Sa naturalesa de su logu [di Sergio Vacca]
Pubblichiamo l’intervento tenuto al Convegno organizzato dal FAI Sardegna Venerdì 17 Febbraio Il paesaggio, la bellezza, l’ambiente aiutano il cuore. Il cuore li salva. Palazzo De La Vallée Via Torino 21, Cagliari (N.d.R.). Il concetto di ambiente, espresso in lingua sarda con “Sa naturalesa de su logu” di cui parlerà Nicolò Migheli http://www.sardegnasoprattutto.com/archives/13314 ben si presta a descrivere le interazioni tra le sue componenti: rocce, forme del paesaggio, clima, suoli, biota, ricomprendendo anche le azioni dell’uomo, nella misura in cui contribuiscono a modificare stabilmente quella determinata porzione di territorio. Quindi la trasformazione delle rocce in suolo, in tempi estremamente lunghi, dovuta al clima con le sue componenti come l’acqua meteorica e le temperature, anche in funzione delle latitudini, alla vegetazione ed agli organismi animali (micro e macro), alle pendenze dei versanti ed alle esposizioni rispetto ai punti cardinali. Sa naturalesa, come sintesi di processi che agiscono con intensità variabili nelle diverse aree del pianeta, de su logu, appunto. Perciò paesaggi differenti, caratterizzati da morfologie, da suoli, da coperture vegetali diversi tra loro. Funzione quindi della complessità e della variabilità di fenomeni e processi. E’ ciò che viene colto nell’intervento di Migheli, quando descrive gli ambiti nei quali l’attività agropastorale si è esercitata nei millenni. La selva ed il coltivato, silba, padenti, buscu o monte; o, su cuntivizu. Luoghi nei quali si è esercitato il prelievo dei frutti e la caccia, fino a quando, la lunga osservazione dei cicli naturali ha permesso all’uomo di riprodurre su superfici limitate ed in maggiori quantità quei frutti che fino ad allora aveva potuto raccogliere in aree ben più vaste ma in quantità più modeste. Condizione che ha determinato la trasformazione dell’uomo in coltivatore, ne ha stabilito la stanzialità, e permesso la crescita delle comunità e la realizzazione degli insediamenti stabili. L’equilibrio uomo territorio era strettamente collegato alla forza, misurabile in pochi Newton, che l’uomo, con l’ausilio degli animali, poteva esprimere nelle lavorazioni agricole o in tutte le opere di trasformazione dei luoghi. Equilibrio che si rompe quando l’uomo, a seguito della rivoluzione industriale può contare sull’ausilio di macchine di grande potenza, esprimibile in molti kW. Per cui l’uomo per millenni è stato molto attento nella scelta dei luoghi nei quali insediarsi ed avviare le proprie attività, particolarmente di tipo agropastorale. Una ricerca sulla distribuzione degli insediamenti nuragici nella Sardegna centro-occidentale, realizzata da Aru, Baldaccini e Moravetti negli anni Settanta del secolo scorso e sistematizzata da chi scrive alla fine degli anni Ottanta, ne mise in luce lo stretto legame con la tipologia dei suoli del Marghine e della Planargia-Montiferru; nel primo caso, numero ridotto di insediamenti; nella regione adiacente numero più che doppio di insediamenti per chilometro quadrato. Perché? I suoli nel Marghine sono caratterizzati da alto tenore in silice e, conseguentemente, da una scarsa fertilità, che sostengono una vegetazione erbacea spontanea relativamente modesta e scarsamente appetita dagli animali. Nella Planargia-Montiferru, la presenza di suoli ricchi in allofane (vetro vulcanico), molto fertili, permette lo sviluppo di una vegetazione di alto valore nutrizionale per gli animali. La ricerca ha perciò consentito, non solo di introdurre un nuovo parametro, il suolo, nella valutazione della distribuzione areale degli insediamenti nuragici, ma ha soprattutto evidenziato la capacità pianificatoria di quelle popolazioni. Nella società tradizionale – dice sempre Migheli – lo sfruttamento intensivo era precluso non solo dalla mancanza di mezzi moderni, ma anche da una cultura che conosceva il limite. Quindi alternanza delle colture, divieto di pascolamento per rispettare la ricostituzione del manto erboso, taglio delle macchie infestati di rovo, spietramenti superficiali, concimazioni organiche con il letame, arature dolci, le sole che la forza animale poteva permettere; lavorazioni attente di orti, frutteti, vigne ed oliveti, dove il fatto bene assume valenze del bello, dell’ordinato, del civile. Questo non ha tuttavia impedito che incendi, che venivano appiccati già in epoche lontane per sostituire il soprassuolo naturaliforme con essenze pascolive o per coltivare specie commestibili, abbia attivato processi di degradazione del suolo, particolarmente per erosione idrica o eolica. Ne abbiamo esempi tuttora evidenti negli altopiani di Abbasanta e di Campeda, nei quali il suolo privo di copertura vegetale nella stagione estiva e di principio d’autunno, reso secco dalla lunga siccità, era, ed è, sottoposto ai venti dominanti come il Maestrale che asportano le particelle più fini di limo e argilla anche in condizioni di morfologie pianeggianti, trasportandole per decine di chilometri in atmosfera. Ma, nell’antichità, si trattava di fenomeni arealmente limitati, che però hanno subito un incremento notevolissimo quando, a partire dal XIX secolo vi fu una distruzione sistematica dei nostri silba, padenti, buscu o monte, per l’estrazione del legname per le ferrovie inglesi o per le carbonaie toscane. Misure sperimentali sull’erosione eolica, effettuate negli anni ’80 del secolo scorso dall’Ente Flumendosa nell’ambito degli studi per comprendere l’influenza del territorio sui processi di decadimento qualitativo, eutrofizzazione, delle acque dei laghi artificiali Flumendosa e Mulargia, hanno consentito di acclarare il ruolo della ventosità nella degradazione del suolo in condizioni assenza di copertura vegetale e di tenore idrico scarso o nullo degli orizzonti di superficie. Fu, in quella circostanza, verificato e documentato anche il ruolo fortemente negativo delle lavorazioni profonde, eseguite in tarda estate o in autunno in condizioni di secchezza del suolo. Nuvole immense di polvere, sollevate nelle giornate ventose da questi grandi aratri trainati da potenti trattori. Grande responsabilità hanno i tecnici in agricoltura – prosegue Migheli – che spingendo gli operatori agricoli verso la quantità hanno permesso arature pesanti in crinali che a malapena sopportavano l’aratro a chiodo, generando smottamenti e instabilità dei suoli durante i temporali. La natura, presentata come dominabile, stravolgibile secondo le esigenze umane, ignorando che prima o poi essa avrebbe presentato il conto. E’ appena il caso di ricordare i danni causati sull’intero territorio regionale dal cosiddetto “piano pascoli”, che ha stravolto gran parte delle aree collinari e montane della nostra isola, eradicandone la macchia, la vera ed efficace copertura antierosione delle aree più acclivi. Ma anche del cosiddetto “piano di forestazione produttiva”, che ha prodotto simili, se non in molti casi peggiori, condizioni di degrado dei suoli di montagna. Il guasto però è di tipo culturale –conclude Migheli – perché induce una sorta di superficialità sulle eventuali conseguenze, tanto ci sarà sempre la tecnica che verrà in aiuto risolvendo il problema.Infatti, si continua con i si ministeriali e regionale ai nuovi insediamenti industriali fortemente impattanti sul territorio e, ahinoi, sulla salute umana. Ma anche con l’autorizzazione pendente su impianti energetici, basati su energie rinnovabili, che tuttavia, oltre ad occupare vaste superfici di suoli fertili, determinano sconquassi nel suolo e nel sottosuolo, fino a molti metri di profondità, per i livellamenti e per la realizzazione dei plinti di ancoraggio delle strutture meccaniche. Ma queste attività vengono definite dalle società proponenti, come momento significativo di “percorsi di resilienza”. A quali nuovi equilibri del suolo e dell’ambiente si riferiscano, non è dato sapere! Spero che quanto prima possa esservi un congresso internazionale della Scienza del Suolo che possa arrivare a chiarirlo. |
Congressi ed affini se ne vedono tanti, ma questi non cambiano la mente dell’uomo e le sue contraddizioni. Probabilmente l’epoca che viviamo è la più ricca di contraddizioni nella storia dell’umanità. Convegni, accordi internazionali, ecc. che vedono spostarsi da un capo all’altro del pianeta centinaia di persone che viaggiano su mezzi che dissipano energia. La “valorizzazione dell’ambiente” per attrarre turismo che contribuisce non poco ad alimentare spostamenti che sono sempre fonte di emissioni e di consumo di risorse, la protezione integrale di foreste in detterminate aree della terra e lo sfruttamento super intensivo in altri, con consumo di grandi quantita di energia per il trasporto di materiali che dovrebbero produrre energia pulita, idem per gli alimenti e via discorrendo (energie alternative, confezzioni per alimenti ed altri generi di consumo più voluminosi del prodotto ecc.) . Mettiamoci anche le guerre che, nonostante i richiami alla pace, non hanno mai fine: quando non c’è la guerra con le armi c’è la guerra fredda, la guerra dei mercati finanziari che creano la speculazione e spingono ad un maggior, quanto inutile, sfruttamento delle risorse. Non dico che i congressi siano del tutto inutili nel contesto attuale: qualche rattoppo riescono pure a metterlo, ma in fin dei conti mi sembrano più funzionali ad appagare le coscienze ed a fare sentire qualcuno più “buono e virtuoso degli altri”. Ma la terra è sempre bassa per tutti e nessuno vuole rinunciare alla potenza della tecnologia in nessun settore, anche quando c’è la coscienza che il lavoro delle braccia è il più ecologico in assoluto (se poi si accetta l’equazione che far lavorare gli animali equivale a maltrattarli non restano che le macchine). Si è disposti a faticare per mantenere la forma fisica: ho visto “grandi atleti” disposti a macinare chilometri e sollevare quintali in palestra, arrendersi davanti ad una zappa – il lavoro fisico diventa sempre più funzionale all’appagamento di esigenze psicologiche, qualche volta salutistiche, ma che mascherano spesso il tentativo di rimediare agli eccessi alimentari. L’imbutto si fà sempre più stretto ed è sempre più difficile venirne fuori. Sa naturalesa de su logu sparessidi impari a sa naturalesa de s’omini.
Mariano – a proposito, lei ha un cognome? – verosimilmente le è sfuggito il senso ironico dell’ultima frase del mio intervento. Nessuna intenzione, quindi, portare all’attenzione di un consesso internazionale una panzana come quella proposta da alcuni “tecnici” per giustificare ciò che giustificabile non è! Lo sconvolgimento degli orizzonti profondi del suolo e del top soil con strutture impattanti, che viene spacciato come “percorso di resilienza”. Quando insegnavo, avrei cacciato di malo modo uno studente che avesse voluto propormi uno scenario simile. Per il resto, non ho commenti da fare.
Sinceramente ho colto l’ironia molto tardivamente e in un primo momento la proposta non mi è sembrata più strana di tante altre che divengono oggetto di grandi disquisizioni. Ma a prescindere dal fatto che la frase fosse ironica o no, mi è venuto automaticamente da commentare per pensiero associativo su convegni ed affini, i quali trattavano anche problematiche ambientali e tecniche interessanti e davano la sensazione che da li a poco avrebbero portato a risultati concreti, per poi constatare che nella realtà l’influenza era pressoché nulla.
Mariano Cocc
o
PS. Se firmarsi con nome e cognome è una regola del sito mi adeguo volentieri, ma non capisco perché questa osservazione venga avanzata solo nei miei confronti e pertanto, come fanno Monica, Giovanni, ecc. gradirei potermi firmare solo con il mio nome senza che vengano sollevate questioni in merito. Comunque, se per lei è così importante “inquadrare” chi sono può trovarmi nel sito ioarte.
Mi scusi, Mariano, la mia osservazione sulla sua identità, che lei poteva benissimo ignorare, è un modo di guardare in faccia l’interlocutore!