Parigi val bene una visita al Louvre [di Franco Masala]

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Caravaggio, La morte della Vergine: zero spettatori. Andrea Mantegna, San Sebastiano: zero spettatori. Raffaello, Ritratto di Baldassarre Castiglione: zero spettatori.  La Gioconda di “Da Vinci” (come direbbero i lettori di Dan Brown) fa il pieno con file di visitatori che possono però, e finalmente, vedere il dipinto con comodità grazie alla rimozione del vetro di un tempo che rimandava decine di giapponesi intenti a fotografare praticamente se stessi, rendendo invisibile la più celebre icona del mondo.

La distanza è di sicurezza ma il vetro protettivo permette un’ottima visibilità. Che poi Monna Lisa sia l’opera più gettonata del Louvre è segno dei nostri tempi, considerato che la magnifica galleria con la pittura italiana viene percorsa dal turista medio a passo di carica, ignorando i capolavori citati in apertura che, di per sé, farebbero comunque il vanto di ogni museo.

Il fatto è che il Grand Louvre si è ormai appropriato di tutti gli spazi un tempo ministeriali e istituzionali di un tempo ed è sterminato, rendendo naturalmente impossibile la visita di tutto il museo. Vale la pena allora soffermarsi sulle opere che hanno visto lavori di rifacimento, talvolta solo per mettere in evidenza un restauro o una risistemazione: è il caso della Nike di Samotracia, della Venere di Milo, di capolavori dell’arte egizia, che una discretissima e garbata targa segnala riguardo ai mecenati che hanno offerto i lavori.

O il magnifico Dipartimento di Arte Islamica, nuova ala ricavata nel sottosuolo della Cour Visconti e coperta da un “velo” di vetro iridescente su progetto del nostro Mario Bellini e di Rudy Ricciotti, algerino di nascita. Basterebbero i mosaici altomedioevali cristiani e i tappeti persiani, visibili a confronto anche dall’alto, grazie ai vuoti nei dislivelli, o il leone in bronzo (Spagna, XII secolo) con la bocca spalancata in procinto di rigettare l’acqua (parente dell’altrettanto magnifico volatile come acquamanile della Pinacoteca di Cagliari) per far capire che alla fin fine i punti di contatto tra le due culture sono più dei contrasti.

Un’opera, dunque, che ha la stessa audacia della Piramide di Pei e aggiunge prestigio al primo dei musei francesi, rendendone quasi obbligatoria la scoperta. Nonostante la fredda mattinata di febbraio il serpentone di visitatori si snoda incessante sia nella corte del Carrousel sia all’esterno della Piramide, consentendo invece un accesso rapidissimo a chi ha acquistato il biglietto elettronico che dopo un controllo sacrosanto per la sicurezza – visti i tempi –  avvia verso la magnifica visita di un museo in continuo divenire.

*Musée du Louvre, Dipartimento di Arte Islamica ©

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