Questa è regressione [di Maria Antonietta Mongiu]
L’Unione Sarda 08/03/2017. La città in pillole. In una fase di apprensione e di declino dei diritti, è necessario che le donne riprendiamo tutte a dirci femministe, senza distinguo o aggiunte di aggettivi lenitivi della potenza del sostantivo. E’ momento tra i più oscurantisti dal dopoguerra, soprattutto sul piano culturale, perché le nostre figlie e nipoti corrono più rischi e hanno meno opportunità, persino di fare figli. Pur essendo più istruite si è bloccato, specie per loro, l’ascensore sociale. Non vale dire che ci sono più donne nella politica o nelle professioni. Nel primo caso, la verità è che ci sono più donne cooptate da uomini che ritengono conveniente essere gregarie; convinte che la rappresentazione sia sinonimo di autorità o che la compensazione economica sia un anestetico all’ininfluenza. Nel secondo caso, dove incide di più il merito, quelle che vogliono agire anche una leadership sociale sono oggetto di vocabolari variamente denigrativi. Spesso con la complicità di donne che credono di avere più valore se svalutano le altre o se rendono maschili le parole anche quando sono storicamente femminili. Come ovviare a tanta regressione? Ma con la pedagogia. Tra i luoghi dove praticarla sarebbe trainante un “Museo delle donne”. In Sardegna abbondano i materiali. Tra i tanti quelli archeologici e storico-artistici, tra cui le straordinarie “dee madri”. Dalla steatopigia di S’Adde di Macomer, alle volumetriche di Cabras, accosciate a mimare il parto, alle cruciformi di Alghero e di Senorbì fino a Tanit e per i fili di Maria Lai alle quasi ignote Eva Mameli, Marija Gimbutas, Maria Luisa Cerruti che ogni tanto vengono definite scienziati essendosi loro chiamate scienziate. |
Sì, il “Museo delle donne” mi sembra un’idea davvero interessante. Voglio rispondere a questo tuo messaggio con un mio e-book di prossima pubblicazione. Sarà un piacere farti avere una coppia.
Il titolo è “Di Madre in Madre”.
Un caro saluto