il contesto in cui si sviluppa è quello delle relazioni domestiche (familiari e di relazione affettiva-personale) e della prossimità, cioè della vicinanza, non solo locale ma soprattutto relazionale, tra agente e vittima.

Esso è poi un reato identitario. L’identità viene assunta nei due aspetti di autoconsapevolezza (aspetto personale) e di eteroriconoscimento (aspetto relazionale). L’essere il muliericidio un reato identitario colpisce questo secondo elemento poiché nega all’altro soggetto della relazione il riconoscimento dell’identità. “E’ …. il disconoscere la donna nella sua soggettività d’identità femminile, la condizione di base che connota l’atto eterosoppressivo”.

Infine, si parla di un reato di genere perché attribuibile alla differenziazione culturale tra genere maschile e genere femminile. Ciò accade quando il processo di trasmissione culturale sulle differenze di genere non tempera lo stereotipo del maschio forte che comanda e della donna sottomessa che obbedisce.

Quando entra in crisi questo modello può accadere che il maschio senta messo in discussione il suo preteso potere e reagisca eliminando chi lo pone in pericolo. La soppressione della donna sarebbe un atto di reazione verso chi nega il diritto dell’uomo al dominio, negando così un aspetto che egli ritiene cruciale per la propria identità. In sostanza, perdere il dominio significa, nell’autore del muliericidio, contrastare la perdita della propria natura.

La trattazione di questo aspetto da parte di Rudas e collaboratori parte dagli studi statunitensi intorno all’egemonia della mascolinità sulla femminilità subalterna. Ma non mancano i riferimenti alla cultura sarda, come nella citazione degli studi di Antonio Pigliaru.

Ciò apre il campo agli accenti critici sulla prevalente costruzione culturale della femminilità quale identità di genere non paritaria ed asimmetrica con una particolare attenzione alla condizione della donna in Sardegna. A prescindere dall’idea del cd. “matriarcato sardo” come condizione nella quale la donna, anche in considerazione delle ripetute assenze da casa del maschio per periodiche transumanze, ha assunto nella famiglia e socialmente un ruolo di trasmissione di valori e di governo della famiglia (condizione più frequente nelle arre interne), in generale in Sardegna, soprattutto nel secondo Novecento, il processo di emancipazione della donna si è sviluppato più precocemente ed in misura da conseguire un minore squilibrio.

Il saggio si chiude con le risultanze dell’accurata e meticolosa ricerca sull’omicidio di donne nella Sardegna centro-orientale nel periodo 1600-1861. Sulla base di medie ponderate gli autori ritengono che nel periodo considerato l’ammontare totale degli omicidi possa essere stato di 2.170 a fronte di 2.380 vittime, con rilevante prevalenza di quelli commessi nella diocesi di Ogliastra rispetto a quelli perpetrati nei paesi barbaricini. All’interno di questa cifra gli omicidi di donne ammontano a 113, con 119 vittime; dato ritenuto sottostimato ritenendosi più realistico che essi ammontino a 160 con 165 vittime. Mentre negli omicidi in generale l’arma da fuoco viene usata nell’80% dei casi per le donne questa percentuale scende tra il 61% (paesi barba ricini) e 75% (Ogliastra).

Nei tempi più recenti (dal 1996 al 2013), quando l’attenzione per questo fenomeno è divenuta maggiore, ci sono state 95 donne uccise, tra le quali i muliericidi assommano a 53. I due terzi circa sono commessi nell’abitazione della vittima o di parenti. Nettamente ridotta è l’incidenza dell’uso dell’arma da fuoco mentre più frequentemente gli strumenti di cui si avvale l’aggressore sono armi da taglio o la sua preponderante forza fisica. In percentuale assai maggiore che negli omicidi, il muliericidio può essere seguito dal suicidio in quanto vi rimane emotivamente coinvolto anche il carnefice.

Toccante la mozione di affetti che conclude il libro, segno della forte sensibilità che ha pervaso nello studio Nereide Rudas e i suoi collaboratori. Le vittime di muliericidio sono donne senza riposo perché avevano sperato di vivere una vita felice o normale ed invece “sono state rese visibili solo per la loro tragica vicenda, bruciate dalla morte prima di avere pienamente vissuto”. Di qui il nostro dovere di risarcirle, almeno simbolicamente; con l’unico modo possibile: “operare insieme affinché ciò che loro hanno sofferto non riaccada”.

Anche questo invito fa parte del testamento spirituale di Nereide. Ciò che non è richiesto ai ricercatori è invece obbligatorio per gli altri. In un prossimo intervento cercherò di raccogliere l’invito.

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