Ancora su Euroallumina. Ma sarà l’ultima volta? [di Sergio Vacca]
Esaminavo con attenzione il corposo materiale documentale presente nel sito ufficiale della RAS http://www.sardegnaambiente.it/index.php?xsl=612&s=291633&v=2&c=4807&t=1, riguardante la procedura di Valutazione di Impatto Ambientale in atto presso il Servizio competente dell’Assessorato della Difesa dell’Ambiente, quando sul tablet compare il segnale di un messaggio sulla conclusione dei lavori della Conferenza dei Servizi e sulle conseguenti determinazioni. Gioia degli operai. Foto ricordo con l’Assessora Regionale dell’Ambiente. Parere contrario, tuttavia né vincolante né ostativo – tenevano a precisare i portavoce regionali – da parte del rappresentante del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. A cui – è appena il caso di ricordarlo – compete di far rispettare quella parte dell’articolo 9 della Costituzione, che recita “La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Leggo poi su Sardegna Soprattutto due articoli, il primo, della Confederazione Sindacale Sarda, http://www. sardegnasoprattutto.com/archives/13196, il secondo di Legambiente nazionale e del Comitato Scientifico regionale, http://www.sardegnasoprattutto.com/archives/13204. Ognuno portatore di interesse, di categoria, la Confederazione Sindacale, più generale e più attinente alle questioni ambientali, Legambiente. La stampa sarda nel mentree titola entusiasta “alla rinascita dell’Euroallumina”. Come evidenzia con grande efficacia Nicolò Migheli, http://www.sardegnasoprattutto.com/archives/13212, siamo di fronte ad un film già visto troppe volte. Una manciata di stipendi ancora per qualche tempo, la diffusione di tanti veleni e poi … a ricominciare da capo. “L’eterno ritorno della chimica e delle fabbriche inquinanti come paradigma dell’azione politica”, ne conclude sempre Migheli. Occorre sottolineare alcuni aspetti. Il primo. Le condizioni ambientali complessive del territorio – nonostante le rassicurazioni della Regione – saranno ulteriormente deteriorate. Gli impatti cumulativi derivanti dall’aumento della volumetria del deposito dei cosiddetti sterili sommeranno i loro effetti su un ambiente già fortemente compromesso da decenni, a cui si aggiungerà la costruzione ed il conseguente esercizio della centrale termoelettrica a carbone. Anni fa, ho avuto modo di studiare una condizione del tutto simile in Bulgaria; il disastro ambientale, che si determinò a seguito di un evento climatico verificatosi il I° maggio 1966, manifesta ancora, a distanza di 50 anni, gravi conseguenze in termini di inquinamento di suoli, delle acque superficiali e di falda, interessando anche il vicino corso del Danubio; ma, ad aggravare la situazione ambientale fortemente compromessa, l’aspetto sanitario è quello che desta le più gravi preoccupazioni: il tasso di patologie tumorali, che gravano su una vasta area del nord-ovest della nazione, è considerevolmente superiore a quello dell’intero paese. Mutatis mutandis, anche per il Basso Sulcis, una vera “chemical time bomb”. Un altro aspetto che – ritengo – occorra richiamare è la contemporanea crisi dell’area mineraria di Olmedo, in cui si estrae la bauxite sarda. Chiusa nel 2015, da mesi si parla della sua riapertura. Vi è da chiedersi se anche l’attività estrattiva di Olmedo avrà un ruolo nella ripresa lavorativa del complesso industriale di Portoscuso-Portovesme. Riguarderà anche i circa 40 operai e tecnici della miniera? Tuttavia, ciò che lascia veramente perplessi – sottolinea questo aspetto anche Nicolò Migheli – non bastano più le narrazioni su di un nuovo modello di sviluppo, su agricoltura, artigianato, turismo, conoscenza, tecnologia. Quella che viene esercitata con grande sicumera è la politica degli annunci. Abbiamo – per caso – visto qualcosa che somigli ad un reale piano di disinquinamento dell’area vasta di Portoscuso-Portovesme, che – è appena il caso di sottolinearlo – potrebbe impiegare l’intera manodopera precaria del Sulcis? E, abbiamo – per caso – visto applicare un Piano di sviluppo rurale all’intero Sulcis-iglesiente, come pure all’intera isola? Ci si ritrova, invece, davanti ad un improbabile piano per la diffusione nel Basso Sulcis della canna per la produzione di bio-fuel. Ma anche, per quel che riguarda il nord-ovest dell’isola, un progetto per la diffusione della coltivazione del cardo per la produzione delle cosiddette bio-plastiche. Migliaia di ettari da destinare a produzioni idro-esigenti e che finirebbero per allignare, nonostante le rassicurazioni di cosiddetti esperti, non già su Terre a bassa capacità d’uso – e quindi “marginali”, come definite sempre dai cosiddetti esperti – bensì sulle Terre di alta suscettività per le migliori colture agro-alimentari. Aggiungerei che non essendovi ulteriori risorse idriche da destinare all’incremento del settore irriguo, non si intravede la possibilità di impiegarne nella ipotetica produzione di essenze vegetali idroesigenti da porre a base della cosiddetta “chimica verde”, per il “biofuel” e come biomassa per la produzione energetica. Ciò a cui si assiste è la mancata presa d’atto del fallimento della politica industriale della Regione nei suoi 70 anni di autonomia. Lo scrive un liberale come Paolo Savona, lo scrivono altri studiosi come Chiara Zamagni. Giusto per limitare le citazioni a due autorevoli economisti. Non si intravede, né la presa d’atto di una situazione economica e sociale allo sfascio – i numeri sulla disoccupazione, in particolare quella giovanile sono assolutamente emblematici – né un ricorso agli “stati generali” per radunare le migliori intelligenze dell’isola per la costruzione di un “think tank”, con l’obiettivo sia di varare una politica di emergenza, sia, soprattutto, per impostare un credibile piano di medio e lungo termine di riforme dei comparti produttivi. |